Per la fede della Chiesa la sorte dei
defunti è sostanzialmente stabilita subito
dopo la morte, il che presuppone
l’esistenza di un giudizio personale, sulla
base del quale viene appunto stabilita
definitivamente la sorte di ciascuno.
Una presa di posizione del magistero,
questa, che ha costretto la teologia a
porsi il problema del rapporto fra il giudizio
particolare e quello universale, sul
quale si è sempre posto l’accento prima
e dopo il ricordato intervento ecclesiale,
che risale al 1336 e di cui parla Umberto
Eco nel romanzo Il nome della rosa.
Per san Tommaso, il secondo, più che
la pubblicizzazione del primo, sarebbe
un supplemento destinato a giudicare
la persona come membro della società,
condizionata da una storia, da una
cultura, da una civiltà. Un discorso che
viene semplificato da chi considera i due
eventi come due dimensioni dello stesso
giudizio. Il purgatorio, destinato a sparire
alla fine, non muta la sostanza della
decisione.