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domenica 08 settembre 2024
 
 

Dossier - Una maratona per "Gabo"

09/06/2010  Prosegue e si conclude oggi, a Milano, dalle 14 alle 24, nella Loggia dei Mercanti, la lettura pubblica di "Cent'anni di solitudine", il romanzo di Gabriel Garcia Marquez.

    È senza dubbio uno di quei romanzi che "si deve" conoscere se si parla di America latina. Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez è uno dei grandi capolavori della letteratura sudamericana,  l'espressione più alta del cosiddetto realismo magico nella narrativa. E Macondo, il paese teatro della complessa storia della famiglia Buendía nell'arco di un secolo, è diventato leggenda.

    Nonostante i rimandi alla realtà autobiografica dell'autore (Macondo è ispirato al paese colombiano dove Márquez è nato, Aracataca) è difficile assegnargli una collocazione geografica definita e precisa nella mappa della Colombia. Per fortuna, perché Macondo rimane, e deve rimanere, un luogo magico, un'utopia, un paese sospeso tra sogno e realtà, storia e allegorie che, con il suo mistero e la sua immutabilità, ha incantato generazioni di lettori.

    Ancora oggi, nella Loggia dei Mercanti di Milano, dalle 14 alle 24 (la prima parte è andata in scena ieri), Cent'anni di solitudine rivive nella lettura integrale, pubblica e corale che mettono in scena, alternandosi, ottanta lettori di diverse età e professioni, tra politici e avvocati, consoli e scrittori, attori e architetti (e anche il sindaco Letizia Moratti). "Maratona Macondo" è un evento in prima assoluta nel mondo (ideato da Andrea Kerbaker) con il quale viene celebrato il ventennale del Festival latinoamericando (al Forum di Assago dal 16 giugno al 16 agosto, www.latinoamericando.it), una delle più importanti rassegne europee sulla cultura dell'America latina (dalla musica alla gastronomia), fondato da Juan José Fabiani, peruviano di origine italiana.
Fra gli ottanta lettori della maratona c'è Gianni Biondillo, architetto e scrittore milanese, autore di romanzi come Con la morte nel cuore, Metropoli per principianti, Nel nome del padre (tutti pubblicati da Guanda), oltre che di saggistica e di testi per il cinema e la Tv.

Biondillo, qual è il suo rapporto con Cent'anni di solitudine?

L'ho letto per la prima volta a 18 anni. L'ho poi ripreso in mano una decina di anni fa. Non è uno dei miei romanzi preferiti, non mi ha cambiato l'esistenza, ma è una di quelle opere che si leggono nell'adolescenza per poi riprenderle più avanti. Ho poi letto anche altri libri di Márquez, come Cronaca di una morte annunciata.

Eppure, si tratta di un romanzo complesso, ricco di intrecci, certo non facile.
Io da ragazzo ero un lettore fervido. Leggevo cose tostissime per la mia età. Anzi, non consiglio mai a nessuno di leggere da giovane quello che leggevo io.

Qual è, secondo lei, l'eredità letteraria di Gabriel García Márquez?
Non sono un grande appassionato di letteratura sudamericana. Ma per chi diventa scrittore, come me, Márquez rappresenta uno di quegli autori che vengono continuamente "saccheggiati" dal punto di vista letterario. Márquez ha avuto il grande merito di far convivere perfettamente l'alto con il basso, la trama con l'espressività, la narrativa popolare con l'alta qualità e la ricerca stilistica. C'è stato un periodo in cui sembrava che tutti dovessimo passare per il Sudamerica e attraverso il realismo magico. Negli anni '70 e '80 questa narrativa andava molto di moda, sembrava quasi che si dovesse leggere solo letteratura sudamericana. In quegli anni, comunque, veniva letta con uno sguardo molto politico e ideologico, cosa che io ritengo miope e sbagliata.

Oggi, però, la narrativa sudamericana nel suo insieme non suscita più l'interesse di una volta...
Oggi Cent'anni di solitudine appare come un libro generazionale, molto noto per chi è over 40, ma quasi sconosciuto per i ragazzini, che probabilmente non hanno idea della sua importanza letteraria. Un autore sudamericano, cileno, come Roberto Bolaño è ancora poco letto, anche se da parte di alcune case editrici italiane c'è una ripresa e una riscoperta di vari autori latinoamericani. Adesso sembra quasi che letteratura sia soltanto italiana o nordamericana. E' una cosa che mi imbarazza un po': è come se al di là di questo panorama non esistesse niente. Faccio un esempio: quando è stato assegnato il Nobel a Herta Müller, nel 2009, quasi tutti si sono domandati chi fosse. Eppure, stiamo parlando di narrativa in Germania, non in un'altra parte del mondo.

Come giudica queste letture pubbliche di opere letterarie? Servono a fare cultura?
Personalmente amo gli sforzi da maratoneta; mi piace molto leggera ad alta voce. Non so se queste letture corali possano conquistare nuovi lettori; ma sono certamente un modo per creare una notizia che, una volta tanto, non riguardi gossip, veline o calciatori.
                                                                                                                     
                                                                                                                      Giulia Cerqueti

Si svuotano le biblioteche, in libreria si va sempre di meno ma in compenso si riempiono le piazze, i sagrati delle chiese, le dimore storiche. Persino le stazioni ferroviarie. A leggere? No, a declamare i grandi testi della letteratura. Poco importa se siano opere immortali, come la Divina Commedia, o romanzi di denuncia, come Gomorra di Roberto Saviano, o testi sacri, come la Bibbia e i Vangeli.

    Qualche settimana fa un’intera città, Firenze, è diventata la scenografia per la quinta edizione di «All’improvviso Dante». Un avverbio stravagante scelto non per indicare qualcosa di improvvisato ma per dire che il passante e il turista distratto diventava spettatore della lettura di uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale. Grazie a cantori non professionisti, tra i quali molti bambini, la Commedia è stata così restituita alla sua dimensione popolare, immediata. Proprio come accadeva ai tempi di Dante. Oltre 860 "cantori" hanno cominciato con il primo canto dell’Inferno lungo i binari della stazione di Santa Maria Novella, poi si sono traferiti in piazza Strozzi e in piazza della Repubblica per il Purgatorio, per finire sul sagrato di Santa Maria del Fiore a recitare al’ultimo canto del Paradiso.

Nelle letture pubbliche no stop, tuttavia,. il primato spetta certamente ai testi sacri. Due anni fa, la «Bibbia giorno e notte», una maratona lunga sette giorni in diretta Rai coinvolse anche Papa Benedetto XVI, oltre a moltissima gente comune. «Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave», questo l’incipit del best seller Gomorra recitato in molte piazze per dire no a tutte le mafie. Da Genova a Roma, da Milano a Torino fino a Cosenza, Verbania e Napoli, il libro di Saviano è uno dei libri più letti in pubblico negli ultimi anni.

    Non solo poesia e romanzi, però. Anche gli articoli della Costituzione italiana vengono letti collettivamente in pubblico come è successo di recente ad Aosta e in altre città per festeggiare il 25 Aprile. Insomma, siamo diventati un popolo di aedi che al confronto Omero sembra quasi un dilettante.

    Ma chi ascolta un libro poi lo compra a leggerlo? Difficile rispondere. Statistiche ufficiali non ce ne sono, ma secondo gli ultimi dati Istat relativi al 2009 quanto a lettura non siamo messi benissimo. I lettori di un libro non scolastico l’anno scorso in Italia sono stati meno della metà (45,1%) della popolazione sopra i sei anni. Di questi il 20% ha letto da uno a tre libri, il 17,9 da quattro a undici, soltanto il 6,9 dodici o più libri l’anno.
   
    Il lettore-tipo del primo decennio del nuovo millennio, sottolinea l’Istat, è donna (legge il 51,6% rispetto al 38,2% degli uomini), giovane (legge oltre il 50% nella fascia 6-24 anni, il 64,7% tra gli 11-14 anni), vive al nord (più del 51,8% rispetto al 34,6% del Mezzogiorno) e ha un alto titolo di studio (laureati oltre il 79,5%) o un’elevata posizione sociale.

Ray Bradbury l’aveva soltanto immaginato. Nel suo romanzo Fahreneit 451 (1951) raccontava di una società senza più libri, bruciati da un apposito corpo di vigili del fuoco, dove leggere era un reato. A salvare millenni di cultura ci pensarono però gli uomini-libro, imparando a memoria i testi dei romanzi destinati al rogo.

    Suggestioni della letteratura. A realizzare il sogno di Bradbury ci ha pensato però due anni fa lo spagnolo Antonio Rodriguez Menendez, fondatore del progetto delle persone-libro. Poi Menendez è stato invitato in Italia, a Roma, da Sandra Giuliani, che di mestiere fa l’editrice. «Da quel momento, dopo aver fatto uno stage intensivo insieme a lui, abbiamo cominciato e non abbiamo smesso più», chiosa soddisfatta Giuliani, fondatrice da noi delle persone-libro.

    Passo indietro: ma cosa fanno esattamente queste persone? Vanno in giro da un luogo all’altro per recitare, dopo averli imparati a memoria, i libri che amano, «che ci sono capitati nella vita», dice Giuliani, «e che dopo averli letti li amiamo a tal punto da impararli a memoria e donarli agli altri». Il gruppo si ritrova ogni mercoledì da Libermente, piccola libreria di Roma, per allenarsi. Le loro performance, invece, avvengono nei luoghi più insoliti: riserve naturali, fattorie, vivai, parchi pubblici. Ma anche nelle scuole. «Una volta abbiamo letto dei libri in una sartoria di Roma, in mezzo a ferri da stiro e chiusure lampo», ricorda Giuliani, «ad ascoltarci c’erano tantissime persone. Molte si fermavano anche fuori, sul marciapiede». Unica regola: evitare quei luoghi dove i libri ci sono già, tipo le biblioteche.

    Più che di persone-libro, però, sarebbe più corretto parlare di donne-libro. «Proprio così», conferma la fondatrice, «siamo 24 donne e soltanto tre uomini, che peraltro vengono ai nostri incontri saltuariamente». Sul perché di questa prevalenza rosa Giuliani un’idea se l’è fatta: «Per l’uomo è più difficile abbandonare il proprio protagonismo e quando racconta un libro imposta la voce per essere applaudito», spiega, «la nostra filosofia invece è diversa: noi non recitiamo ma lavoriamo sulla spontaneità e la naturalezza della voce. Non è uno spettacolo ma cerchiamo di trasmettere a chi ci ascolta l’emozione che quel libro ha suscitato in noi. È il testo il vero protagonista, non chi lo recita. Per questo motivo gli applausi sono banditi». Nessun piglio da attore, dunque, la regola principale è quella di personalizzare il libro esaltando la colloquialità, facendolo vibrare d’emozione. «Come se stessimo tutti insieme attorno al fuoco per ascoltarci a vicenda», dice Giuliani.

    Tanti i libri portati in giro per un’agenda già piena fino a Natale. Un repertorio di oltre 120 titoli che spazia dagli Ossi di Seppia di Montale a Cesare Pavese, da Pessoa al Manifesto della cucina futurista di Marinetti, da Calvino all’autobiografia di Einstein fino a testi di nicchia pubblicati da piccole case editrici. C’è anche la Costituzione italiana e alcuni testi di cantautori come Ivano Fossati e Francesco Guccini. Non tutto, per fortuna, finisce con la recita. «Al contrario», precisa Giuliani, «le persone che ci ascoltano si appassionano e in molti casi decidono di comprare il libro che hanno appena sentito. I libri che diciamo ce li portiamo dietro per venderli, visto che nel progetto ho coinvolto oltre alla mia casa editrice anche altri piccoli editori. L’obiettivo finale infatti è proprio quello di appassionare e invogliare alla lettura».

    Molto variegato il gruppo: ci sono vivaiste, pensionate, una donna iraniana che parla perfettamente italiano, molte studentesse, giornaliste e anche un vigile urbano. Il libro preferito dalla fondatrice è L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, una scrittrice catanese che lavorò anche nel teatro con registi come Luchino Visconti e Alessandro Blasetti. «È il testo con cui mi identifico di più», chiosa.

 
 
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