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domenica 06 ottobre 2024
 
 

Giro, l'entusiasmo riparte dal Basso

30/05/2010  La vittoria dell'italiano ci restituisce un uomo, forse un campione, certo tanta passione in più per uno sport che cerca strade nuove.

Non giochiamo con le parole, ma davvero pensiamo di non pensar male pensando a quello che molti pensano a proposito del successo nel bellissimo Giro d'Italia 2010 di Ivan Basso, 32 anni, sposato, due figli, e cioè: attenzione a gridare al campione, lo abbiamo gridato nel 2006 quando Basso vinse una prima volta il Giro d'Italia, poi ci sono stati i due anni di buio nella storia del corridore varesino, fermato per doping, il doping più misterioso e se vogliamo anche più tenebroso, quello della sacche di sangue di atleti custodite e arricchite dal dottor Fuentes, spagnolo dedito anche alla chimica applicata (ma non mai inquisita) a calciatori e tennisti celebri. Basso ha ammesso la colpa, ha pagato al mondo, si è ripulito tutto sommato nel modo più doloroso ed onesto.

     Ecco, noi pensiamo che molti possano pensare con scetticismo al suo gran ritorno, e intanto, sicuri di non contraddirci, pensiamo che si sbaglino. Nel senso che Basso è a posto: vero che troppe volte il ciclismo ha deluso chi ha creduto nelle sue voglie di pulizia, ma vero anche che c'è stata una svolta, che esiste una corsa al rinnovamento, al rinascimento, al risorgimento, e che Basso ha tutto per essere il migliore interprete del copione coraggioso, perché è quello che ha sofferto di più la parte.  Il discorso sull'uomo ci pare debba partire da una fiducia ritrovata, da un applauso alla rinascita. Il discorso sul campione ha bisogno di un riscontro che si chiama Tour de France.

     Basso ha in progetto di andare al Tour, sapendo di avere avversari che si chiamano Contador, Armstrong, Schleck, sapendo soprattutto di essere un controllatissimo, un comunque-sospettato. L'antidoping francese è severo, può diventare cattivo se viene accertato, come pare, che Lance Armstrong se lo è spupazzato con disinvoltura e non un volta sola, usando, sfruttando la licenza di ormoni datagli da un cancro affrontato e vinto e però con lo strascico costante dell'assunzione di speciali farmaci, vietati agli altri corridori.

     Il Tour non è più difficile del Giro, le grandi montagne della corsa rosa sono più dure di quelle francesi, e quest'anno quasi ogni tappa è stata mossa, combattuta. E al via c'era un ex vincitore dello stesso Tour, lo spagnolo Sastre, c'era un corridore da due secondi posti a Parigi, l'australiano Evans in corsa con la maglia di campione del mondo. In altri Giri, per altri ciclisti italiani, per lo stesso Basso del 2009, questa presenza straniera sarebbe bastato: nel senso che non ci sarebbe stato uno dei nostri con la maglia rosa finale.  Basso può vincere il Tour.

     E il Tour può “vincere” Basso? La corsa francese ha una risonanza enorme, può bastare per tutta una carriera, ha un soffio vitale che prescinde dalle fortune, dalle contingenze del ciclismo, nel senso che è un fatto letterario, culturale, persino spirituale. Basso ha vinto la paura del ritorno dopo il doping, impiegando per farcela tutto un 2009 di gare umili e spesso irrise, potrebbe anche vincere la soggezione di fronte al Tour. Non è un pronostico, è una speranza.

Un po' di maglie rosa, una tappa, un gran buon lavoro, e in salita, a pro del capitano Basso, il terzo posto agganciato alla fine, all'Arena di Verona piena di folla che al ciclismo crede ancora, eccome, e che ha saputo aopplaudire anche lo spagnolo Arroyo, secondo e non nemico di nessuno. Vincenzo Nibali, un giovanotto siciliano di ventisei anni, dovrebbe, potrebbe essere il nostro uomo nuovo. Il problema è che non glielo urlino in troppi.

     Due Giri d'Italia stanieri (Contador spagnolo nel 2008 e Menchov russo nel 2009), più il Tour manco sognato, sembravano avere dimensionato assai il nostro ciclismo, che quest'anno non aveva ancora centrato, prima del Giro, un traguardo importante, una grande cosa.  Nibali doveva fare il Tour e basta, al Giro ha sostituito all'ultimo Pellizzotti, fermato dal passaporto biologico, il che non vuol dire che lui sia colpevole di doping o qualcosa di simile. Poteva, Nibali, correre rilassato, aveva gli alibi regolari, su tutti quello della non preparazione, o della preparazione non ad hoc. Invece ha fatto bene e benissimo, non si è mai lamentato di nulla e di nessuno. È stato onesto senza bisogno di essere anche polemico, come invece sembra che in troppe occasioni sia la regola, sia una necessità. Sembra avere le idee chiare e la testa buona per reggere persino alla grossa celebrità.

     Vero che tante, troppe volte nel ciclismo siamo stati smentiti, che il doping ha azzerato nostre previsioni, nostre constatazioni felici. Ma ci sembra che stavolta dovremmo procedere abbastanza tranquilli. E' nato un corridore vero, può nascere un campione autentico. E non solo: ci possiede la benedetta idea ottimistica che ci siano anche altri Nibali per strada, stanno pedalando onestamente, accanitamente ma non maniacalmente, verso la celebrità, fachirescamente ma non masochisticamente, verso il riconoscimento a tutto tondo del loro valore, lasciando dietro le ipotesi di chimica, peccaminosa  (e pericolosa) e facile. Cose insomma da vecchio ciclismo che però, alla faccia degli adoratori dei nuovi idoli, non vuole proprio saperne di morire. Aiutandoci e aiutandosi così, nello sport, a vivere.

 Il Giro d'Italia 2011 ha occupato molti pensieri durante lo svolgimento del Giro d'Italia 2010. Perché, mentre la corsa rosa partiva in Olanda e ci restava per tre tappe, all'insegna della raccolta di denaro ma anche della esplorazione, della curiosità geografica, si tendeva a parlare di un progetto, per la prossima edizione, che quantomeno avrebbe un valore simbolico enorme, anche se sempre al denaro si dovrà pensare: e cioè una puntatina negli Stati Uniti, a Washington, a dire che l'Italia ha centocinquant'anni e vuole farlo sapere in giro (viste anche le difficoltà che pare avere a farlo sapere a una parte di se stessa), in una città poi importante, specialissima. 

     E poi, finita a Verona la corsa 2010 che ha “scartato” tutte le grandi città italiane, si è detto, ridetto, in un certo senso benedetto l'annuncio del Giro d'Italia che, sempre per i famosi centocinquant'anni dell'Unità, arriva a Torino, la prima capitale, ritrovando anche il contatto con la metropoli, dopo che il circuito fisso Giro-Milano è andato in tilt lo scorso anno. L'idea di un ciclismo europeo che, sommerso dal grande calcio, cerca vie speciali e nuove di affermazione, cerca vetrine, ribalte eccezionali fuori dei suo stessi confini geoeconomici, non è nuova. Il Tour progetta il Canada, dove una bella fetta degli abitanti è di lingua francese. Il Giro pensa agli Stati Uniti delle nostra grande emigrazione.

     Il problema è di eseguire azioni mirate: commerciali, anche, non è peccato, ma non gaglioffe, gratuite, troppo acrobatiche. Il conflitto in salsa olandese fra il Giro che quest'anno è partito in Olanda e il Tour che fra pochi giorni lo imita, sempre Olanda ma Rotterdam al posto di Amsterdam, è abbastanza ridicolo.  Certo che appare singolare il destino prossimo venturo del ciclismo. Ha davanti due strade, per non lasciare che il calcio lo anneghi. Ripiegarsi all'interno di se stesso, riesumare la sua antica poesia, parlare di sofferenze, di dolori, di lacrime lustrali, insomma farsi piccolo per restare poetico, anzi per apparire, sempre più poetico. Oppure rivolgersi all'esterno che si chiama mondo, respirare ampio e forte e lungo prescindendo dai campioni che ha o che non ha.

 
 
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