(Foto Reuters: donne kuwaitiane in attesa di votare alle elezioni parlamentari del 2012)
Un passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle donne: per la prima volta in Kuwait, uno dei Paesi (moderatamente) più avanzati e aperti del Golfo in termini di diritti, otto donne hanno ottenuto la nomima a giudici della Corte suprema. I nuovi magistrati sono in totale 54. Per le otto neonominate si tratta di una conquista importante - avvenuta dopo una lunga battaglia legale - in un Paese dove tradizionalmente la magistratura è espressione del potere maschile. Certo, la strada non sarà tutta spianata: come ha spiegato Yousef al-Matawa, presidente del Supremo consiglio di giustizia e della Corte di Cassazione, le otto giudici saranno sottoposte a un periodo di prova e valutazione, prima di essere defintivamente confermate, ma la durata di questo periodo non è stata specificata.
Lulwa Saleh al Mulla, attivista per i diritti delle donne alla guida della Kuwaiti Women’s Cultural and Social Society, ha spiegato che la sua organizzazione si è battuta a lungo per il riconoscimento delle donne nella magistratura. In Kuwait - monarchia costituzionale - le donne hanno ottenuto il diritto di votare e di essere votate per cariche politiche nel 2005. Dopo il fallimento delle elezioni del 2006 e del 2008 - nessuna donna in quegli anni era stata eletta - nel 2009 finalmente il ricco emirato ha avuto le sue prime quattro parlamentari. Sempre nel 2005 una donna, Massuma al-Mubarak, per la prima volta aveva ottenuto la responsabilità di un dicastero, come ministra della Sanità.
La popolazione femminile del Kuwait è considerata relativamente emancipata rispetto agli altri Paesi vicini e da lungo tempo è pienamente inserita nella forza lavoro, tanto che oggi è arrivata a superare numericamente i lavoratori uomini. La Costituzione riconosce la piena uguaglianza dei diritti di uomini e donne, ma nella pratica le tradizioni e la politica hanno sempre portato a una discriminazione di genere. Negli ultimi anni, tuttavia, le kuwaitiane si sono mosse, hanno combattuto e hanno ottenuto dei traguardi. Lo scorso agosto il Kuwait per la prima volta ha approvato una legge che punisce la violenza domestica e che stabilisce “lo standard minimo e le procedure legali di protezione per le vittime di violenza domestica in una forma che mantenga l’unità della famiglia senza minacciare la sua stabilità nella società”.
Sempre durante l’estate in Kuwait, anche a causa della pandemia del Coronavirus, è stata lanciata una petizione online per chiedere a Parlamento e Governo di cambiare la legislazione che nega la nazionalità ai figli di kuwaitiane sposate con stranieri, perché l’emirato non permette alle donne di trasferire la loro nazionalità ai figli e ai mariti, sulla base di una cultura profondamente patriarcale che conferisce agli uomini la linea di discendenza. La vita di questi figli in Kuwait diventa dunque molto più complicata, a partire dalla ricerca e dall’ottenimento di un lavoro nel Paese. Il problema è diventanto ancora più urgente durante la pandemia, quando moltissimi familiari di donne kuwaitiane sono rimasti fuori dall’emirato e si sono visti negata la possibilità di entrare perché privi della nazionalità.