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giovedì 19 settembre 2024
 
 

Dossier - Il rosa e il campionissimo

13/05/2010  Viaggio nell'arte a due ruote: libri, musica, ricordi e immagini ci raccontano perché, mezzo secolo dopo, Fausto Coppi è ancora vivo, non solo al Giro. Fotogallery e tre video.

Il 13 maggio per la mostra "Fausto" dedicata da Novi Ligure a Coppi, figlio di quelle terre, morto mezzo secolo fa, è il giorno dell'inaugurazione diciamo popolare – poco tempo dopo quella ufficiale - con la tanta gente ciclofila e ciclomane convenuta lì per l'arrivo della tappa del Giro d'Italia. Il Museo dei Campionissimi (Coppi e Girardengo, conterraneo predecessore nella gloria) che ora ospita la mostra, è nato a Novi nel 2003. 

    Sono 4000 metri quadrati di diorama della bicicletta unico al mondo, di rappresentazione del ciclismo massimo, quello di quei due e dei loro emuli e rivali, con i cavalli d'acciaio moderni ma anche quelli di legno del pionierismo e dell'archeologia, con le maglie da gara ristrette dall'acqua lustrale, pioggia e sudore. E con abbondanza di documentazione all'insegna della moderna tecnologia, comprese per il pubblico vaste seduzioni di interazione.  
    
    La mostra resta aperta sino al 26 settembre e poi in parte “resiste” per integrare il museo, che in un certo senso già supera: viene infatti proposto il Coppi della “chanson de geste”, sì, ma anche il Coppi della vicenda sentimentale con la Dama Bianca, gossip terribile dell'Italia di quegli anni cinquanta, il Coppi delle fratture, il Coppi delle montagne (e ci sono le pietre di quelle vette), il Coppi delle due Afriche, quella che lo tenne prigioniero in tempo di guerra e quella che lo uccise con la malaria dopo un safari alla fine del 1959. 
    
    E il Coppi inteso come contraltare di Bartali, e il Coppi ma Serse, il fratello morto in corsa, il Coppi delle due sue donne e dei due suoi figli, il Coppi uomo solo (si sente la voce del radiocronista Mario Ferretti) in fuga dal plotone e dalla vita, il Coppi delle masse piangenti, all'alba di quel 1960 che doveva vederlo ancora  in gara, ultraquarantenne guidato da Bartali, e che invece vide il suo funerale.

Fausto Coppi è stato rapito in cielo mezzo secolo fa ma non ha quasi mai smesso di abitare il Giro d’Italia, dal 1965, infatti, la corsa rosa, in omaggio alla sua maglia e alle sue doti di grande scalatore, gli dedica una “cima”, la “Cima Coppi”.

    E' un luogo mutevole e variabile, ma con una costante imprescindibile: è, sempre, la scalata più dura del Giro d’Italia, che può pure partire dal punto più basso d’Europa (Amsterdam in questo caso), ma non può esimersi mai dal dovere di arrivare, prima o poi, in alto, a una salita che spacca gambe e cuori, perché solo là la maglia rosa si tiene o si perde per sempre. 

    Nel Giro 2010, la Cima Coppi è a 2.618 metri d’altitudine nel punto più alto del Passo Gavia, cui si arriva con una salita con pendenza che supera il 15 per cento, lungo la tappa numero 20: la più alta di sempre dopo lo Stelvio.

La biblioteca del ciclismo è grandissima, perché c’è epica nella fatica, perché in un ciclista che va via a zig zag, per sfinimento, c’è un misto confuso di dramma e poesia. E infatti nella carovana del Giro hanno abitato, da sempre, scrittori di pregio, perfino poeti: Dino Buzzati, Vasco Pratolini, Anna Maria Ortese, Achille Campanile..., cronisti più o meno per caso al seguito della corsa, per niente sdegnosi del sudore, anzi. 
    
    Alfonso Gatto nutriva per la bicicletta di cui scriveva da cronista del Giro un amore non ricambiato che sintetizzò così: «In bicicletta ci vanno tutti, le donne e i bambini, i preti e i soldati, io soltanto no». Nemmeno il grande Fausto Coppi era riuscito a insegnargli, pur avendoci provato di persona: «Ma di una cosa sono certo: che se io sapessiandare in bicicletta sarei un campione. È ridicolo che ci si serva di quella macchina da angeli per camminare come fanno tutti. Cadrò, cadrò sempre fino all’ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare». 
    
    Anche per questo abbiamo pensato che non sarebbe male onorare il Giro, la bicicletta e Fausto Coppi leggendoli. Avvertenza: il criterio con cui abbiamo scelto, è assolutamente soggettivo e variabile, per niente esaustivo: libri recenti, vecchiotti, più o meno trovabili, senza un ordine logico né di graduatoria, semplicemente perché ci piacciono (anche per come sono scritti). 

    Coppi e il Diavolo, di Gianni Brera: un romanzo sul campionissimo, quello riuscito meglio a Gioanbrerafucarlo, che si sognava romanziere, ma era un inguaribile, inimitabile cronista che qui ha fuso come meglio non avrebbe potuto le sue due anime. (Per lettori epici). 

    I riciclisti di Andrea Satta, la storia contemporanea di un papà e di un bambino che vanno insieme a vedere i corridori passare e ci vedono tante cose dentro. (Per lettori che hanno ancora voglia di aspettare la corsa in strada). 

    L’angelo di Coppi, di Ugo Riccarelli, dove Coppi è un pretesto, lo sport pure soltanto uno spunto, per un libriccino piccolo di racconti che sono vera, verissima letteratura. (Per lettori raffinati). 

    Italia provincia del Giro di Gian Luca Favetto, un viaggio al seguito del Giro: più luoghi che corse. (Per (ciclo)turisti non per caso). 

    Quel che resta di Coppi di Andrea Maietti, dove il campione è solo una strada maestra per raccontare una civiltà contadina e una stagione della vita che se ne sono andate con lui. (Per lettori nostalgici). 
    
    Fausto, parole, musica, arte e amori, a cura di Gian Paolo Ormezzano. E’ il catalogo della mostra di Novi Ligure. (Per lettori che sanno riconoscere l’arte nella fatica e viceversa).

 
 
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