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lunedì 04 novembre 2024
 
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L'altra Corleone, quella sana e onesta che nessuno racconta

17/11/2017  Dopo la morte del “capo dei capi” Totò Riina, si devono accendere i riflettori sulla Corleone che resiste e lotta per il cambiamento. Vi sono infiniti esempi di “storie del bene”. Dai Fasci Siciliani a Bernardino Verro, futuro sindaco socialista e illustre vittima della mafia. Moltissimi cattolici militarono nel movimento, nonostante gli assurdi veti di alcuni parroci legati a formazioni conservatrici e preoccupati dall’avanzata del socialismo

Dopo la morte del “capo dei capi” Totò Riina, si devono accendere i riflettori sull’altra Corleone, la Corleone che resiste e lotta per il cambiamento. Vi sono infiniti esempi di “storie del bene” non raccontate: i giovani impegnati nei campus di Libera nei terreni confiscati ai boss; l’antimafia sociale; l’azione della Camera del Lavoro (in continuità con l’insegnamento degli storici leader Placido Rizzotto e Pio La Torre);  le battaglie (passate e presenti) della sinistra e del cattolicesimo sociale; il ruolo del “Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia e sull’Antimafia” (contenente reperti storici di notevole importanza); le storie di politici come Pippo Cipriani e di sindacalisti come Dino Paternostro (da sempre impegnati per il cambiamento e il rinnovamento della loro cittadina).

Corleone non è soltanto la terra natale di Riina, Provenzano, Liggio e Navarra. Corleone è anche il teatro del primo sciopero agricolo contro il latifondo (nel lontano Ottocento), la cittadina delle prime lotte contadine e dei Fasci Siciliani, la terra natale di eroi come Bernardino Verro e Placido Rizzotto.

L’altra Corleone affonda le sue radici nella stagione delle lotte dei Fasci Siciliani. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, infatti, la Sicilia conobbe un’importante stagione di speranza, diritti e progresso sociale. Il protagonista assoluto del nuovo corso fu il movimento dei Fasci siciliani, finalizzato a creare una democrazia sostanziale, a redistribuire le ricchezze e a combattere le ingiustizie. Si trattò di un originale movimento, che unì contadini, lavoratori e intellettuali nella lotta per un mondo migliore. Tra il 1891 e il 1894, i Fasci dei Lavoratori furono il primo esempio concreto di antimafia sociale, di partecipazione democratica e di socialismo nella nuova Italia unita. 

I Fasci rivendicarono battaglie sociali assolutamente condivisibili: uguaglianza, riduzione dell’orario di lavoro, aumenti salariali, miglioramento delle condizioni di vita dei contadini e di tutti i lavoratori. Il movimento ebbe anche il merito di organizzare, proprio a Corleone, nel 1893, il primo sciopero agricolo italiano.  

Oltre all’attività politica e sindacale in senso classico, i Fasci dei Lavoratori promossero anche l’emancipazione femminile e il progresso culturale delle masse, in una terra come la Sicilia con livelli record di analfabetismo.

L’influenza del cristianesimo sociale sui Fasci fu notevole. Moltissimi cattolici militarono nel movimento, nonostante gli assurdi veti di alcuni parroci legati a formazioni conservatrici e preoccupati dall’avanzata del socialismo. Le religiosissime donne del movimento si ribellarono ai niet ecclesiastici e rifiutarono platealmente di partecipare alle processioni del Corpus domini per far comprendere ai parroci che i fedeli erano schierati dalla parte dei lavoratori e non dalla parte dei potenti e degli oppressori.

Tra i protagonisti dei Fasci Siciliani vi fu un personaggio leggendario come Bernardino Verro, futuro sindaco socialista di Corleone e illustre vittima della mafia. Dopo avere affrontato una lunga detenzione e i rigori del Tribunale militare ai tempi di Crispi, Bernardino Verro fuggì all’estero, per sottrarsi alle persecuzioni subite in età giolittiana, “reo” di avere promosso imponenti scioperi dei contadini, come appunto la prima manifestazione antilafondista a Corleone. Dopo l’esilio in Tunisia e in Francia, Verro fondò la Casa del Popolo di Corleone e l’Unione agricola cooperativa, applicando il principio dell’affittanza collettiva. Il consenso popolare e l’entusiasmo delle masse lo salvarono, temporaneamente, dalla condanna a morte decretata dai mafiosi e dai latifondisti sin dai primi del Novecento.

 In politica, promosse una proficua alleanza tra socialisti e cattolici, in opposizione al blocco di potere conservatore appoggiato dai proprietari terrieri. Con una decisione audace, Verro puntò sui comuni interessi di classe della base sociale dei cattolici e dei socialisti. Inizialmente, l’operazione ebbe enorme successo, come testimoniato dalle elezioni amministrative del 1907.

Nel 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, Verro divenne sindaco di Corleone con oltre il 70% delle preferenze e la lista del Partito Socialista conquistò 26 seggi su 32, sbaragliando tutte le altre forze politiche. 

ll 3 novembre del 1915, Bernardino Verro fu assassinato da due killer mentre stava tornando a casa, dopo un’intensa giornata trascorsa in Municipio. L’assassinio di Bernardino Verro destò una fortissima emozione non soltanto in Sicilia, ma anche nel resto d’Italia. Migliaia di lavoratori resero omaggio alla salma esposta nel Municipio di Corleone e quasi tutto il paese si mobilitò (102 anni fa!).

Un altro corleonese illustre fu Placido Rizzotto, partigiano in Carnia, militante socialista, segretario della locale Camera del Lavoro e dirigente della Cgil. 

Secondo Dino Paternostro, “Rizzotto capiva che la sua nuova trincea era a Corleone. Capiva che qui doveva organizzare la gente, che doveva lottare per liberare quei volti bruciati dal sole, stanchi per la fatica e invecchiati precocemente. Pensava che i contadini uniti avrebbero potuto possedere la terra da coltivare e da far produrre, senza più farsi succhiare il sangue dai gabelloti e dai padroni. Per questo spiegava loro la necessità di organizzarsi, di costituire le cooperative”.

Rizzotto era impegnato nelle lotte contadine, nell’occupazione delle terre, nella rivendicazioni dei diritti dei braccianti, nella battaglia contro le ingiustizie sociali e contro i privilegi dell’aristocrazia terriera. I suoi nemici giurati erano i mafiosi, i loro complici politici e i latifondisti.

Il 10 marzo del 1948 fu assassinato dalla mafia e il suo corpo fu gettato in una foiba e ritrovato dopo 64 anni grazie alle moderne tecniche dell’analisi del Dna. A distanza di quasi 70 anni, il nipote Placido Rizzotto (anche lui corleonese e con lo stesso nome dello zio) ipotizza scenari da guerra fredda, tra trame anticomuniste, complicità della destra agraria e servizi segreti deviati.

Altri tre martiri italiani furono legati in qualche modo al caso Rizzotto: il procuratore Pietro Scaglione (ucciso nel 1971) fu il Pubblico Ministero che chiese l’ergastolo per i killer; il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (assassinato nel 1982) fu il capitano dei Carabinieri che avviò le indagini; il leader comunista Pio La Torre (ucciso pochi mesi prima di Dalla Chiesa) fu il successore di Placido Rizzotto alla guida della Camera del Lavoro di Corleone.

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