«Le genti d’Europa possono guardare al futuro con fiducia», recita suadente la voce della ragazza che emerge da un vaso greco per attraversare il Continente. Poi compare il neo presidente della Banca Centrale europea Mario Draghi che parla di una «sfida senza precedenti portata avanti con successo» e tranquillizza i cittadini: «Possono essere sicuri che la Banca Centrale resterà fedele al suo mandato di mantenere la stabilità dei prezzi». Secondo autorevoli economisti, però, il fatto che la Bce si debba occupare, per statuto, solo di quest’aspetto della politica economica è il principale motivo per cui l’Eurozona oggi rischia di fare crack.
Ogni compleanno, si sa, porta con sé una dose di inevitabile retorica. Quello dell’euro, di cui si festeggia il decimo anniversario il 1° gennaio prossimo, non sfugge alla regola.
Mentre i leader europei stanno freneticamente cercando di mettere a punto un piano di salvataggio della moneta unica, la Bce ha diffuso un video (http://www.ecb.europa.eu/euro/html/anniversary.en.html) celebrativo per la ricorrenza dove tra musiche e immagini i problemi di questi giorni scompaiono quasi per magia. Restano, sul canale Youtube dove è stato pubblicato il filmato, i commenti al vetriolo di molti internauti: «È la propaganda dei burocrati di Bruxelles», scrive uno. «Non è folle», rincara la dose un altro utente, «che dopo mesi passati sull'orlo del disastro siamo costretti a celebrare l’euro?». Qualcun altro parla di «humor accidentale». Anche i media internazionali, però, non hanno risparmiato frecciate. «Il video», scrive il Financial Times, «non è molto convincente. Avendo vissuto con l’euro per una decade, la maggior parte dei cittadini conosce bene l’aspetto grafico delle banconote. Avrebbero preferito ascoltare argomenti sul perché dovrebbe essere in circolazione per altri 10 anni».
Il Financial News, portale d’informazione finanziaria del gruppo Dow
Jones, parla di «ritratto idilliaco» nel quale sono «stranamente assenti
i poliziotti anti-sommossa greci».
Il riferimento è ai disordini pubblici e agli scioperi a raffica che da
mesi stanno mettendo a ferro e fuoco il Paese ellenico finito in
bancarotta. «Si trovano in uno stato di rimozione», tuona il tabloid
britannico Daily Express, «la baracca crolla davanti ai loro occhi e
rifiutano di accettare che la loro idea è stata solo un sogno
trasformatosi in un incubo».
Una posizione che riflette bene il no del premier inglese David Cameron
che all’eurovertice di Bruxelles del 9 dicembre si è sfilato
dall’accordo per rafforzare i sistemi di salvataggio economico e dei
paesi della zona euro determinando una spaccatura tra Gran Bretagna, da
un lato, e Francia e Germania dall’altro.
Il video si conclude ricordando ai cittadini di Italia, Francia,
Finlandia e Grecia che hanno tempo fino a febbraio per cambiare in euro
le vecchie monete in valuta nazionale. Dimenticando, forse, che ad
Atene, visto il rischio default, le dracme potrebbero (purtroppo)
tornare di nuovo a servire. E in Italia, invece, i cittadini che non
hanno cambiato le lire a loro disposizione dal 6 dicembre scorso non
possono farlo più. Lo prevede una norma del decreto “Salva Italia”
varato dal governo Monti che ha stabilito la prescrizione anticipata
della lira. Quella in circolazione, un “tesoretto” di 1,3 miliardi di
euro, lo ha già incamerato lo Stato.
Retorica europeista a parte, arrivati al giro di boa un bilancio di 10 anni di euro va comunque fatto. Partendo dalle tasche dei cittadini. «È una verità assoluta che la moneta unica ha fatto aumentare i prezzi», sbottò nel 2004 l’ex premier Silvio Berlusconi durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Tutti i torti, in effetti, non li aveva.
Dal 2002, infatti, secondo le associazioni dei Consumatori che hanno messo a confronto i prezzi del 2001 con quelli del 2011 gli aumenti medi sono stati pari al 72 per cento, con punte del 300 per cento per un cono gelato e del 200 per una penna a sfera o una confezione di caffè.
Senza contare l’aumento di alcuni beni di consumo quotidiano come il biglietto per l’autobus, passato da 1.500 lire a 1,50 euro, con un aumento del 93,6 per cento. O le commissioni per pagare un bollettino postale: nel 2001 si pagava 1.500 lire (77 centesimi in euro). Oggi si paga 1 euro e 10 centesimi, il 42 per cento in più. Per prelevare dal bancomat, invece, nel 2001 si pagavano 3.300 lire (1,70 euro). Adesso siamo arrivati a 3 euro, vale a dire il 76 per cento in più. Il salasso maggiore si è verificato per colazione e snack. Dieci anni fa bastavano 2.300 lire (1,19 euro) per prendere cappuccino e brioche al bar. Adesso si spendono 2 euro e 20 centesimi. In percentuale, un aumento dell’84 per cento.
È andata peggio per il tramezzino: costava 1.500 lire nel 2001 e adesso si spendono, in media, 2 euro e 30 centesimi, il 192 per cento in più.
Spostarsi in nave costa il 147 per cento in più rispetto a dieci anni fa. In crescita anche il costo del trasporto aereo (+61 per cento) e sui treni (+46 per cento).
Costi più che raddoppiati anche per andare al cinema. Spendevamo 13mila lire in passato (6,71 euro) per un biglietto intero. Oggi servono 12 euro per accomodarsi in poltrona, il 78 per cento in più. Emblematico, da questo punto di vista, il comportamento dei prodotti derivati dai cereali, pane e pasta in testa. Il loro indice, mantenutosi al di sotto dell’aumento generale del costo della vita fino al 2007, è in realtà salito nei dieci anni di euro del 33 per cento (dieci punti in più dell’inflazione) proprio a causa dell’esplosione della bolla dei cereali.
Una volta rientrata l’emergenza, però, il prezzo di pane e pasta non è
ridisceso, come ci si sarebbe potuto aspettare. Una tipica dinamica
speculativa, insomma, che è ricaduta nelle tasche dei cittadini, andando
invece a gonfiare le borse dei produttori e, soprattutto, degli
intermediatori finanziari. Tutta colpa della nuova moneta? No. La
responsabilità maggiore è di chi, dalle Autorità di garanzia ai vari
governi, non ha vigilato abbastanza per tutelare il portafogli dei
cittadini.
Secondo una ricerca dell’associazione Altroconsumo, il rialzo dei prezzi
ha provocato una diminuzione del potere d’acquisto di circa il 7 per
cento a famiglia. Tra le cause, l’inflazione crescente, l’aumento del
prezzo dei cereali, i rincari nelle bollette e nei trasporti: settori
vitali in un bilancio familiare.
Un vero e proprio salasso, invece, gli aumenti sulle bollette. La tassa
sui rifiuti è cresciuta in media del 33 per cento, quella dell’acqua
addirittura del 52 per cento. I premi Rc auto sono cresciuti a dismisura
in città come Napoli (+122 per cento) e Palermo (+77 per cento).
Secondo Altroconsumo, concorrenza e apertura al mercato sono state le
uniche soluzione in grado di arginare la corsa al rialzo dei prezzi. Il
settore farmaceutico ad esempio, grazie alla distribuzione alternativa,
ha garantito ai consumatori una spesa media più bassa del 28 per cento.
Viceversa, un settore refrattario alla concorrenza come quello dei taxi
ha fatto registrare un impennata dei prezzi delle tariffe del 34 per
cento. Al boom del costo degli alimentari, c’è stato un crollo di quello
dei prodotti tecnologici, come telefonini (-73 per cento) e computer
(-64 per cento).
Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori, ha fatto con noi un bilancio di questi dieci anni di moneta unica. E parte subito da una premessa: «La crisi che stiamo attraversando in questo momento potrebbe indurre molti all’euroscetticismo e ad improbabili nostalgie», dice, «adesso, invece, se c’è una cosa che dobbiamo fare tutti insieme, cittadini e istituzioni, è quella di consolidare la moneta unica. Un ritorno alla lira sarebbe un dramma di proporzione immensa».
Il decennio che ci lasciamo alle spalle è stato comunque difficile: «Il passaggio all’euro da molti cittadini è stato saluto con gioia e speranza. Il problema è che a causa dei mancati controlli e delle speculazioni è diventato un vero e proprio incubo soprattutto per le famiglie a reddito fisso e i pensionati. Non dimentichiamo che in ogni provincia italiana erano stati costituiti dei comitati sulla moneta unica che, in collaborazione con i Prefetti, avrebbero dovuto controllare l’andamento dei prezzi segnalando le anomalie. In realtà, non se ne fece nulla e vennero sciolti dopo pochi mesi dal debutto della nuova moneta».
Secondo Trefiletti, «dal 2001 ad oggi le famiglie hanno perso in potere d’acquisto 135 miliardi di euro. In una prima fase, fino al 2005, per mantenere standard di vita normali alcuni hanno utilizzato i risparmi, altri si sono indebitati. Al netto dei mutui, per le famiglie italiane l’indebitamento è stato di circa 107 miliardi di euro».
E nella seconda fase cosa è successo? «C’è stata una contrazione dei consumi in tutti i settori, dal turismo all’alimentare ai servizi, a parte il gioco d’azzardo», afferma Trefiletti, «poi nel 2008 è arrivata la crisi dei subprime americani che ha travolto tutto l’Occidente, e che ha messo in ombra la crisi precedente».