«Milano non deve ricostruire dalle macerie come nel dopoguerra, ma la pandemia deve essere per la nostra città un attivatore di riflessioni più profonde, capaci di farci confrontare con il nostro futuro prossimo». Beppe Sala, sindaco in scadenza del capoluogo lombardo e candidato per le elezioni comunali dell’autunno, inaugura con questo auspicio la presentazione del libro La città che sale (Edizioni San Paolo), svoltasi il 28 giugno al Teatro Parenti di Milano. Presenti, oltre a Beppe Sala e Marco Garzonio, curatore delle introduzioni ai report annuali sulla città della Fondazione Ambrosianeum dal 2000 al 2020 raccolte nel libro, anche il professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, e il giornalista Alessandro Zaccuri di Avvenire a coordinare la serata. A scandire gli interventi l’attrice Anna Nogara, che ha letto alcuni spezzoni del libro. L’ispirazione dell’evento, come ha sottolineato Zaccuri inaugurando l’incontro, è proprio il Teatro Parenti, «luogo che ha sempre saputo trasformarsi nel corso degli anni, riuscendo, quindi a dare un esempio di cosa è Milano». Che Milano sia un laboratorio – così ancora Zaccuri –, lo testimonia del resto la sua icona principe, il duomo, che attraverso la sua Fabbrica fin dal XIV secolo traccia due caratteri indelebili dello spirito meneghino: laicità e “work in progress”.
Beppe Sala, nel piccolo vocabolario delle virtù ambrosiane posto al termine del libro, ha scelto il lemma “libertà”. «È qualcosa che richiama al passato di Milano ma anche al nostro quotidiano, anche se oggi l’abbiamo tirata verso un senso estremo, la libertà di fare quello che vogliamo». Sala ha poi auspicato che in vista delle elezioni comunali la politica si confronti seriamente sul futuro della città. «A volte ho sentimenti di frustrazione perché avrei voluto fare di più per la città, a partire dal tema della sicurezza sanitaria, un tema in cui si fa fatica a mettere d’accordo tutti». Il sindaco si è compiaciuto della capacità di reazione della città di fronte alla pandemia, senza perdere mai il senso della lotta. Questo grazie anche al fatto che «Milano è stata resa grande da persone che non erano di Milano. Sa sempre trovare la formula per essere aperta, accettando il valore della diversità. È come se le fosse richiesto di più per mantenere l’equilibrio, ma questo è il destino delle grandi città del mondo».
Le virtù ambrosiane più importanti di Giorgio Vittadini sono invece ambiente, giustizia e crescita. Tutte coniugate con “sussidiarietà”. «Nel periodo del lockdown ci ha salvato il nostro cercarci, dai collegamenti zoom alla carità degli infermieri, che non hanno lasciato morire da sole le persone malate di covid, fino ai tantissimi volontari che hanno portato la spesa a casa degli anziani». Interessante, secondo Vittadini, il piano urbanistico che, se seguirà davvero l’idea di Stefano Boeri dei cluster, sarà un’innovazione assoluta in termini di interdipendenza. «Nessuno vuole più essere periferia, i quartieri un tempo periferici oggi possono diventare veri luoghi di aggregazione, capaci di riconquistare il centro». Secondo l’accademico, del resto, alla base della riscossa di Milano c’è «il suo storico rifiuto per gli uomini soli al potere». O, altrimenti detto, «l’io relazionale contro l’io individualista: Milano sempre ha fatto fuori i rivoluzionari di destra e di sinistra che volevano andare al potere». Come sarà capace allora Milano di affrontare il post-pandemia? «Fino al suo avvento la malattia era considerata un problema solo individuale. Ma abbiamo scoperto che la prevenzione e la cura sono realtà comunitarie: semplicemente non possiamo affrontarle da soli. Anche il più ricco dipende dal più povero e viceversa».
In merito interessanti anche le considerazioni di Marco Garzonio, psicanalista e scrittore, che ha ricordato che la pandemia ha offuscato il ruolo delle città a favore delle Regioni, che hanno gestito l’emergenza. È ora che le città ritornino protagoniste. «La città è fondamentale, è il vero luogo di aggregazione della gente». L’elezione diretta del sindaco introdotta nella riforma seguita a Tangentopoli – ha ricordato Garzonio – è proprio il sigillo di questa peculiarità tutta italiana. «È la rete dei sindaci che può portare fuori il Paese da questa crisi, e lo direi anche a livello europeo», ha chiosato, ricordando che alla base della soluzione dei problemi c’è il recupero della dimensione della cittadinanza attiva, vero motore della ripresa di un paese.
Infine Garzonio ha reso il meritato tributo al Cardinal Martini, che nel suo lungo ministero a Milano ha insegnato, da buon Gesuita, un metodo valido anche per l’oggi. «Martini applicò il metodo degli esercizi spirituali ignaziani alla città, basato sul discernimento. All’inizio non sapeva niente né della città né del mestiere del vescovo, ha semplicemente applicato questo metodo cercando di ascoltare tutti, senza alcuna precomprensione». Il primo frutto fu, infatti, la prima lettera alla città intitolata “La dimensione contemplativa della vita”, scritta nel 1980, appena arrivato in città. «Un messaggio laico che abbiamo imparato da Martini, e che forse il mondo laico ha compreso meglio e prima dei cattolici».