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mercoledì 23 aprile 2025
 
 

Don Sciortino e l'Italia al limite

09/06/2011  Cinque anni di lettere a Famiglia Cristiana, analizzate e commentate dal direttore don Sciortino. Ne esce la protesta di un Paese in cui la misura è colma.

Quando si dice che i cattolici sono rassegnati al silenzio nell’Italia di oggi, si dimentica che in questo Paese circola da ottant’anni giusti una rivista che si chiama Famiglia Cristiana. Da pochi giorni è in libreria un volume intitolato Il limite, edito da Laterza (pagine 224, euro 16), scritto dal direttore don Antonio Sciortino. In copertina il sottotitolo avverte: Etica e politica nelle lettere di Famiglia Cristiana.

Per questo non è esatto dire che è stato “scritto” da don Sciortino, perché in realtà gli autori sono molti, decine e decine di lettori della rivista che si sono rivolti a lui per ottenere qualcosa che può sfuggire a chi non conosce bene Famiglia Cristiana: non la pazienza di ascoltare una confessione, non un consiglio di psicologia spicciola, non la soddisfazione di uno sfogo personale, non l’eventuale condivisione di un giudizio etico o politico.

No, chi partecipa ai Colloqui col padre sa bene che si rivolge a qualcuno – un sacerdote che è anche un giornalista – e a qualcosa – un giornale – che non sono legati ad alcun interesse materiale, di nessun genere. Così come sa che la propria spinta a scrivere deriva da una lunga, lontana amicizia, una consuetudine al racconto della verità che arriva in casa ogni sette giorni con sincerità e senza pregiudizi.

Il libro è un resoconto sull’Italia di questi anni tormentati da problemi che vanno molto al di là delle questioni normalmente offerte dalle rubriche di “posta dei lettori” su tutti i media, nelle quali appaiono in gioco, in dimensioni quasi sempre strettamente personali, i sentimenti, gli interessi, le curiosità, le verità e le bellezze, ma anche le ipocrisie e le torbide, spesso tragiche oscurità della vita quotidiana di ciascuno.

Il limite è, invece, l’esposizione concreta e inevitabile della realtà del Paese così come viene raccontata e commentata da persone sconosciute fra loro, ma consapevoli di far parte di un “clan” (i lettori di Famiglia Cristiana) unito da ragioni morali e spirituali, nell’adesione corale ai princìpi del cristianesimo, primo fra tutti il convincimento, dato dalla Lettera a Diogneto, che «il cristiano abita nel mondo, ma non è del mondo». Il che, in parole povere, significa: non siamo disposti ad accettare in silenzio le regole di un sistema politico-sociale che della democrazia ha il nome, ma non la sostanza.

Il “racconto” di questa solitaria, ma insieme corale protesta dei cattolici è contenuto nelle lettere inviate alla rivista negli ultimi cinque anni, divise in sei capitoli secondo gli argomenti suggeriti dall’attualità: Dentro la crisi: l’economia e la dignità delle persone; “Ero straniero e mi avete ospitato”:l’Italia e gli immigrati; La Chiesa, la politica, il bene comune; Un Paese violento e in crisi di valori; Donne fra immagine e realtà; La misura è colma.

Cosa lega l’introduzione di don Sciortino alle lettere dei lettori? La risposta è semplice: argomenti, ragioni, spiegazioni del dissenso nei confronti della politica dominante sono proposti attraverso testimonianze di personalità note a tutti i livelli, quello ecclesiastico (a cominciare da molte citazioni degli ultimi Papi), quello politico, quello economico, quello culturale, quello mediatico. Messe insieme, le ragioni esposte nell’introduzione e quelle suggerite dai lettori sono legate fra loro, come scrive don Sciortino, «da un filo invisibile: la richiesta, ormai non più dilazionabile, di una maggiore etica nella vita privata e in quella pubblica.

Non è questione confessionale, che riguarda solo i cattolici. Tanto meno di moralismo a basso costo o a intermittenza. È necessità vitale per la società e il Paese. Senza, si affoga nella melma da cui fatichiamo a uscire. Anche la ripresa economica è strettamente connessa a quella etica. Come, a maggior ragione, una politica a dimensione umana, a servizio dei cittadini. La certezza del diritto è volano di sviluppo e crescita».

Insomma, élite e società confluiscono insieme in un discorso che a chi legge il libro appare come il succo del pensiero politico e sociale ispirato cristianamente nell’Italia contemporanea, nella quale i cattolici si sentono– e a ben vedere realmente sono – divisi e votati a un silenzio originato dalla fine di quello che per mezzo secolo è stato chiamato il“partito cattolico”.

Per non far torto a nessuno, non citeremo qui brani particolari di questo o quel partecipante ai Colloqui col padre, anche se – data la primigenia destinazione di Famiglia Cristiana “alle madri e alle figlie”, come volle il fondatore don Alberione nel 1931– ci ha particolarmente colpiti la drammatica “lettera aperta di suor Rita al ministro Carfagna” (a pagina 134) sulla condizione terribile delle donne straniere nel nostro Paese, sfruttate per la prostituzione, simbolo estremo della situazione in cui vive oggi in Italia buonaparte dell’immigrazione.

È solo un esempio, ma deve bastare, perché quello che, infine, ci preme osservare è che nel libro non si risparmia qualche critica a certi atteggiamenti di entità ecclesiastiche a volte non abbastanza sensibili a quanto morde nella coscienza di tanti fedeli, soprattutto rispetto a chi guida il Paese nei Palazzi.

Come si legge nell’introduzione, in un sondaggio on-line di Famiglia Cristiana, cui hanno partecipato 3.500 lettori, il 91 per centodei votanti ha definito “debole” la risposta della Chiesa a proposito di certe sconcezze e del “disagio morale” che provocano nella società. Un disagio che può (e deve) essere profetico, e a cui dà voce Famiglia Cristiana.

Beppe Del Colle

Il limite, la raccolta delle lettere ai “Colloqui col padre” di don Antonio Sciortino, fa parte di una storia cominciata a metà deglianni Sessanta, quando l’allora direttore don Giuseppe Zilli decise di prendere su di sé anche il compito di rispondere alle domande dei lettori. Colloqui col padre diventò presto una rubrica dallo stile inconfondibile, al punto che, quando don Zilli morì, nel marzo del 1980, don Leonardo Zega consentì che quelle lettere e quelle risposte continuassero ad apparire, con la sua sigla, all’inizio delsettimanale.

     A 12 anni dalla scomparsa di don Zilli si volle ricordarlocon un libro, La parrocchia di carta, in cui fu raccolto qualche centinaio di suoi Colloqui col padre. Nel volume Paola Gaiotti De Biase parlò di un “duplice fascino” di quegli scritti, che sta «nell’incontro felice fra un’Italia minore e della vita quotidiana e la pacata, e serena pastoralità di un padre, come don Zilli,che esercita il suo ministero nelle forme nuove della comunicazionedi massa, ma con la stessa quotidiana concretezza, bonomia ed efficacia del curato di una volta».

     A questo proposito, quando nel 1995 uscì presso Mondadori un analogo libro in cui raccoglieva un certo numero di suoi Colloqui col padre (con questo titolo,seguito da La famiglia italiana si confessa), don Zega osservò: «Il padre è un sacerdote, ma il giornale non è un confessionale. Il padre, nel nostro caso, ascolta, chiarisce, consiglia, discute; ma non giudica, non assolve, non condanna». Per tornare a don Zilli, restò storica la sua risposta breve a una ragazza, Valeria, che non si sentiva di portare a termine una gravidanza per l’estrema povertà in cui viveva: «Lo faccia, questo bambino, e me lo porti qui», frase che provocò un diluvio di offerte di aiuto da parte dei lettori e la lettera di un’altra giovane nelle medesime condizioni: «Valeria ha salvato mio figlio».

Deppe Del Colle

«Vivo in un’Italia che si è persa. O, forse, noi si è mai trovata. E l’Italia dello sconforto. Il Paese di quelli che non hanno speranze e sogni. O non possono più permetterseli. Ormai, sono precari a vita. Come tutto il resto che ci circonda. Chi osa più sognare? Il risveglio sarebbe troppo brusco. Misto alla delusione. Chi vuole provarci, deve scappare. Andare all’estero, in cerca di futuro. Al Governo c’è un uomo di spettacolo. E come tale si comporta. Passa da uno scandalo all’altro. Ma non ci facciamo più caso. Siamo rassegnati. Ha vinto l’assuefazione. Non c’è rispetto per lo Stato. Tanto meno per le istituzioni e le regole di convivenza civile. Per non parlare della morale, che non interessa più a nessuno.

      L’Italia dei problemi reali, dall’assenza del lavoro alle proteste dei giovani, nelle piazze e nelle università, ha ceduto il passo all’Italia dei festini e delle escort . Il Paese, nel frattempo arranca e affonda. Nell’indifferenza generale. Ai lavoratori si chiede di tirare la cinghia. “Lacrime e sangue”, magari sotto ricatto. Altri, invece, si arricchiscono alle nostre spalle. Nonostante la crisi. Mi vergogno dell’Italia in cui vivo e delle persone che la governano. Ma non voglio andare via. Spero che, prima o poi, le cose cambieranno. E io voglio esserci. Voglio far parte di quel cambiamento e costruire un Paese nuovo, che sa di futuro.

     Vivo di questa speranza, nonostante il tanto amaro che ho in bocca. Ho diciannove anni e voglio sperare».

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