Abbiamo scritto più volte in passato, e il presente lo conferma, che
tra gli scritti di don Lorenzo Milani restava attuale la portata profetica di
Esperienze Pastorali, dicendoci per contro che la lettura di Lettera a una
professoressa andava contestualizzata un'epoca e in una scuola – quelle degli
anni Cinquanta e Sessanta - nel
frattempo cambiate. Ci si diceva che era acqua passata quella scuola che
respingeva in partenza i ragazzi destinati a Barbiana fin dalle classi elementari, a vantaggio di una scuola
più inclusiva e capace di aderire al dettato costituzionale.
La cronaca del momento però, pur circoscrivendo a pochi casi
quello che al tempo di don Milani era la regola, ci riporta con i bambini
respinti in prima elementare dentro il dibattito di quel tempo e ci fa
rileggere Lettera a una professoressa con uno sguardo diverso, perché in fondo
i pochi casi di oggi somigliano ai tanti casi di allora.
Soltanto che la marginalità geografica viene sostituita da
altre marginalità diverse che abitano al confine tra disabilità e
"normalità", o nelle periferie in cui vivono bambini svantaggiati da
una lingua diversa.
Siccome, come allora, non è verosimile che, come don Milani
scriveva, Dio faccia nascere gli asini e gli svogliati solo nelle case dei
poveri, è verosimile che quei pochi casi siano la spia del fatto che, nell'affanno di tagliare qua e là, e sulla scuola non è il caso di prendersela
con i tecnici ci avevano pensato altri prima, stia diventando più difficile colmare
in classe gli svantaggi della vita.
Una scuola che non riesce a colmare lo svantaggio iniziale a
sei anni -quando è chiaro fin dai tempi di don Milani che lo svantaggio e
l'eccellenza se non si fa qualcosa si allontanano progressivamente
autoalimentandosi in reciproche, incolmabili, distanze - è figlia di uno Stato
che, dopo aver visto ridursi a miraggio il lavoro dell'articolo 1 della
Costituzione, vede virtualizzarsi il compito di rimuovere gli ostacoli alla pari
dignità di tutti i cittadini dell'articolo 3.
Non c'è luogo migliore della scuola per colmare le distanze,
ma non si può gettare la croce su singoli insegnanti, dirigenti, istituti, che
si arrendono davanti a voragini per le quali si danno loro sempre minori risorse e
strumenti. Non è questione di ricorsi e carte bollate.
Il problema è più
profondo sta nel capire che un Paese in crisi, qualunque crisi, non può che
rinascere dalla scuola in cui crescono piccoli nuovi cittadini. Cui un giorno
sarà giusto chiedere di assumersi le proprie responsabilità. Ma a sei anni
quelle responsabilità sono di altri.
Resta
vero che una decina di rondini non fanno primavera (e neppure inverno) e che di
meno di dieci bocciati parliamo. Ma il fatto che ci siano è una spia da
considerare.
I casi della vita sono strani. Capita di passare davanti a un mercatino di libri in una piazza di Milano, temporaneamente incustodito, perché, spiega il gestore nel frattempo accorso, «Quasi nessuno ruba i libri: per i più non sono un genere appetibile, chi li ama, invece, li rispetta e dunque non li ruba».
Capita di assicurarsi, alla cifra di 6 euro, Insieme, di Mario Lodi, Giornale di una quinta elementare, con la sensazione di aver rispolverato un cimelio, un po' sdrucito nel dorso. Cimelio perché è datato 1974 (seconda edizione) e perché si spera che sia datato proprio perché contiene il felice esperimento di una scuola felice che faceva eccezione nel panorama infelice di una scuola che non aveva ancora digerito l'idea che una scuola frettolosa di selezionare è una scuola che fallisce il suo obiettivo. Ecco si spera che sia datato perché si è certi che quella scuola infelice sia finita.
Ma poi capita, a pochi giorni di distanza, di veder esplodere, quasi 40 anni dopo, cioè nei giorni scorsi, in cronaca, casi sporadici ma significativi - chissà perché la cronaca è contagiosa, capitava anche gli anni scorsi? Boh? - di bambini bocciati in prima elementare.
Capita di aprire una pagina di Insieme a caso (i giornalini servivano a Mario Lodi per mantenere la comunicazione tra le sue classi e l'esterno, come ci spiegava nell'intervista che ci ha concesso nel 2008, famiglie soprattutto) e capita di trovarvi una cosa che sembra attagliarsi almeno un po' ai disagi del presente dei casi di cronaca di cui sopra (un bimbo disabile, altri stranieri).
Vi si legge:
«128, 28 maggio 1973
POESIE
I ragazzi della V classe di Bagni a Tivoli, alunni del maestro Albino Bernardini, ci hanno mandato un nastro registrato. In esso erano registrate alcune persie fatte da loro, che pubblichiamo.
Mi mettevano da parte
Io dalla prima alla terza
non sapevo niente,
secondo la maestra.
Mi metteva all'ultimo banco
e non m'insegnava niente.
Il più ricco sapeva tutto
perché ogni tanto gli portava qualcosa.
Se lo teneva di conto
perché secondo me lei diceva così:
«Questo è ricco e mi può far comodo,
lasciamolo stare,
a Natale o a Pasqua
o per la chiusura della scuola
qualche cosa mi porterà».
A casa mia madre mi diceva:
-Figlio mio studia
che la zappa è pesante
non voglio che fai quello che faccio io,-
e mio padre lo stesso.
Mio padre quando stava al Fucino
l'hanno mandato via,
non ce la faceva più a campare.
Torlonia faceva così:
a chi aveva la terra gliene dava
di più, a chi non ce l'aveva
lo faceva sgobbare come uno schiavo.
Allora è venuto a Roma
e così siamo qui. Mi diceva sempre:
-Chi9e è più pensante:
la zappa o la penna?
Io rispondevo: - E' più pesante
la zappa!
- E allora studia, mi diceva.
Ma io non studiavo
perché non ne sapevo
non m'insegnavano niente
e mi mettevano da parte (Antonio)».
Nessuno probabilmente ha nostalgia di una scuola e di una società che mettono da parte, meno di tutti probabilmente gli insegnanti e i dirigenti che si sono risolti a bocciare, probabilmente lasciati soli a gestire le criticità di un sistema scuola, sempre più povero di persone e di risorse, cui si chiede di funzionare senza neppure la carta igienica nei bagni. Ed è probabile che non fosse il calcolo che ingenuamente il bambino Antonio attribuisce alla maestra, credendola meglio disposta verso il compagno più facoltoso, a creare lo svantaggio iniziale, ma la fortuna dell'altro di esser nato in una casa in cui c'erano libri, in cui si respirava oltre la ricchezza un po' più di cultura e certamente una lingua migliore, magari in una casa non a tutti concessa in cui c'era una stanza libera per studiare concentrati e se del caso un papà capace di dare una mano se i compiti a casa deragliavano nelle difficoltà.
Sarebbe bello pensare che le battaglie di Mario Lodi, che ha compiuto 90 anni da poco, siano state acquisite per sempre, ma, se infuria il dibattito sulla bocciatura in prima elementare, forse c'è qualcosa da riscoprire, da rileggere, da ripensare. E meno male che ogni tanto qualcuno abbandona un libro al mercatino.