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La parrocchia di don Diana, dove il seme ha dato frutto

16/03/2019  Oggi nella chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, dove don Diana fu parroco e dove venne ammazzato, abbondano le attività sociali e caritatevoli: «Ha lasciato una grande spinta al darsi da fare per gli altri, raccontano i parrocchiani»

Cosa abbiamo fatto dopo l’omicidio? L’ordinario, che per noi parrocchiani di don Diana voleva dire curare la dimensione spirituale e l’attenzione agli ammalati e agli immigrati». Nei quattro anni in cui don Peppe Diana fu parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, Giovanni Del Villano era un giovane dell’Azione cattolica. «Aveva molto a cuore la preghiera, entrando in canonica capitava spesso di trovarlo con il breviario in mano: “Vieni e prega con me”, diceva. A noi giovani chiedeva poi di andare a prendere gli ammalati per portarli in parrocchia e ci scarrozzava in auto a Villa Literno, il Comune vicino dove vivevano i primissimi immigrati impiegati nella raccolta dei pomodori. Voleva farci toccare con mano la loro situazione. Così abbiamo dato vita alle prime esperienze di scuola di italiano per stranieri, qui in parrocchia». 

A 25 anni dall’omicidio, la parrocchia di San Nicola è una realtà viva e impegnata nel sociale. Nel 2016 ha siglato un protocollo con scuole, Asl e servizi sociali, di attenzione ai casi più critici. Negli anni ha aderito al progetto di Caritas italiana Rifugiato a casa mia, ospitando due ragazzi del Mali e oggi, proprio nei locali che sotto la guida di don Diana furono d’appoggio ai primi immigrati, ospita una famiglia eritrea arrivata in Italia con i corridoi umanitari. 
Ancora, tre volte alla settimana i volontari del gruppo Caritas distribuiscono 160 pacchi viveri, poi ci sono gli incontri per gli adulti e le molteplici attività per i giovani: dalle majorette ai ragazzi delle Arti marziali miste, passando per la Polisportiva. «Il nostro motto è “Casalesi è il nome di un popolo”», dice Luigi Baldascino, istruttore della scuola calcio, mostrando il gagliardetto con l’effigie di don Diana. «Per anni noi Casalesi, abitanti di Casal di Principe,  siamo stati tutti identificati con il  locale clan mafioso: invece siamo molto altro e con il calcio vogliamo aiutare i ragazzi a diventare uomini, lontano dalla camorra».

Non tutto però, in questi 25 anni, è filato liscio. «Ci sono stati alti e bassi», ammette Del Villano, che nel 1991 fu tra i giovani che distribuirono il documento Per amore del mio popolo. «Abbiamo cercato di far crescere il seme di don Diana nel piccolo alveo della comunità. Per don Diana l’accoglienza e la legalità erano conseguenze della preghiera, della scelta vocazionale, e così abbiamo cercato di fare».
Oggi l’edificio della chiesa di San Nicola appare diverso da quegli inizi anni Novanta, quando don Diana testimoniava il Vangelo in un territorio segnato dalla criminalità organizzata. I documenti e le foto di allora furono requisite dalla magistratura, il corridoio e la sacrestia in cui il sacerdote fu ucciso sono scomparsi, stravolti da lavori di ristrutturazione. 

«Quando sono arrivato la comunità era smarrita. Non si aspettava che la testimonianza di don Peppe potesse arrivare a questa conclusione», spiega monsignor Franco Picone, successore di don Diana in parrocchia e vicario episcopale della diocesi di Aversa. «Io sono arrivato con la disponibilità del giovane sacerdote che ce la vuole mettere tutta. Dovevo conoscere la realtà ma anche don Peppe Diana, che non avevo conosciuto direttamente. C’erano voci molto discordanti: don Diana stette qui in parrocchia solo quattro anni, la comunità non fece in tempo a conoscerlo profondamente. Poi, come si usa dire, nessuno è profeta in patria: tanti hanno guardato l’aspetto umano e non quello pastorale».
Dietro l’altare, il crocifisso s’innalza da un albero della vita. L’opera in rame, voluta dai “ragazzi di don Diana”, esprime la continuità fra la vita, la morte e la risurrezione. «Mi manca il suo farsi sentire: era un uomo di Dio e del mondo, aveva previsto fenomeni come l’immigrazione e la difficoltà dell’integrazione, che oggi sono diventate realtà», dice Anna Falcone, che lo ricorda ancora con malinconia. 

«Don Diana è stato un antesignano della Chiesa in uscita», aggiunge Maria Grazia Prezioso, che con il marito Antonio Mottola è impegnata su diversi fronti della pastorale. «Io non l’ho conosciuto ma qui ha lasciato una grande spinta al darsi da fare. Fuori dalla Campania don Peppe è molto conosciuto: mi auguro che anche la comunità di Casal di Principe possa imparare a conoscerlo e riconoscerlo fino in fondo».

Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra, di Luigi Ferraiuolo , su Sanpaolostore.it

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