Nel bel palazzo di San Calisto, dove ha sede il Pontificio Consiglio Giustizia e pace, Flaminia Giovanelli è ormai di casa. «A febbraio», dice, «saranno 39 anni che sono qui. Mi presento come la “decana” ormai». Nel 2010 è stata nominata da papa Ratzinger sottosegretario generale. «Mi occupo», spiega, «di tutte le questioni legate alla giustizia internazionale come la povertà, lo sviluppo dei paesi poveri, la crisi economica e finanziaria, il problema del debito internazionale, la giustizia sociale e il lavoro, come pure le questioni relative ai diritti umani, quali la libertà religiosa o le discriminazioni razziali, o quelle della pace o ambientali. Fra l’altro, il nostro Consiglio è incaricato della promozione del Messaggio per la Giornata mondiale della Pace che si celebra ogni anno il 1° gennaio. Naturalmente questi argomenti vengono trattati avendo come “bussola” la dottrina sociale della Chiesa che si fonda sulla visione cristiana della persona umana».
La sua nomina, come quella di molte altre sue colleghe in ruoli di vertice si deve a una rivendicazione femminile o è il segno di un’evoluzione naturale per la Chiesa? «
Nel mio caso, sicuramente non si deve ad una rivendicazione perché, per temperamento, questo è un atteggiamento che non mi corrisponde. Con questo non voglio dire che in molti casi, specie quando ci sono ingiustizie patenti, non si debba essere rivendicativi! Dico solo che, anche per un senso del dovere al quale sono stata educata e che ho molto sviluppato, ho sempre cercato di impegnarmi seriamente nell’attività lavorativa e di servizio in un campo che, per di più, mi appassiona veramente. Poi le circostanze e i tempi, per così dire, maturi, hanno fatto il resto. Ritengo che per buona parte delle mie colleghe sia stato più o meno lo stesso».
Cosa ne pensa con la proposta di nominare cardinali anche le donne?
«A parte il lato un po’ comico della faccenda – come si dovrebbero vestire? come le si chiamerebbe? – si tratterebbe, più che altro, di dare un riconoscimento ad un ruolo di consultazione che donne di grande valore spirituale e culturale, religiose, ma anche laiche, hanno sempre discretamente svolto e svolgono presso Pontefici e alti prelati. Si pensi, per esempio, alle priore di conventi di clausura o a superiore di comunità religiose che sono consigliere spirituali di vescovi o cardinali, oppure, alla vicinanza della dottoressa Wanda Poltawska al Beato Giovanni Paolo II, del quale fu grande amica e probabilmente consigliera. Le modalità di questo eventuale riconoscimento si possono sempre trovare, ma se si riterrà opportuno realizzarlo, sarebbe bene far capire che non lo si farà per rispondere a un trend, magari imitando le quote rosa delle istituzioni civili. Il fatto è che in una società dove, grazie all'enorme sviluppo delle tecnologie della comunicazione, tutti pensano bene di manifestare la loro opinione, anche quando, per la verità, non è particolarmente interessante, è anacronistico che l'apporto delle donne nella Chiesa continui a rimanere troppo discreto se non addirittura nascosto. Ma non solo, la Chiesa continua, a giusto titolo, a proporre la ricchezza della visione cristiana della persona umana parlando di uguaglianza di dignità, nella differenza, fra uomo e donna e della loro complementarità. Rendere evidente questa impostazione facendo intendere come la Chiesa faccia tesoro dell'apporto femminile nella valutazione delle problematiche da affrontare, potrebbe essere un servizio e allo stesso tempo uno strumento di evangelizzazione».
Concretamente, quali passi deve fare la Chiesa per valorizzare di più e meglio il genio femminile?
«Come dicevo, una possibilità consiste nel riconoscimento di ruoli che la donna già svolge, ad esempio, quello della direzione spirituale. Non so se questa funzione possa essere definita un ministero, ma certo è che la donna svolge questo compito con molto successo. Ci sono, comunque, altri servizi che reclamano una grande attenzione e una rinnovata metodologia, quelli, ad esempio, che possono essere utili per affrontare la crisi della famiglia. Le famiglie si sentono sempre più sole davanti alle grandi sfide del mondo di oggi, educative, economiche, di relazione e non c'è dubbio che una persona che dal di fuori le accompagni nelle loro battaglie quotidiane andando verso di loro (non basta aspettarle al consultorio parrocchiale!) sarebbe, credo, di grande beneficio.
In questo ambito c'è una strategia da studiare nella quale la donna può essere protagonista. Questo, non per relegarla come sempre in un ruolo familiare, ma perché la sensibilità della donna alle problematiche di tipo familiare è più acuta ed allenata. Comunque, un apporto femminile sarebbe molto benvenuto anche in ruoli manageriali. Le prime donne manager non sono state forse le fondatrici delle congregazioni di vita attiva nel XIX secolo? Benissimo ha fatto il Santo Padre a nominare la professoressa Glendon membro della Commissione referente sullo Ior Non è forse vero che le società che hanno retto meglio alla crisi economica e finanziaria sono state quelle i cui Consigli di Amministrazione avevano anche una componente femminile?».