"Non riconosco nemici nella politica nazionale né in alcun governo straniero. Al contrario, abbiamo nemici comuni che dobbiamo combattere". Ovvero disoccupazione e povertà, corruzione e terrorismo. Con queste parole Juan Manuel Santos, 58enne ex ministro della Difesa ed economista, candidato del Centrodestra - il partito di Álvaro Uribe - ha commentato la sua vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali colombiane. Per lui un 46,58% di preferenze (al di là , contro il 21,47% dell'avversario Antanas Mockus, candidato dei Verdi, matematico e filosofo 58enne figlio di immigrati lituani, ex sindaco di Bogotà.
La decisione definitiva spetterà al ballottaggio del 20 giugno. Ma intanto, con il voto del 30 maggio, per la Colombia si è chiusa l'era di Álvaro Uribe. Dopo otto anni di governo - e il tentativo molto criticato di aggiudicarsi pure un terzo mandato chiedendo di modificare la Carta costituzionale per referendum - il presidente di Centrodestra lascia il suo posto con un indice di gradimento altissimo, intorno al 75%: una popolarità che è andata sempre crescendo, dal primo mandato nel 2002 (53%), al secondo nel 2006 (63%), e che è stata solo in parte scalfita dagli scandali legati alla corruzione del suo Governo negli ultimi anni.
Avvocato con studi ad Harvard alle spalle, molto vicino agli Stati Uniti, Uribe è stato un presidente amato ma insieme molto discusso. Da un lato molti l'hanno tacciato di essere asservito alla politica di Washington (di fatto la Colombia rappresenta l'unico Governo di centrodestra nella zona andina e il principale alleato degli Usa nella regione), ma dall'altro lato Uribe vanta il merito di aver riportato la legalità nel Paese e reso la Colombia un Paese più sicuro grazie alla determinazione con la quale ha condotto la guerra al narcotraffico e alla guerriglia delle Farc (le Forze armate rivoluzionarie della Colombia). Durante la sua presidenza, a luglio del 2008, un'operazione quasi cinematografica ha permesso la liberazione di Ingrid Betancourt - da sei anni e mezzo nelle mani delle Farc - e di altri 14 ostaggi (a dirigere la Difesa era Santos).
Con Uribe anche l'economia tra il 2002 e il 2007 ha conosciuto un lungo periodo di crescita, grazie all'aumento degli investimenti stranieri (10 miliardi dollari nel 2008) e ai finanziamenti alle imprese, all'agricoltura e al turismo. D'altro canto, però, se oggi la Colombia è un Paese meno violento, è vero anche che le disuguaglianze sociali rimangono profonde: nel 2008 il 47% della popolazione era sotto la soglia della povertà.
Per chi diventerà il nuovo presidente la continuità con l'"uribismo" appare un requisito imprescindibile. Sia Santos che Mockus puntano a proseguire la guerra al narcotraffico e a stimolare l'economia. Ma, oltre alla sicurezza, anche e soprattutto a combattere la povertà diffusa e la disoccupazione, che oggi sono i problemi principali della popolazione. Intanto, il presidente venezuelano Hugo Chávez non ha mancato di intromettersi nelle elezioni dei vicini colombiani, definendo Santos "una minaccia militare" e "signore della guerra": a marzo del 2008 Santos, come ministro della Difesa, diresse le operazioni contro l'attacco in territorio ecuadoriano contro l'accampamento di Raul Reyes, numero due delle Farc. Questa operazione - che rivelò anche gli aiuti finanziari di Caracas ai guerriglieri - aprì una crisi doplomatica con Ecuador e Venezuela che ha portato a pesanti ricadute in termini economici. Bogotà ha poi parzialmente ristabilito le relazioni con Quito. Quanto al Venezuela, forse si dovrà aspettare il ballottaggio del 20 giugno per vedere gli effetti sulle relazioni fra Caracas e Bogotà.