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lunedì 09 settembre 2024
 
 

Durban, il clima sfida la politica

06/12/2011  Alla Conferenza di Durban, in Sudafrica, si assiste alle prime aperture di Paesi tradizionalmente ostili a impegni vincolanti in materia ambientale. Picchi d'inquinamento sull'Everest.

Il principe Alberto di Monaco, il primo ministro di Samoa (isole del Pacifico che rischiano di finire sott'acqua con i cambiamenti climatici), una mezza dozzina di Capi di Stato africano e Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, hanno inaugurato oggi la sessione politica della Conferenza sul clima di Durban, in Sudafrica. Non è la parata di Capi di Stato che abbiamo visto due anni fa a Copenhagen, ma questo non deve spegnere l'ottimismo che si arrivi a un risultato. Fino a qualche giorno fa sembrava che nessun accordo fosse possibile. La Cina ha invece aperto a obblighi vincolanti sul clima ponendo le sue condizioni per un accordo.

Il ministro cinese Xie Zhenhua, incontrando le Ong, ha detto che dopo il 2020 si potrà pensare anche a negoziare un documento giuridicamente vincolante. Pochi giorni prima, il 2 dicembre, il delegato cinese Su Wei non ha “escluso la possibilità di un accordo legalmente vincolante” dicendo che “per noi è possibile ma dipende dai negoziati”. Tra le condizioni poste dalla Cina, che con questa mossa potrebbero riaprire la strada dei negoziati, proprio un Kyoto 2 e un aumento delle promesse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo. Una situazione che non lascerebbe alibi agli Usa, i quali ora non potrebbero sottrarsi a un eventuale accordo.

L'India, invece, sta ancora a guardare e si è guadagnata oggi a Durban il “fossile del giorno”, il premio assegnato dagli ambientalisti al Paese che si è distinto in negativo nei negoziati. Un Kyoto 2 trova d'accordo anche il Brasile, altro Paese emergente, grande emettitore di gas serra. Ma il 2020 non sarà troppo tardi per il pianeta? “Il pianeta ci guarda e chiede impegni precisi” ha ricordato oggi Zuma, il presidente del Sud Africa, all'assemblea plenaria. I mutamenti in atto sono sempre più veloci. Per la prima volta nella storia i consumatori cinesi hanno prodotto più emissioni di anidride carbonica degli Stati Uniti, e i paesi in via di sviluppo generano più Co2 di quelli sviluppati.

Se nel 2008 un terzo delle emissioni della Cina era generato dalla manifattura di beni destinati all'esportazione - e dunque i responsabili di queste emissioni eravamo noi - ora la situazione sta cambiando rapidamente. Ma i cinesi non ci stanno a stare sul banco degli indiziati numero uno. Va detto, infatti, come nota John Moore, ricercatore dell'Università Normale di Pechino, che “ci sono molti più Paesi in via di sviluppo di quelli ricchi e le emissioni della Cina sono in gran parte dovute alla sua enorme popolazione. Il che significa che il consumo per persona in Cina é ancora molto più basso di quello prodotto dai cittadini statunitensi. Il ministro cinese sottolinea come la Cina rimanga un paese in via di sviluppo, se prendiamo in considerazione il Pil pro capite pari a 4.300 dollari e il fatto che ci sono ancora 128 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno.

Nonostante questo, la Cina ha mostrato molto più impegno nel ridurre le emissioni di quanto abbiano fatto i paesi ricchi. Investe 50 miliardi di dollari all'anno in fonti alternative e guida la classifica mondiale, mentre gli Stati Uniti investono 17 miliardi l'anno. Che a Durban un accordo sia possibile ne è convinto un cittadino doc, Kumi Naidoo, protagonista della lotta anti-apartheid e ora alla guida di Greenpeace International. “I leader del mondo mi sembrano dei sonnambuli. Mormorano qualcosa sul cambiamento climatico e poi non fanno nulla.

Per alcuni popoli, come i Turkana, nel nord del Kenya, siamo già al punto in cui ne va della loro sopravvivenza. Mi pare ingiusto che i poveri paghino il cambiamento climatico con le loro vite” spiega in un'intervista al quotidiano inglese “The Guardian”. “Quello che vedo ora è molto simile al momento del passaggio dall'apartheid alla democrazia. C'è stato un momento nel 1988, in cui si vedeva che il sistema stava ormai crollando. Lo stesso accade ora con l'ambiente e il clima. Datemi dell'ingenuo e dell'ottimista, ma credo che ci siamo quasi”.

Mentre il ministro dell'Ambiente Corrado Clini è in arrivo a Durban, in Sud Africa, per rappresentare l'Italia alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima, stamattina all'alba attivisti di Greenpeace hanno aperto davanti a Palazzo Chigi un grande striscione con una foto della tragica alluvione di Genova dello scorso 4 novembre e il messaggio: “Il clima cambia. La politica deve cambiare”, scalando due lampioni davanti alla sede del Governo con il messaggio: “A Durban salviamo il clima”. “Quest'autunno la nostra penisola è stata martoriata, da Nord a Sud, da una serie di tragiche alluvioni che hanno causato la morte di decine di persone e miliardi di euro di danni. Questi sono chiari segnali che i cambiamenti climatici stanno avendo un effetto sempre più grave alle nostre latitudini e sul nostro Paese. Questi sono i segnali che la politica deve ascoltare." afferma Salvatore Barbera, responsabile della campagna Clima e Energia di Greenpeace Italia.

Numerosi studi scientifici, tra cui l'ultimo rapporto dell'IPCC (il Panel di scienziati delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico), mostrano senza ombra di dubbio che i fenomeni atmosferici estremi saranno sempre più frequenti e distruttivi a causa dell'aumento delle temperature medie. In Italia i cambiamenti climatici stanno avendo impatti sempre più gravi: oltre all'aumento delle alluvioni, determinano la desertificazione di ampie aree del meridione e il ritirarsi dei ghiacciai di montagna, lo slittamento dei cicli agricoli e temperature estremamente alte d'estate o basse d'inverno.

Se il clima è chiaramente cambiato, lo stesso non si può dire della politica, soprattutto di quella nazionale. Il Senato, in questa legislatura, ha addirittura approvato un atto che nega l'esistenza dei cambiamenti climatici e prende le distanze dalle politiche comunitarie a difesa del clima. Il nuovo Governo ha la possibilità di dare un segnale diverso, a Durban come nel nostro Paese, dove un banco di prova sarà quello degli incentivi alle rinnovabili. Clini, che è da sempre fautore di un ruolo maggiore della Cina nella lotta al cambiamento climatico e di una collaborazione dell'Italia con il gigante asiatico, avrà modo a Durban di incoraggiare l'apertura dimostrata da Pechino.

“Sulle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici l’Italia deve passare dalle parole ai fatti, il nostro Paese non ha una strategia energetica nazionale” commenta Mariagrazia Midulla, Responsabile Clima del WWF Italia. “E’ di tutta evidenza che la rivoluzione industriale verso cui stiamo andando presuppone l’uso contemporaneo di tutte le misure di politica economica e fiscale di cui si dispone, ma questo deve avvenire nell’ambito di un chiaro obiettivo ambientale, la riduzione delle emissioni, perché cercare di arrestare il surriscaldamento globale è la condizione prima per difendere il benessere del Pianeta e della specie umana, incluso lo sviluppo economico”.

Dal 2006 al 2010 nella regione dell’Everest si sono registrati oltre 150 giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Sono i dati preoccupanti emersi dai cinque anni di ricerche del progetto Share (Stations at High Altitude for Research on the Environment) promosso dal Cnr e presentati a Durban nell’ambito della Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici. I cambiamenti climatici incidono pesantemente sulla salute delle montagne, vulnerabili all’inquinamento che si registra persino a 5.050 metri di altitudine, nel cuore della regione himalayana. È quanto sta osservando da più di cinque anni la base di ricerca italiana che si trova pa 5.079 metri di quota in Nepal, alle pendici del Monte Everest.

Secondo i risultati raccolti si sono registrati oltre 164 giorni di inquinamento acuto, pari al 9% del totale del periodo analizzato, per lo più durante la stagione pre-monsonica (primaverile) quando si verifica il 56% dei giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Rispetto alla normalità, in questi giorni le concentrazioni dell’ozono aumentano del 29%, quelle del black carbon del 352%. Dati significativi soprattutto se si considera che entrambi i composti rivestono ruoli importanti sia come inquinanti, avendo effetti diretti sugli ecosistemi e sulla popolazione, sia come forzanti climatiche. L’ozono troposferico, infatti, è riconosciuto come il terzo più importante gas a effetto serra antropico, mentre le particelle di black carbon possono interagire direttamente con la radiazione solare, modificare le proprietà micro-fisiche delle nubi ed influenzare lo scioglimento di nevi e ghiacciai nelle aree montane e polari.

Questi elevati livelli di inquinanti appaiono principalmente connessi al trasporto di masse d’aria inquinate dall’area interessata dalla cosiddetta “Atmospheric Brown Cloud”, la nube di inquinanti che durante il periodo invernale e pre-monsonico si estende dall’Oceano Indiano all’Himalaya per effetto delle emissioni di particelle e gas dalle vaste aree urbane e industriali, agricole e forestali dell’Asia meridionale. Da qualche anno, gli abitanti di Dhe, di Sam Dzong e di altri villaggi d’alta quota nella regione nepalese del Mustang hanno visto le loro sorgenti inaridirsi e sono stati costretti ad abbandonare una parte dei loro campi.

I pascoli, che prima consentivano la vita di grandi mandrie di yak, diventano rapidamente più aridi. In alcune zone, le fonti di acqua per irrigare e dissetarsi si sono ridotte del 70-80%. Gli abitanti di alcuni villaggi hanno chiesto alle autorità locali e al governo di Kathmandu di essere considerati dei “rifugiati ambientali”, e di essere ricollocati altrove. Una testimonianza diretta degli effetti dei cambiamenti climatici in una delle terre più belle e fragili del mondo.

 
 
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