«È quel tassello che ti arricchisce».
È una palestra di cittadinanza, ma
è anche «entrare nel mondo del lavoro
in punta di piedi. Molto più di un
tirocinio. Forse è quello che manca
alle università». Claudia Schillaci, 27
anni, palermitana, laureata in Psicologia,
sta per terminare il servizio civile con
il Gruppo Abele di Torino, l’associazione
fondata nel 1965 da don Luigi Ciotti.
Ha scelto di impegnarsi nel progetto
“Genitori e figli”, che organizza corsi
di italiano per mamme magrebine,
ma anche attività di conoscenza,
gioco e formazione per i loro bambini
e per gli adolescenti. «Qui cadono tante
etichette», racconta Claudia. «Queste
persone non sono “gli stranieri da
integrare”: prevale la dimensione
dell’essere donna, mamma, figlio
o figlia».
Parliamo di storie quotidiane,
ma non per questo meno preziose,
esperienze di attenzione verso chi
arriva da lontano e in una grande città
può smarrirsi. Il disagio e la sofferenza
a volte sono tangibili, ma fanno
crescere, come quella volta in cui
«usando il filtro delle fiabe abbiamo
proposto ai ragazzi di raccontarsi,
di esporsi. Il primo giorno è stato
difficilissimo. Poi, grazie al confronto con
una persona più esperta, credo di aver
“trovato la chiave”. Gli adolescenti sono
così: soltanto se cambi una virgola in
te stesso puoi riuscire a conquistarli».
Per il progetto al quale Claudia lavora
sono stati selezionati due volontari,
a fronte di oltre 60 richieste, segno che,
nonostante il desiderio di enti e giovani,
il servizio civile è ancora un’esperienza
per pochi. Nei mesi scorsi il premier
Renzi ha promesso l’istituzione di un
Servizio civile universale aperto a
100 mila giovani nel 2017, che per ora
restano un miraggio: nel 2015, con fondi
in parte recuperati in extremis grazie
anche alle pressioni del Terzo settore,
i volontari saranno, forse, 40 mila.