Un titolo a caratteri cubitali gridava “Maledetti pedofili”. Non era del New York Times e nemmeno di altri giornali che oggi si distinguono nell’accusare la Chiesa per aver insabbiato i casi di pedofilia al suo interno. Quel titolo era di Famiglia Cristiana e risale al dicembre 1997, quando era ancora direttore don Leonardo Zega, che subì anche un processo per aver accennato in un’intervista a noti sostenitori della pedofilia tra le file della cultura italiana.
Il settimanale dei Paolini non ha mai smesso di denunciare la pedofilia nel suo insieme e all’interno della Chiesa, come testimoniano i numerosi articoli dedicati nel tempo a un sacerdote impegnato in prima persona contro questo odioso crimine: don Fortunato Di Noto.
In questo dossier abbiamo radunato gli ultimi interventi di Famiglia Cristiana sul tema: articoli, editoriali, interventi del teologo e del direttore sono ora a disposizione dei lettori anche sul nostro settimanale in versione online per avere un quadro esauriente e un aiuto a farsi un’idea della gravità del problema.
Giusto Truglia
Domenica 25 aprile alla recita del Regina Coeli Benedetto XVI ricorderà la “Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza”, appuntamento promosso 14 anni fa dall’associazione (www.associazionemeter.org) fondata dal sacerdote siciliano don Fortunato Di Noto, parroco di Avola e da vent’anni in prima fila nella lotta alla pedofilia e alla pedopornografia on line.
Una folta delegazione dell’associazione sarà presente per l’occasione in piazza San Pietro, mentre ad Avola l’intervento del Papa sarà seguito grazie a un maxischermo collocato in parrocchia. «La menzione del Santo Padre, che ci ha già ricordati l’anno scorso, per noi ha un valore eccezionale e dimostra una volta di più come stia a cuore a questo pontefice la lotta alla pedofilia e alla violenza minorile», ha dichiarato don Di Noto che ha aggiunto sul tema scottante dei casi di pedofilia nel clero: «Il Papa ha reagito in maniera chiara, dura e forte. E ha ribadito ancora una volta da che parte sta: da quella dei bambini e delle vittime. E noi non possiamo che stare con lui».
Sugli attacchi della stampa estera a Benedetto XVI , il sacerdote ha aggiunto: «Si tratta di attacchi plateali. Il problema della pedofilia è complesso, trasversale, globale, perché è sotto gli occhi di tutti che gli abusi sessuali coinvolgono 170 milioni di minori nel mondo. Da un mese a questa parte sembra, invece, che sacerdote sia uguale a pedofilo. E’ capitato pure a me, che mi occupo con Meter di lotta alla pedofilia da vent’anni, di essere stato apostrofato da sconosciuti per strada con l’insulto "Prete, sei un pedofilo!". Questo è il frutto di un’informazione strumentale che da una parte vuole soltanto colpire la Chiesa e dall’altra non dedica una riga a chi, come noi, in un solo anno ha segnalato alla Polizia Postale 9.800 siti pedopornografici».
Alla Giornata hanno già dato l’adesione 16 diocesi. Messaggi di saluto sono giunti dal Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano e dal Presidente del Senato Renato Schifani. E per il 25 aprile un centinaio di bambini della parrocchia di Avola, insieme con i loro catechisti, invieranno una lettera di solidarietà al Papa.
Alberto Laggia
Davvero non ci sono
parole che possano
esprimere lo sdegno e lo
stupore per lo scandalo
della pedofilia e degli
abusi sessuali su minori
da parte di persone consacrate;
crimine tanto
più odioso perché opera
di persone che dovrebbero
essere i naturali protettori
dei piccoli e perpetrato
su persone che non
si possono difendere adeguatamente.
Il fenomeno è esploso anni fa in America
dove è stato anche strumentalizzato
in chiave di rivendicazioni economiche.
Ma i casi, purtroppo, si sono verificati
un po’ dovunque nella Chiesa. Ultimamente
se ne è parlato in rapporto a
Irlanda e Germania, come riferisce la recente
cronaca. E il Papa, ancora una volta,
oltre che esprimere la sua fortissima
preoccupazione, ha avuto chiare e forti
parole di condanna. Anche se statisticamente
non sembra che la categoria “preti”
sia più colpevole di altre nei riguardi
di questo crimine, la condanna della
Chiesa e di ogni persona dotata di ragione
deve essere chiara e forte.
Non si può fare silenzio o nascondere,
come, a volte, è successo per il passato:
oltre al danno arrecato alle vittime
c’è il rischio di diventare complici di
comportamenti criminosi, senza contare
che, in tal modo, non si dà alcun sostegno
né alla vittima, che porterà per
tutta la vita le conseguenze dell’offesa
ricevuta, né al “carnefice” che, in tal modo,
potrebbe almeno rendersi consapevole
della gravità delle sue azioni.
Da qualche anno si invoca la tolleranza
zero. E questo vuol dire: non nascondere,
essere fermi nella denuncia, mettere
i soggetti inclini a tali crimini nella
condizione di non più nuocere e, ancora
più a monte, fare di tutto perché simili
soggetti non arrivino all’ordinazione
o alla professione religiosa. A tal proposito
va ricordato che spesso (taluni dicono:
sempre) chi abusa è stato a sua volta
abusato; e questa dovrebbe essere
una ragione in più per verificare una
eventuale vocazione anche alla luce della
storia individuale e familiare del soggetto.
Né andrebbe sottovalutato il ruolo
dei formatori. Qualche tratto deviante
nella loro personalità potrebbe incidere
negativamente sulla piena maturità
del futuro presbitero o religioso.
Tolleranza zero non può voler dire
colpevolizzare un’intera categoria (i
preti lo sanno bene!) o far diventare
condanna certa quello che è un sospetto
o una semplice denuncia. Molti casi
denunciati si sono dimostrati infondati:
e non sono mancati i casi in cui la riconosciuta
innocenza è arrivata tardi, magari
quando l’interessato era già morto
per il dispiacere dovuto all’accusa.
Accanto al diritto della vittima ad avere
la giusta sentenza e la riparazione
(mai del tutto adeguata, purtroppo!) per
il danno ricevuto, si dovranno, però, anche
garantire i diritti inalienabili di ogni
uomo a difendersi. Né condanne mediatiche
né condanne sommarie. Sia in sede
civile, sia di fronte all’autorità ecclesiastica.
E se è vero, come gli esperti sostengono,
che, a prescindere dalla loro
responsabilità umana e morale, gli autori
della pedofilia o degli abusi sessuali
sono affetti da una malattia, bisognerà
provvedere alla loro cura in adeguate
strutture. Cosa difficile, non impossibile,
sicuramente doverosa verso dei fratelli
che hanno bisogno di aiuto.
Giuseppe Pernigotti
«Spero che la Chiesa si impegni
pastoralmente contro la pedofilia
». Don Fortunato Di Noto
lo scriveva già nel 1996 in una lettera
aperta sul Corriere della Sera. Oltre a
piegarsi sulle sofferenze per le vittime,
il prete, allora, era tra i pochissimi ad
aver intuito le conseguenze deflagranti
che un’accusa di pedofilia rivolta a un
consacrato avrebbe potuto causare.
Non a caso sarà proprio lui, il prossimo
giugno, a volare in Irlanda, invitato
dalla Conferenza episcopale di quel
Paese sconvolta dallo scandalo-abusi,
per portare la sua esperienza di sacerdote
che da vent’anni combatte la pedofilia
e la pedopornografia on-line.
«Il documento del Papa è una novità
assoluta e inaugura un nuovo fronte pastorale:
quello contro la pedofilia»: è il
primo commento di don Di Noto, fondatore
dell’Associazione Meter, alla lettera
pastorale di Benedetto XVI ai cattolici
d’Irlanda, uscita nei giorni scorsi dopo
i gravissimi episodi di abusi emersi
tra il clero irlandese. «Il Papa è chiarissimo,
nessuno ha scuse di sorta: chi si
macchia di questi atti non deve sottrarsi
alla giustizia di Dio, né a quella dei tribunali.
Da qui non si torna indietro».
Vede un atteggiamento diverso delle
gerarchie ecclesiali nei confronti di
questo fenomeno?
«Oggi non c’è più una conferenza episcopale
anglofona che non si sia attivata
contro la pedofilia, aprendo un centro
e un programma di protezione per
le vittime».
Dopo i casi in Irlanda, Germania e
Austria, può scoppiare in Europa un
“ciclone pedofilia” come quello di dieci
anni fa negli Usa?
«Gli atti di cui si sono macchiati molti
sacerdoti e le coperture date loro da alcuni
vescovi sono fatti gravissimi. Mi
pare, però, che qualcuno abbia strumentalizzato
queste vicende per colpire
la Chiesa cattolica».
Che ne pensa della via del risarcimento
economico intrapreso dalla
Chiesa americana?
«Che si potrebbe prevedere anche in
Italia, come Chiesa, un sostegno economico
e psicologico alla famiglia dell’abusato.
Ma non si usa nei confronti dello Stato lo stesso zelo per sottolineare
le omissioni della Cei».
A cosa allude?
«Quand’è che anche il Senato, dopo il
voto all’unanimità della Camera, approverà
la convenzione di Lanzarote, che
prevede pene più severe, un fondo per
le vittime e tempi più lunghi per la prescrizione
dei reati di pedofilia?».
Da dove dovrebbe partire la prevenzione
del fenomeno dentro
la Chiesa?
«Dai seminari. La selezione
va curata di più. Meglio
avere meno preti, ma che
siano preti. E poi, in una società
fortemente erotizzata
come la nostra, il seminario
deve educare con serenità
agli affetti».
C’entra qualcosa il celibato
con la tendenza alla pedofilia?
«È una perfetta fola laicista, grettamente
anticlericale: se facciamo le proporzioni,
gli abusi sessuali sui minori
vengono perpetrati molto di più da chi
celibe non è. Il vincolo celibatario non
c’entra per nulla».
Riduzione allo stato laicale dei sacerdoti
pedofili. Concorda con la linea
dell’assoluta severità?
«Già il Concilio di Elvira, nel IV secolo,
prevedeva l’espulsione dalla comunità
ecclesiale di chi si macchiava di questi
reati. Se un sacerdote commette questo
gravissimo peccato, accertato in via
definitiva, non può più fare il prete. D’altra
parte, anche la legge va in questo
senso: un padre che abusa di un figlio
perde la patria potestà».
Un sacerdote che si macchia
di pedofilia dev'essere ridotto allo
stato laicale?
«È inevitabile».
Un personaggio autorevole
come monsignor
Charles J. Scicluna, “promotore
di giustizia” alla
Congregazione per la dottrina
della fede, ha affermato
che «una certa cultura
del silenzio è ancora
troppo diffusa nella Penisola». Che ne pensa?
«Dico solo che se noi staremo nel silenzio,
grideranno soltanto le vittime. E
se non grideranno ora, lo faranno dopo.
Ma aggiungo anche: se non ascolteremo
il grido degli innocenti, come Chiesa,
sarà Dio ad ascoltarli e sarà lui a intervenire».
Ma c’è ancora omertà?
«A volte non si sa gestire il problema.
Ho ricevuto più volte telefonate di vescovi
che mi chiedevano consigli.
Quando arriva una segnalazione, o si
presenta la famiglia di un abusato, il vescovo
deve mettersi in ascolto, deve fare
il padre, senza scandalizzarsi; e deve
attivare anzitutto ogni forma di protezione
della vittima. E saggezza vuole
che si sospendano dalle funzioni ministeriali
e pastorali i sacerdoti coinvolti».
Lei ha conosciuto più di un sacerdote
abusante. Cosa ha consigliato loro?
«Di autodenunciarsi subito».
Ha l’impressione che i silenzi usati
dalla Chiesa in passato abbiano compromesso
le indagini sui fatti?
«Sì, in alcuni casi».
Ma al contempo Meter è conosciuta
come uno dei movimenti più impegnati
in Europa contro la pedofilia e
in 20 anni ha denunciato qualcosa come
200 mila siti pedopornografici...
«Quando cominciai ero un sacerdote
solo. L’anno scorso, quando abbiamo organizzato
la XIV Giornata dei bambini
vittime della violenza, abbiamo ricevuto
l’adesione di 40 diocesi e lo stesso Benedetto
XVI ci ha ricordati il 3 maggio
al Regina Caeli in piazza San Pietro».
L’ultimo segnale di speranza in questa
battaglia?
«Lo scioglimento del partito pedofilo
olandese. Ora attendiamo che il nostro
Parlamento approvi le norme contro
l’apologia di pedofilia».
Alberto Laggia
Lo “scandalo” mediatico scatenato
sui “preti pedofili” in
due continenti, Europa e
America, sta rivelando un fenomeno
di malafede difficilmente
immaginabile per qualsiasi altro
caso di comportamenti immorali
e illegali. È ora di reagire sul piano
della realtà e dire le cose come
stanno davvero.
Non c’è alcun dubbio che la pedofilia
è per la Chiesa cattolica
“vergogna e disonore”, come ha
scritto Benedetto XVI nella Lettera
ai cattolici irlandesi, in cui parla
di “crimini abnormi” e di colpo
inferto alla Chiesa «a un punto tale
cui non erano giunti neppure
secoli di persecuzione». Lo stesso
Pontefice aveva già drammaticamente
lamentato «quanta sporcizia
c’è nella Chiesa», quando era
ancora prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede, e
lo aveva fatto con cognizione di
causa, visto che tante cose, in
quella veste, già le conosceva.
In queste settimane sono intervenuti
personaggi di diversa levatura
e responsabilità a dare alla
realtà un’immagine più precisa
di quanto emerge da giornali e televisioni,
spesso su fatti avvenuti
decenni or sono e chiusi magari
con assoluzioni.
Joaquin Navarro-Valls, già direttore
della Sala stampa vaticana,
ha fatto rilevare su La Repubblica
che secondo «le statistiche
più accreditate» hanno subìto
abusi sessuali una ragazza su tre
e un ragazzo su cinque, nella stragrande
maggioranza dei casi a
opera di parenti stretti. La percentuale
di coloro che in un campione
rappresentativo della popolazione
americana «hanno molestato
sessualmente i bambini si
muove dall’1 al 5 per cento».
Uno dei più importanti studiosi
internazionali di sociologia
applicata alle religioni, Massimo
Introvigne, cita il collega Philip
Jenkins e altri, i quali hanno dimostrato
che tra i pastori protestanti
la percentuale di condannati per
abusi sui minori è doppia di quella
tra i sacerdoti cattolici (che negli
ultimi 50 anni sono stati un
centinaio negli Stati Uniti e altrettanti
nel resto del mondo: anche
se fossero soltanto due sarebbero
già comunque due di troppo…)
ed è addirittura dieci volte più alta
fra i professori di ginnastica e
gli allenatori di squadre sportive
giovanili.
Quali siano le cause della diffusione
del fenomeno è un altro tema
in discussione. Papa Benedetto
XVI nella Lettera citata parla
della “rapida” scristianizzazione
sociale, «che spesso ha colpito
con effetti avversi la tradizionale
adesione del popolo all’insegnamento
e ai valori cattolici», e ha
accompagnato «la tendenza, anche
da parte di sacerdoti e religiosi,
ad adottare modi di pensiero
e di giudizio delle realtà secolari
senza sufficiente riferimento
al Vangelo».
Intellettuali come Alan Gilbert,
Callum Brown e Hugh
McLeod, ricordati sempre da Introvigne,
affermano che c’entrano,
da cinquant’anni a questa
parte, il boom economico, il consumismo,
il femminismo e le presunte
libertà individuali sulla vita
dalla nascita alla morte, il relativismo
filosofico ed etico (il connubio
fra psicanalisi e marxismo,
le “nuove teologie”…): secondo il
Papa, un’autentica rivoluzione,
nonmeno importante della Riforma
protestante e della Rivoluzione
francese.
Ma, per concludere con Navarro-
Valls, quale Stato si è mai
preoccupato seriamente dell’abuso
sessuale dei minori come fenomeno
sociale di estrema importanza?
Quale altra confessione religiosa
si è mossa, come sta facendo
la Chiesa di Benedetto XVI,
per scovare, denunciare e assumere
pubblicamente il problema,
portandolo alla luce e perseguendolo
esplicitamente?
Beppe Del Colle
Voglio esprimerle la mia paura per
il “terremoto” della pedofilia che ha
investito la nostra Chiesa. Il cardinale
Bagnasco ha detto: «Nessuna ombra, per
quanto grave, dolorosa, deprecabile, può
annullare il bene compiuto dai sacerdoti».
Però, non c’è nulla di più sacro e inviolabile
della vita di un bambino. Ora posso capire
la giusta indignazione verso certa stampa,
soprattutto straniera, che mira solo a
infangare e delegittimare il Santo Padre,
ma gli abusi ci sono stati. È innegabile. La
pedofilia non è un male che riguarda solo la
Chiesa cattolica, ma essa non può trincerarsi
dietro uno sterile vittimismo. Chieda, prima
di tutto, perdono alle vittime. E poi faccia
pulizia delle “mele marce” al suo interno.
Non possiamo aver paura della verità.
Altrimenti, l’alternativa è affogare nel fango.
Mario
In questi giorni di duri attacchi alla Chiesa,
voglio esprimere la mia solidarietà e stima
a Benedetto XVI, sicuro che le “mele marce”
sono state e saranno allontanate. A tutti
i livelli. Ho 53 anni e da sempre frequento
la Chiesa. Posso affermare che ho conosciuto
tantissimi preti che hanno svolto il loro
ministero con serietà, impegno e rettitudine.
Sempre al servizio del Vangelo e della
comunità: giovani, anziani, famiglie
in difficoltà, immigrati, disadattati, poveri,
emarginati. E sempre con tanto amore.
Ma amore con la “A”
maiuscola.
Santo
Ribadisco: “tolleranza zero” con chi si macchia
di una colpa così infamante nei confronti
dei bambini. Gesù ha usato parole durissime
contro chi reca scandalo ai più piccoli. Però,
la Chiesa non pensa solo a difendersi, agisce
come dovrebbero fare anche altri, perché
la pedofilia tocca tanti ambienti. Benedetto
XVI ha fatto della lotta alle “sporcizie nella
Chiesa” un punto qualificante del suo ministero.
Cinque anni di pontificato a servizio
della verità. Il dramma che la Chiesa sta vivendo
non può far dimenticare il molto bene
che essa fa. Da questo scandalo potrà uscirne
“purificata”.
La morale cristiana considera un peccato grave
la pedofilia, ma come difendersi dai pedofili
che hanno deturpato il volto della Chiesa?
Giovanni S. - Milano
La Chiesa non dimentica le
parole di Gesù: «Chiunque scandalizza
uno di questi piccoli, è
meglio che gli venga appesa al
collo una macina da mulino e
sia gettato nel mare» (Mt 18,6).
È un crimine portato su una
creatura che non sa difendersi,
che segna in modo negativo la sua vita. Ma
non dimentica neppure le parole di speranza:
«Non sono venuto per condannare, ma per salvare
» (Gv 12,47). Con il suo sangue ha lavato anche
questo peccato scellerato e lo perdona, ma
a una condizione: «Va’ e non peccare più». Nel
caso del pedofilo l’invito deve essere inteso nel
senso di riparare al male fatto, compresa una
pena adeguata; e nel senso che il pedofilo va
messo in condizione di non ripetere il peccato.
Non basta un generico “buon proposito di non
peccare più”, ci vuole un’adeguata terapia che
lo metta in condizione di non nuocere più e di
controllare questo suo istinto perverso.
Giordano Muraro