Le figlie di Francesco Frigerio, da sinistra Rosita e Erminia, foto di Fabrizio Annibali
Dietro ai numeri dei morti di Covid ci sono tante storie dolore, ma anche piene di solidarietà. In occasione della festa dei nonni avevamo raccontato una di esse, quella di Francescoe Frigerio, 73 anni, di Suello (Lecco), una delle prime vittime di marzo. Un negoziante amatissimo nel suo paese, dalle due figlie e dai suoi tre nipoti. Dopo essere stato ricoverato la sua famiglia non l’aveva più potuto vedere, con la moglie anch’essa ricoverata ma in un altro reparto. Le figlie avevano fatto arrivare la padre dei bigliettini con disegni e le parole d’affetto dei nipoti, e le loro foto. Solo a giugno, quando era stato celebrato il funerale, un uomo che era ricoverato con lui aveva fatto loro sapere che un infermiere gli era stato accanto fino all’ultimo mostrandogli i biglietti. Ora, dopo un appello sui social, quell’infermiere ha un volto e un nome: Emanuele Moretti, 33 anni, originario dello Sri Lanka, ancora oggi impegnato sul fronte del Covid. Le figlie Erminia e Rosita gli hanno parlato al telefono pe ringraziarlo, e quando l’emergenza sarà finita si incontreranno. «Il loro ringraziamento è un regalo inaspettato» ha detto l’infermiere al Corriere della sera», ma ho fatto solo il mio dovere Ricordo bene Francesco e il suo sguardo dietro il casco. Ha capito cosa gli stavo dicendo, mi ha fatto un cenno con gli occhi, i volti dei nipoti che adorava sono stati l’ultima immagine prima di entrare in coma». Così ci racconta Erminia Frigerio: «Ho cercato Emanuele tramite una pagina social della città di Lecco perché sentivo il bisogno di ringraziare lui e, attraverso lui, tutti i medici, gli operatori e gli infermieri in prima linea ieri e oggi contro il Covid.. A poco a poco sto ricostruendo quella stanza in cui è morto mio padre e che per mesi ho cercato con grande dolore di immaginare. Il virus si è insediato nelle nostre vite, separandoci dalle persone per noi più importanti e costringendoci a fidarci di persone che non conosciamo, spesso solo voci al telefono. Non è facile, non è umano.Ma in questo profondo sconvolgimento scopriamo che l’umanità vince. Emanuele e i suoi colleghi per me rappresentano le tante persone che non fanno semplicemente il loro dovere, ma lo fanno con responsabilità e umanità. E questo fa la differenza in ogni ambito della vita, ma soprattutto là dove il dolore umano è più forte. Negli ospedali con i pazienti, nelle rsa con gli anziani, nelle strutture per disabili, forse i grandi dimenticati di questa pandemia».