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mercoledì 11 settembre 2024
 
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Due nonni al Papa: «Proviamo a donare la fede, ma i nipoti ci respingono»

25/10/2018  «Santo Padre, mi chiamo Tony. Mia moglie Grace ed io abbiamo cresciuto una famiglia di quattro figli, e abbiamo cinque nipoti e un altro in arrivo. Abbiamo dato ai nostri figli un’educazione cattolica. Eppure... È doloroso per noi vedere i nostri figli e i nostri nipoti lontani dalla fede o molto presi dalle cose più mondane. Che cosa possiamo fare?» E Francesco risponde...

Delia Gallagher:

La prossima domanda, Santo Padre, viene da Malta. E’ una coppia – Tony e Grace Naudi, sono nonni e sono sposati da 43 anni.

Tony and Grace Naudi — Malta, 71 e 65 anni

[in inglese] Santo Padre, mi chiamo Tony. Mia moglie Grace ed io abbiamo cresciuto una famiglia di quattro figli, un figlio e tre figlie, e abbiamo cinque nipoti e un altro in arrivo.  Come molte famiglie, abbiamo dato ai nostri figli un’educazione cattolica, e abbiamo fatto di tutto per aiutarli a vivere la parola di Dio nella loro vita quotidiana. Eppure, nonostante i nostri sforzi come genitori di trasmettere la fede, i figli qualche volta sono molto critici, ci contestano, sembrano respingere la loro educazione cattolica. Che cosa dobbiamo dire loro? Per noi la fede è importante. È doloroso per noi vedere i nostri figli e i nostri nipoti lontani dalla fede o molto presi dalle cose più mondane o superficiali. Ci dia una parola di incoraggiamento e di aiuto. Che cosa possiamo fare come genitori e nonni per condividere la fede con i nostri figli e i nostri nipoti?

Papa Francesco:

C’è una cosa che ho detto una volta, perché mi è venuta spontanea, sulla trasmissione della fede: la fede va trasmessa “in dialetto”. Sempre. Il dialetto familiare, il dialetto… Pensate alla mamma di quei sette giovani di cui leggiamo nel Libro dei Maccabei: per due volte il racconto biblico dice che la mamma li incoraggiava “in dialetto”, nella lingua materna, perché la fede era stata trasmessa così, la fede si trasmette a casa. Sempre. Sono proprio i nonni, nei momenti più difficili della storia, coloro che hanno trasmesso la fede. Pensiamo alle persecuzioni religiose del secolo scorso, nelle dittature genocide che tutti abbiamo conosciuto: erano i nonni che di nascosto insegnavano ai nipotini a pregare, la fede, e anche di nascosto li portavano al battesimo. Perché non i genitori? Perché i genitori erano coinvolti nella filosofia del partito, di ambedue i partiti [nazista e comunista] e, se si fosse saputo che facevano battezzare i figli, avrebbero perso il lavoro, per esempio, o sarebbero diventati vittime di persecuzioni. Mi raccontava una maestra, una insegnante di uno di questi Paesi, che il lunedì dopo Pasqua dovevano domandare ai bambini: “Cosa avete mangiato ieri a casa?”, semplicemente, e di quelli che dicevano “uova, uova”, passare l’informazione per punire i genitori. Così loro [i genitori] non potevano fare la trasmissione della fede: erano i nonni a farla. E hanno avuto, in questi momenti di persecuzione, una grande responsabilità per questo, assunta da loro stessi, e la portavano avanti, di nascosto, con i metodi più elementari.

Riprendo: la fede va trasmessa sempre in dialetto: il dialetto di casa. E anche il dialetto dell’amicizia, della vicinanza, ma sempre in dialetto. Lei non può trasmettere la fede con il Catechismo: “leggi il Catechismo e avrai la fede”. No. Perché la fede non sono soltanto i contenuti, c’è il modo di vivere, di valutare, di gioire, di rattristarsi, di piangere…: è tutta una vita che porta lì. E la Sua domanda è un po’ – mi permetto –, sembra un po’ esprimere un senso di colpa: “Forse abbiamo fallito nella trasmissione della fede?”. No. Non si può dire questo. La vita è così. All’inizio voi avete trasmesso la fede, ma poi si vive, e il mondo fa delle proposte che entusiasmano i figli nella loro crescita, e tanti si allontanano dalla fede perché fanno una scelta, non sempre cattiva, ma tante volte inconsapevole, tra i valori, sentono delle ideologie più moderne e si allontanano. Ho voluto soffermarmi su questa descrizione della trasmissione della fede per dire il mio parere. La prima cosa è non spaventarsi, non perdere la pace. La pace, sempre parlando con il Signore: “Noi abbiamo trasmesso la fede e adesso…”. Tranquilli. Mai cercare di convincere, perché la fede, come la Chiesa, non cresce per proselitismo, cresce per attrazione – questa è una frase di Benedetto XVI – cioè per testimonianza. Ascoltarli, accoglierli bene, i nipotini, i figli, accompagnarli in silenzio.

Mi viene in mente un aneddoto di un sindacalista – un dirigente, un sindacalista che ho conosciuto –, che a 20/21 anni era caduto nella dipendenza dall’alcol. Viveva da solo con la mamma, perché la mamma lo aveva avuto da ragazza. Lui si ubriacava. E al mattino vedeva che la mamma usciva per andare a lavorare: lavorava lavando le tovaglie, le camicie, come si lavava in quel tempo, con l’asse di legno. Lavorava tutta la giornata, e il figlio lì… E lui vedeva la mamma, ma faceva finta di dormire – non aveva lavoro in un tempo in cui c’era tanto lavoro – e guardava come la mamma si fermava, lo guardava con tenerezza e se ne andava a lavorare. Questo lo ha fatto crollare: quel silenzio, quella tenerezza della mamma ha fatto crollare tutte le resistenze e lui un giorno ha detto: “No, non può essere così”, si è dato da fare, è maturato e ha fatto una buona famiglia, una buona carriera… Silenzio, tenerezza… Silenzio che accompagna, non il silenzio dell’accusa, no, quello che accompagna. E’ una delle virtù dei nonni. Abbiamo visto tante cose nella vita che tante volte soltanto il silenzio buono, quello caldo, può aiutare.

Poi, se uno si domanda quali sono le cause di questo allontanamento, c’è sempre una sola causa che apre le porte alle ideologie: le testimonianze negative. Non sempre in famiglia, no, la maggior parte sono le testimonianze negative di gente di Chiesa: preti nevrotici, o gente che dice di essere cattolica e fa la doppia vita, incoerenze, per il fatto di cercare dentro le comunità cristiane cose che non sono valori cristiani… Sono sempre le testimonianze negative che allontanano dalla vita [di fede]. E poi, le persone che ricevono questi esempi negativi, accusano. Dicono: “Io ho perso la fede perché ho visto questo e questo…”. E hanno ragione. E ci vuole soltanto un’altra testimonianza, quella della bontà, della mitezza, della pazienza, la testimonianza che ha dato Gesù nella sua passione, quando Lui soffriva ed era capace di toccare il cuore.

Ai genitori e ai nonni che hanno questa esperienza, consiglio molto amore, molta tenerezza, comprensione, testimonianza e pazienza. E preghiera, preghiera. Pensate a Santa Monica: ha vinto con le lacrime. Era brava. Ma mai discutere, mai, perché questo è un tranello: i figli vogliono portare i genitori alla discussione. No. Meglio dire: “Non so rispondere a questo, cerca da un’altra parte, ma cerca, cerca…”. Sempre evitare la discussione diretta, perché questo allontana. E sempre la testimonianza “in dialetto”, cioè con quelle carezze che loro capiscono. Questo.

(foto in alto: Reuters)

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