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Dopo le polemiche, Venezia risuscita

30/08/2014  Raramente la rassegna cinematografica è partita così bene, con film di valore: da "Anime nere" di Munzi a "Birdman" di Alejandro Inàrritu. Segno di un Paese e di una città che nonostante gli scandali politici «può ripartire da questa istituzione», come ha detto il presidente Napolitano

Venezia - Pareva dovesse essere una Mostra del cinema sottotono, la 71a edizione di quest'anno. Con meno sponsor, meno soldi, meno titoli americani e quindi meno star sul red carpet. E la litania del direttore Alberto Barbera («Giudicatela per i film», continuava a ripetere, «le star contano ma più importante è aprirsi alle cinematografie») sembrava solo un voler mettere le mani avanti. Per non parlare della mosceria in città. I soliti sciami di turisti, certo, ma anche stanchezza, una sensazione di precarietà, di non programmazione testimoniata dal perdurante scempio del “buco”, malamente nascosto e ricoperto, dove avrebbe dovuto innalzarsi il nuovo Palazzo del cinema in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

Il fallimento simbolo di un'amministrazione cittadina che, tra l'altro, non c'è più: l'inchiesta giudiziaria su mazzette e corruzioni legate al progetto del Mose, oltre a costringere alle dimissioni il sindaco Orsoni, si è portata via un bel po' di grossi nomi. Ci ha dovuto pensare il nostro gran vegliardo, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a rincuorare tutti suonando la riscossa. «Venezia è una città impareggiabile», ha detto, «purtroppo scossa nelle sue rappresentanze pubbliche da vicende recenti, inquietanti e penose. Ma la Biennale, che non è solo quella del cinema ma anche quella di altre arti, resta un pilastro decisivo. Ad essa l'Italia deve molto del suo prestigio internazionale sia culturale che artistico. Venezia può ripartire da questa istituzione. Così pure l'Italia».

Standing ovation e buio in sala. Ed è a questo punto che sono venute le sorprese, perché raramente la rassegna cinematografica è partita così bene, con film di valore. Altra sorpresa positiva, la profonda ristrutturazione della Sala Darsena, il secondo cinema per importanza della Mostra dopo la storica Sala Grande. Erano sessant'anni o giù di lì che languiva. Il presidente della Biennale Paolo Baratta ci ha puntato i pochi soldi a disposizione e ha fatto bingo. Adesso è un cinema all'avanguardia, una sala di qualità.

A poco sarebbe servito, però, senza buoni film da proiettare. Qui ci ha messo del suo il direttore della Mostra, Alberto Barbera, capace di offrire a critici e spettatori una partenza col botto. È piaciuto molto Anime nere, il primo titolo italiano in concorso firmato da Francesco Munzi (che abbiamo già segnalato).
Ma a predisporre tutti al meglio aveva provveduto il titolo di apertura: Birdman (o Le imprevedibili virtù dell'ignoranza) di Alejandro Inàrritu.

Un altro regista messicano trapiantato a Hollywood, proprio come l'anno scorso Alfonso Cuaròn, giunto al Lido per presentare Gravity, partito senza premi ma con tanti applausi per poi arrivare a far manbassa di Oscar. Accadrà lo stesso per il film di Inàrritu? C'è già chi scommette di sì, per lo meno per quanto concerne il protagonista maschile: un Michael Keaton strepitoso, a 63 anni più bravo che mai, capace di dar spessore alla storia di Riggan Thomson, attore in declino dopo essere stato una star da blockbuster nei panni di un supereroe alato (l'uomo-uccello del titolo). Per non scivolare lungo il viale del tramonto decide di mettere in scena, a Broadway, un suo adattamento di un testo di Raymond Carver: Di cosa parliamo quando parliamo d'amore.
Una sfida che l'acida critica teatrale del Times dà persa in partenza. Col virtuosismo di una macchina da presa che pare non staccare mai passando da un personaggio all'altro, da una situazione all'altra, lo spettatore segue i giorni di prove. La defezione non casuale del comprimario. L'arrivo di un sostituto fin troppo famoso (Edward Norton, pure lui bravissimo). Le fibrillazioni tra i quattro personaggi, in scena ma anche fuori: uomini e donne intrecciati tra loro nella vita reale. Con l'aggravante di Sam, figlia ventiseienne di Riggan, assistente del padre per distrarsi e starsene alla larga dalle droghe, ma giovane donna di insospettate qualità nonché figlia rancorosa (terzo pezzo di bravura firmato Emma Stone).

Il cocktail diventa via via esplosivo per le croniche insicurezze di Riggan, che rivuole il successo per sentirsi di nuovo accettato e amato ma si porta letteralmente sulle spalle un alter ego distruttivo (il Birdman che fu e che gli ricompare all'improvviso). Una black-comedy sulle fisime degli attori, su Hollywood, sul teatro coi suoi rituali. Condita con una colonna sonora straniante, fatta di assolo di batteria martellanti come lo sono i pensieri di Riggan.
Innumerevoli le battute al vetriolo, intelligenti quanto esilaranti, che colpiscono veri nomi dello starsystem. Più considerazioni taglienti sulla notorietà, i critici, i social network e tutto ciò che contribuisce a innalzare e poi seppellire l'ego di un artista. Una per tutte: «La fama è la cuginetta zoccola del prestigio». Basta un niente per diventare famosi, in un attimo poi si può ripiombare nell'oblio. Insomma, un bel film sulle illusioni del successo e i pericoli esistenziali (giusto un po' ridondante nel finale). Variety ha paragonato la crisi di Riggan a quella del protagonista de La grande bellezza. A noi ha fatto tornare alla mente il suicidio di Robin Williams.

«Oggi la gente vuole essere famosa subito, senza fatica. In un secondo puoi raggiungere gli 800 mila follower su Twitter», chiosa Inàrritu, già regista di titoli notevoli come 21 grammi e Babel. «Per molti questo significa una riuscita, cui seguirà però l'inevitabile disillusione». «Io non somiglio a questo attore in pieno crollo emotivo, che ha bisogno di conferma», protesta un Michael Keaton invecchiato, ingrassato, spelacchiato ma super bravo.
«L'unica cosa che abbiamo in comune è che anch'io ho avuto il successo planetario con un film su un supereroe mascherato. Ma sono passati venticinque anni da quel Batman e oggi sono convinto che una bella vita e una buona carriera possano marciare insieme. Tutti abbiamo un Birdman sulle spalle, il nostro ego che ci insegue, il nostro fantasma. L'importante, quando poi uno sale in macchina, è di farlo accomodare sul sedile posteriore».

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