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sabato 07 settembre 2024
 
 

Dossier - Abusi sui minori

21/04/2010  Tutti gli articoli e i commenti di Famiglia Cristiana sullo scandalo pedofilia

Un titolo a caratteri cubitali gridava “Maledetti pedofili”. Non era del New York Times e nemmeno di altri giornali che oggi si distinguono nell’accusare la Chiesa per aver insabbiato i casi di pedofilia al suo interno. Quel titolo era di Famiglia Cristiana e risale al dicembre 1997, quando era ancora direttore don Leonardo Zega, che subì anche un processo per aver accennato in un’intervista a noti sostenitori della pedofilia tra le file della cultura italiana.

Il settimanale dei Paolini non ha mai smesso di denunciare la pedofilia nel suo insieme e all’interno della Chiesa, come testimoniano i numerosi articoli dedicati nel tempo a un sacerdote impegnato in prima persona contro questo odioso crimine: don Fortunato Di Noto.

In questo dossier abbiamo radunato gli ultimi interventi di Famiglia Cristiana sul tema: articoli, editoriali, interventi del teologo e del direttore sono ora a disposizione dei lettori anche sul nostro settimanale in versione online per avere un quadro esauriente e un aiuto a farsi un’idea della gravità del problema.
                                                                                                                  Giusto Truglia

Domenica 25 aprile alla recita del Regina Coeli Benedetto XVI ricorderà la “Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza”, appuntamento promosso 14 anni fa dall’associazione (www.associazionemeter.org) fondata dal sacerdote siciliano don Fortunato Di Noto, parroco di Avola e da vent’anni in prima fila nella lotta alla pedofilia e alla pedopornografia on line.

Una folta delegazione dell’associazione sarà presente per l’occasione in piazza San Pietro, mentre ad Avola l’intervento del Papa sarà seguito grazie a un maxischermo collocato in parrocchia. «La menzione del Santo Padre, che ci ha già ricordati l’anno scorso, per noi ha un valore eccezionale e dimostra una volta di più come stia a cuore a questo pontefice la lotta alla pedofilia e alla violenza minorile», ha dichiarato don Di Noto che ha aggiunto sul tema scottante dei casi di pedofilia nel clero: «Il Papa ha reagito in maniera chiara, dura e forte. E ha ribadito ancora una volta da che parte sta: da quella dei bambini e delle vittime. E noi non possiamo che stare con lui».

Sugli attacchi della stampa estera a Benedetto XVI , il sacerdote ha aggiunto: «Si tratta di attacchi plateali. Il problema della pedofilia è complesso, trasversale, globale, perché è sotto gli occhi di tutti che gli abusi sessuali coinvolgono 170 milioni di minori nel mondo. Da un mese a questa parte sembra, invece, che sacerdote sia uguale a pedofilo. E’ capitato pure a me, che mi occupo con Meter di lotta alla pedofilia da vent’anni, di essere stato apostrofato da sconosciuti per strada con l’insulto "Prete, sei un pedofilo!". Questo è il frutto di un’informazione strumentale che da una parte vuole soltanto colpire la Chiesa e dall’altra non dedica una riga a chi, come noi, in un solo anno ha segnalato alla Polizia Postale 9.800 siti pedopornografici».

Alla Giornata hanno già dato l’adesione 16 diocesi. Messaggi di saluto sono giunti dal Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano e dal Presidente del Senato Renato Schifani. E per il 25 aprile un centinaio di bambini della parrocchia di Avola, insieme con i loro catechisti, invieranno una lettera di solidarietà al Papa.
                                                                                             Alberto Laggia

Davvero non ci sono parole che possano esprimere lo sdegno e lo stupore per lo scandalo della pedofilia e degli abusi sessuali su minori da parte di persone consacrate; crimine tanto più odioso perché opera di persone che dovrebbero essere i naturali protettori dei piccoli e perpetrato su persone che non si possono difendere adeguatamente. Il fenomeno è esploso anni fa in America dove è stato anche strumentalizzato in chiave di rivendicazioni economiche. Ma i casi, purtroppo, si sono verificati un po’ dovunque nella Chiesa. Ultimamente se ne è parlato in rapporto a Irlanda e Germania, come riferisce la recente cronaca. E il Papa, ancora una volta, oltre che esprimere la sua fortissima preoccupazione, ha avuto chiare e forti parole di condanna. Anche se statisticamente non sembra che la categoria “preti” sia più colpevole di altre nei riguardi di questo crimine, la condanna della Chiesa e di ogni persona dotata di ragione deve essere chiara e forte.

Non si può fare silenzio o nascondere, come, a volte, è successo per il passato: oltre al danno arrecato alle vittime c’è il rischio di diventare complici di comportamenti criminosi, senza contare che, in tal modo, non si dà alcun sostegno né alla vittima, che porterà per tutta la vita le conseguenze dell’offesa ricevuta, né al “carnefice” che, in tal modo, potrebbe almeno rendersi consapevole della gravità delle sue azioni.

Da qualche anno si invoca la tolleranza zero. E questo vuol dire: non nascondere, essere fermi nella denuncia, mettere i soggetti inclini a tali crimini nella condizione di non più nuocere e, ancora più a monte, fare di tutto perché simili soggetti non arrivino all’ordinazione o alla professione religiosa. A tal proposito va ricordato che spesso (taluni dicono: sempre) chi abusa è stato a sua volta abusato; e questa dovrebbe essere una ragione in più per verificare una eventuale vocazione anche alla luce della storia individuale e familiare del soggetto. Né andrebbe sottovalutato il ruolo dei formatori. Qualche tratto deviante nella loro personalità potrebbe incidere negativamente sulla piena maturità del futuro presbitero o religioso.

Tolleranza zero non può voler dire colpevolizzare un’intera categoria (i preti lo sanno bene!) o far diventare condanna certa quello che è un sospetto o una semplice denuncia. Molti casi denunciati si sono dimostrati infondati: e non sono mancati i casi in cui la riconosciuta innocenza è arrivata tardi, magari quando l’interessato era già morto per il dispiacere dovuto all’accusa. Accanto al diritto della vittima ad avere la giusta sentenza e la riparazione (mai del tutto adeguata, purtroppo!) per il danno ricevuto, si dovranno, però, anche garantire i diritti inalienabili di ogni uomo a difendersi. Né condanne mediatiche né condanne sommarie. Sia in sede civile, sia di fronte all’autorità ecclesiastica. E se è vero, come gli esperti sostengono, che, a prescindere dalla loro responsabilità umana e morale, gli autori della pedofilia o degli abusi sessuali sono affetti da una malattia, bisognerà provvedere alla loro cura in adeguate strutture. Cosa difficile, non impossibile, sicuramente doverosa verso dei fratelli che hanno bisogno di aiuto.

                                                                                        Giuseppe Pernigotti

«Spero che la Chiesa si impegni pastoralmente contro la pedofilia ». Don Fortunato Di Noto lo scriveva già nel 1996 in una lettera aperta sul Corriere della Sera. Oltre a piegarsi sulle sofferenze per le vittime, il prete, allora, era tra i pochissimi ad aver intuito le conseguenze deflagranti che un’accusa di pedofilia rivolta a un consacrato avrebbe potuto causare. Non a caso sarà proprio lui, il prossimo giugno, a volare in Irlanda, invitato dalla Conferenza episcopale di quel Paese sconvolta dallo scandalo-abusi, per portare la sua esperienza di sacerdote che da vent’anni combatte la pedofilia e la pedopornografia on-line. «Il documento del Papa è una novità assoluta e inaugura un nuovo fronte pastorale: quello contro la pedofilia»: è il primo commento di don Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter, alla lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, uscita nei giorni scorsi dopo i gravissimi episodi di abusi emersi tra il clero irlandese. «Il Papa è chiarissimo, nessuno ha scuse di sorta: chi si macchia di questi atti non deve sottrarsi alla giustizia di Dio, né a quella dei tribunali. Da qui non si torna indietro».

Vede un atteggiamento diverso delle gerarchie ecclesiali nei confronti di questo fenomeno?
«Oggi non c’è più una conferenza episcopale anglofona che non si sia attivata contro la pedofilia, aprendo un centro e un programma di protezione per le vittime».

Dopo i casi in Irlanda, Germania e Austria, può scoppiare in Europa un “ciclone pedofilia” come quello di dieci anni fa negli Usa?
«Gli atti di cui si sono macchiati molti sacerdoti e le coperture date loro da alcuni vescovi sono fatti gravissimi. Mi pare, però, che qualcuno abbia strumentalizzato queste vicende per colpire la Chiesa cattolica».

Che ne pensa della via del risarcimento economico intrapreso dalla Chiesa americana? «Che si potrebbe prevedere anche in Italia, come Chiesa, un sostegno economico e psicologico alla famiglia dell’abusato. Ma non si usa nei confronti dello Stato lo stesso zelo per sottolineare le omissioni della Cei».

A cosa allude?
«Quand’è che anche il Senato, dopo il voto all’unanimità della Camera, approverà la convenzione di Lanzarote, che prevede pene più severe, un fondo per le vittime e tempi più lunghi per la prescrizione dei reati di pedofilia?».

Da dove dovrebbe partire la prevenzione del fenomeno dentro la Chiesa?
«Dai seminari. La selezione va curata di più. Meglio avere meno preti, ma che siano preti. E poi, in una società fortemente erotizzata come la nostra, il seminario deve educare con serenità agli affetti».

C’entra qualcosa il celibato con la tendenza alla pedofilia?
«È una perfetta fola laicista, grettamente anticlericale: se facciamo le proporzioni, gli abusi sessuali sui minori vengono perpetrati molto di più da chi celibe non è. Il vincolo celibatario non c’entra per nulla».

Riduzione allo stato laicale dei sacerdoti pedofili. Concorda con la linea dell’assoluta severità?
«Già il Concilio di Elvira, nel IV secolo, prevedeva l’espulsione dalla comunità ecclesiale di chi si macchiava di questi reati. Se un sacerdote commette questo gravissimo peccato, accertato in via definitiva, non può più fare il prete. D’altra parte, anche la legge va in questo senso: un padre che abusa di un figlio perde la patria potestà».

Un sacerdote che si macchia di pedofilia dev'essere ridotto allo stato laicale?
«È inevitabile».

Un personaggio autorevole come monsignor Charles J. Scicluna, “promotore di giustizia” alla Congregazione per la dottrina della fede, ha affermato che «una certa cultura del silenzio è ancora troppo diffusa nella Penisola». Che ne pensa?
«Dico solo che se noi staremo nel silenzio, grideranno soltanto le vittime. E se non grideranno ora, lo faranno dopo. Ma aggiungo anche: se non ascolteremo il grido degli innocenti, come Chiesa, sarà Dio ad ascoltarli e sarà lui a intervenire».

Ma c’è ancora omertà?
«A volte non si sa gestire il problema. Ho ricevuto più volte telefonate di vescovi che mi chiedevano consigli. Quando arriva una segnalazione, o si presenta la famiglia di un abusato, il vescovo deve mettersi in ascolto, deve fare il padre, senza scandalizzarsi; e deve attivare anzitutto ogni forma di protezione della vittima. E saggezza vuole che si sospendano dalle funzioni ministeriali e pastorali i sacerdoti coinvolti».

Lei ha conosciuto più di un sacerdote abusante. Cosa ha consigliato loro?
«Di autodenunciarsi subito».

Ha l’impressione che i silenzi usati dalla Chiesa in passato abbiano compromesso le indagini sui fatti?
«Sì, in alcuni casi».

Ma al contempo Meter è conosciuta come uno dei movimenti più impegnati in Europa contro la pedofilia e in 20 anni ha denunciato qualcosa come 200 mila siti pedopornografici...
«Quando cominciai ero un sacerdote solo. L’anno scorso, quando abbiamo organizzato la XIV Giornata dei bambini vittime della violenza, abbiamo ricevuto l’adesione di 40 diocesi e lo stesso Benedetto XVI ci ha ricordati il 3 maggio al Regina Caeli in piazza San Pietro».

L’ultimo segnale di speranza in questa battaglia?
«Lo scioglimento del partito pedofilo olandese. Ora attendiamo che il nostro Parlamento approvi le norme contro l’apologia di pedofilia».

                                                                                          Alberto Laggia

Lo “scandalo” mediatico scatenato sui “preti pedofili” in due continenti, Europa e America, sta rivelando un fenomeno di malafede difficilmente immaginabile per qualsiasi altro caso di comportamenti immorali e illegali. È ora di reagire sul piano della realtà e dire le cose come stanno davvero.

Non c’è alcun dubbio che la pedofilia è per la Chiesa cattolica “vergogna e disonore”, come ha scritto Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici irlandesi, in cui parla di “crimini abnormi” e di colpo inferto alla Chiesa «a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione». Lo stesso Pontefice aveva già drammaticamente lamentato «quanta sporcizia c’è nella Chiesa», quando era ancora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e lo aveva fatto con cognizione di causa, visto che tante cose, in quella veste, già le conosceva.

In queste settimane sono intervenuti personaggi di diversa levatura e responsabilità a dare alla realtà un’immagine più precisa di quanto emerge da giornali e televisioni, spesso su fatti avvenuti decenni or sono e chiusi magari con assoluzioni.

Joaquin Navarro-Valls, già direttore della Sala stampa vaticana, ha fatto rilevare su La Repubblica che secondo «le statistiche più accreditate» hanno subìto abusi sessuali una ragazza su tre e un ragazzo su cinque, nella stragrande maggioranza dei casi a opera di parenti stretti. La percentuale di coloro che in un campione rappresentativo della popolazione americana «hanno molestato sessualmente i bambini si muove dall’1 al 5 per cento».

Uno dei più importanti studiosi internazionali di sociologia applicata alle religioni, Massimo Introvigne, cita il collega Philip Jenkins e altri, i quali hanno dimostrato che tra i pastori protestanti la percentuale di condannati per abusi sui minori è doppia di quella tra i sacerdoti cattolici (che negli ultimi 50 anni sono stati un centinaio negli Stati Uniti e altrettanti nel resto del mondo: anche se fossero soltanto due sarebbero già comunque due di troppo…) ed è addirittura dieci volte più alta fra i professori di ginnastica e gli allenatori di squadre sportive giovanili.

Quali siano le cause della diffusione del fenomeno è un altro tema in discussione. Papa Benedetto XVI nella Lettera citata parla della “rapida” scristianizzazione sociale, «che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici», e ha accompagnato «la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, ad adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo».

Intellettuali come Alan Gilbert, Callum Brown e Hugh McLeod, ricordati sempre da Introvigne, affermano che c’entrano, da cinquant’anni a questa parte, il boom economico, il consumismo, il femminismo e le presunte libertà individuali sulla vita dalla nascita alla morte, il relativismo filosofico ed etico (il connubio fra psicanalisi e marxismo, le “nuove teologie”…): secondo il Papa, un’autentica rivoluzione, nonmeno importante della Riforma protestante e della Rivoluzione francese.

Ma, per concludere con Navarro- Valls, quale Stato si è mai preoccupato seriamente dell’abuso sessuale dei minori come fenomeno sociale di estrema importanza? Quale altra confessione religiosa si è mossa, come sta facendo la Chiesa di Benedetto XVI, per scovare, denunciare e assumere pubblicamente il problema, portandolo alla luce e perseguendolo esplicitamente?

                                                                                   Beppe Del Colle

Voglio esprimerle la mia paura per il “terremoto” della pedofilia che ha investito la nostra Chiesa. Il cardinale Bagnasco ha detto: «Nessuna ombra, per quanto grave, dolorosa, deprecabile, può annullare il bene compiuto dai sacerdoti». Però, non c’è nulla di più sacro e inviolabile della vita di un bambino. Ora posso capire la giusta indignazione verso certa stampa, soprattutto straniera, che mira solo a infangare e delegittimare il Santo Padre, ma gli abusi ci sono stati. È innegabile. La pedofilia non è un male che riguarda solo la Chiesa cattolica, ma essa non può trincerarsi dietro uno sterile vittimismo. Chieda, prima di tutto, perdono alle vittime. E poi faccia pulizia delle “mele marce” al suo interno. Non possiamo aver paura della verità. Altrimenti, l’alternativa è affogare nel fango.
                                                                                                                           Mario


In questi giorni di duri attacchi alla Chiesa, voglio esprimere la mia solidarietà e stima a Benedetto XVI, sicuro che le “mele marce” sono state e saranno allontanate. A tutti i livelli. Ho 53 anni e da sempre frequento la Chiesa. Posso affermare che ho conosciuto tantissimi preti che hanno svolto il loro ministero con serietà, impegno e rettitudine. Sempre al servizio del Vangelo e della comunità: giovani, anziani, famiglie in difficoltà, immigrati, disadattati, poveri, emarginati. E sempre con tanto amore. Ma amore con la “A” maiuscola.                                                                                                           Santo


Ribadisco: “tolleranza zero” con chi si macchia di una colpa così infamante nei confronti dei bambini. Gesù ha usato parole durissime contro chi reca scandalo ai più piccoli. Però, la Chiesa non pensa solo a difendersi, agisce come dovrebbero fare anche altri, perché la pedofilia tocca tanti ambienti. Benedetto XVI ha fatto della lotta alle “sporcizie nella Chiesa” un punto qualificante del suo ministero. Cinque anni di pontificato a servizio della verità. Il dramma che la Chiesa sta vivendo non può far dimenticare il molto bene che essa fa. Da questo scandalo potrà uscirne “purificata”.

La morale cristiana considera un peccato grave la pedofilia, ma come difendersi dai pedofili che hanno deturpato il volto della Chiesa?
                                                                              Giovanni S. - Milano

La Chiesa non dimentica le parole di Gesù: «Chiunque scandalizza uno di questi piccoli, è meglio che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (Mt 18,6). È un crimine portato su una creatura che non sa difendersi, che segna in modo negativo la sua vita. Ma non dimentica neppure le parole di speranza: «Non sono venuto per condannare, ma per salvare » (Gv 12,47). Con il suo sangue ha lavato anche questo peccato scellerato e lo perdona, ma a una condizione: «Va’ e non peccare più». Nel caso del pedofilo l’invito deve essere inteso nel senso di riparare al male fatto, compresa una pena adeguata; e nel senso che il pedofilo va messo in condizione di non ripetere il peccato. Non basta un generico “buon proposito di non peccare più”, ci vuole un’adeguata terapia che lo metta in condizione di non nuocere più e di controllare questo suo istinto perverso.
                                                                                   
Giordano Muraro

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