Caro don Antonio, desidero anch’io
partecipare al dibattito sugli stranieri.
Premetto che sono credente
e praticante e non mi reputo razzista.
Personalmente, sono a favore di
un’immigrazione sostenibile, ben
diversa da quella “senza se e senza ma”, anche
da voi sostenuta. Le assicuro che, di fronte a un
uomo offeso e aggredito, non esiterei a soccorrerlo,
qualsiasi fosse il colore della sua pelle e
la sua condizione sociale. Ma quando, ogni
giorno, sbarcano mille o duemila migranti
sulle nostre coste, questa è “invasione”.
Nel Vangelo Gesù si dimostra una persona
di buon senso, quando alla donna sirofenicia
dice: «Non è bene prendere il pane dei figli e
gettarlo ai cagnolini» (Matteo 15, 26). Io penso
che i nostri ragazzi, disoccupati o malpagati,
costretti spesso a emigrare, debbano avere la
precedenza sugli stranieri da parte dello Stato.
È un dovere morale e giuridico pensare prima
ai propri figli. Nella mia Sicilia la disoccupazione
giovanile è oltre il 50 per cento: non c’è
nulla da invidiare ai cosiddetti Paesi del Terzo
mondo! Se fossi un disoccupato, le assicuro
che fremerei di rabbia nel vedere in alberghi
a quattro stelle migranti ben vestiti, ben
pasciuti, con i telefonini ultimo modello, passeggiare
tutto il giorno per la città.
Per gli stranieri, che vivono in Centri gestiti
spesso da personaggi discutibili, ci sono
fiumi di denaro. Per i nostri giovani non c’è
un progetto di lavoro. Anzi, le tasse ci stanno
strozzando. E i tagli sul sociale (vedi ospedali),
si fanno a man bassa. Senza contare altri costi:
le carceri sono piene al cinquanta per cento
di extracomunitari, percentuale altissima se
si pensa che essi rappresentano solo il cinque
per cento della popolazione italiana.
Con questa politica di accoglienza abbiamo
“ingrassato” schiavisti, scafisti, delinquenti.
E, forse, anche i terroristi. Sono convinto che ci sia una strategia ben precisa
per destabilizzare l’Occidente da parte
dell’islam. E anche il dialogo coi musulmani
è difficile, perché manca in loro
qualsiasi forma di reciprocità. Noi siamo
gli infedeli coi quali non vogliono
integrarsi. Finché gli offriamo lavoro,
se ne stanno buoni. Ma, oggi, le periferie
delle grandi città sono stracolme di immigrati
irrequieti e disadattati. Forse, li
abbiamo illusi e delusi.
LETTERA FIRMATA
I fatti di Bruxelles non potranno che
rafforzare il giudizio negativo che
molti hanno nei confronti degli stranieri,
senza alcuna pietà con chi fugge
dalla disperazione della guerra.
Altra intolleranza si scaricherà sulle
migliaia di uomini, donne e bambini che se
ne stanno alle frontiere, nei campi di accoglienza,
tra il fango e il freddo, in attesa che
l’Europa apra loro un varco di speranza. La
violenza bestiale dei fanatici dell’Isis, gente
senza Dio e umanità, che hanno devastato
persone innocenti all’aeroporto e alla metro
di Bruxelles, non farà solo vivere nel terrore
noi cittadini europei, ma alimenterà
l’ira populista, spesso vero “sciacallaggio”,
di quanti già invocano di rimandare gli
stranieri “a casa loro”. Una doppia sofferenza
per i migranti che, dopo essere
stati costretti a lasciare il loro Paese, si
sentono respinti dall’Europa.
All’insensatezza di chi cavalca l’onda
emotiva, si oppone la saggezza della Chiesa.
«Il dolore e la rabbia degli attentati di
Bruxelles non possono fermare la tutela
e la protezione internazionale di chi è in
fuga dalla guerra e dalla persecuzione», ha
detto monsignor Gian Carlo Perego direttore
di Migrantes. «La sicurezza, oggi, non
è a rischio per l’arrivo di persone che hanno
visto le loro case e la loro vita distrutta
dai bombardamenti e da violenze, ma da
un terrorismo irrazionale nato e cresciuto
anche dentro le nostre città europee».
Dopo Bruxelles, molti invocano più
sicurezza, più controlli, più raccordo
tra le polizie d’Europa. Giuste richieste
e preoccupazioni, che da sole però non bastano
a colmare quel vuoto di ideali e di
valori che è alla base del terrorismo. Così
come i muri, il filo spinato e le politiche
di chiusura che trattano i profughi come
merce di scambio e non come persone con
dignità umana, hanno fatto solo regredire
l’Europa, che sta smarrendo quell’anima
solidale che l’ha sempre caratterizzata. In
un mondo globalizzato tutto è connesso,
non ci sono i nostri figli e quelli degli stranieri,
ma siamo una sola famiglia umana.
A chi, infine, vorrebbe fomentare la
guerra di religione contro l’islam, confondendo
pochi fanatici estremisti che
usano una cieca violenza e abusano del
nome di Allah con i milioni di pacifici musulmani,
papa Francesco ha dato una lezione
di umiltà e fraternità. Il Giovedì Santo
ha celebrato la Messa nel Cara (Centro accoglienza
richiedenti asilo) di Castelnuovo
Porto, periferia di Roma, e ha lavato i piedi
a dodici profughi, inclusi dei musulmani.
La vera integrazione si fa con il dialogo,
costruendo ponti e non muri. Non basta
accogliere gli stranieri se poi li si emargina
nei ghetti e nelle periferie delle nostre città,
facendoli crescere con sentimenti ostili nei
confronti del Paese che li ospita. O l’Europa
torna alla solidarietà o non avrà un futuro.
Tanto meno di pace.