Dieci anni del suo Pontificato sono già compiuti. Dieci anni intensi, durante i quali abbiamo imparato a conoscere gesti, parole, attenzioni e sguardi di Papa Francesco, venuto dalla fine del mondo. Ha subito colpito il suo essere “semplice e alla mano”: come non ricordare, per esempio, il famoso “Buonasera” con cui accolse calorosamente i fedeli accorsi in piazza San Pietro, così come il suo “farsi prossimo” che nasce dall’informalità di un uomo che è diventato Papa. Uno stile comunicativo nuovo, fresco e diretto, che innesca immediatamente la conversazione, che interpella con domande dirette, che viene rafforzato da abbracci, carezze e sorrisi. Non da ultime, la sua vicinanza e la sua compassione verso la povertà umana e spirituale del nostro mondo. Tratto caratteristico del suo Pontificato riassunto nella parola, nel tag fortemente evangelico, della misericordia, cuore spalancato alla miseria umana.
In questi giorni la tentazione di fare bilanci, di capire dove si colloca la sua popolarità e altri indicatori di audience, è molto forte. Al tempo stesso è innegabile che tutti noi abbiamo conservato e fatte nostre delle immagini e delle parole che sono come icone simboliche del suo insegnamento. Penso alla richiesta intima e confidenziale che interpella ognuno di noi quando Bergoglio chiede di «pregare per lui», chiara evidenza di una connessione nella preghiera e nella vicinanza. Non un bilancio, quindi, di questi dieci anni, ma immagini chiare e forti di radicalità evangelica come insegnamenti per la vita di fede di ciascuno di noi.
Di Papa Francesco mi hanno colpito soprattutto due parole, declinate in vario modo nel suo ministero petrino: la misericordia e la tenerezza. A pensarci bene, il sottotitolo della parola Vangelo potrebbe essere misericordia. Francesco ha fatto della misericordia il tema centrale del suo Pontificato, arrivando a indire un Anno Santo per viverla in tutta la Chiesa. Così ha invitato a decentrarci e a uscire dal nostro “Io” limitato e ripiegato su sé stesso per provare a metterci dalla parte e nei panni dell’altro, e intuire i drammi legati alla sua situazione. A fuggire, quindi, dalla tentazione autoreferenziale molto diffusa in questo tempo (anche nella Chiesa). Papa Francesco ci ha insegnato, a partire da quel momento, che è possibile vivere la spiritualità della misericordia, aprendo gli occhi al mondo e le orecchie all’ascolto di Cristo.
Insieme a un’altra parola: la tenerezza. Cito solo due esempi del Pontificato molto significativi a riguardo. Il 19 marzo 2013, durante la celebrazione eucaristica per l’inizio del suo Ministero di Sommo Pontefice, davanti “grandi del mondo” e non solo, durante l’omelia disse: «Non dobbiamo avere paura della bontà e della tenerezza». E ancora: «Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore». La tenerezza per Papa Francesco è riconoscere il valore e la presenza dell’altro che entra nelle nostre relazioni umane come valore evangelico. Vivere la tenerezza aiuta a verificare l’effettiva esistenza dell’amore di Dio in noi, terreno dove si gioca la relazione con Lui, noi stessi e gli altri.
Nella logica della tenerezza e della misericordia nasce un’iniziativa solidale dell’Associazione don Giuseppe Zilli, promossa dal Gruppo editoriale San Paolo. Una raccolta fondi per l’istituzione di borse di studio a favore degli studenti, seminaristi e laici, della Facoltà di Comunicazione dell’Università Saint Augustin di Kinshasa. Uno speciale “regalo” a Papa Francesco per i suoi dieci anni di pontificato attraverso un’opera di misericordia (www.donaperilfuturo.it). Sosteniamo insieme i futuri comunicatori della fede!