Il primo a intervenire è stato Aldo, alle 11,22 del 15 marzo, un sabato. Era appena uscita nel nostro sito l'intervista rilasciata a Famiglia Cristiana dal cardinale Walter Kasper il quale, preso atto dell'abisso che c'è tra la dottrina della Chiesa sulla famiglia e il vissuto reale dei cristiani, faceva una serie di riflessioni e tracciava un solco, preciso: «Non si può
modificare la parola di Gesù, che è vincolante. La dottrina del
matrimonio non muta, è la disciplina che deve tener conto delle nuove realtà, caso per caso». Alla fine abbiamo voluto formulare una domanda (E' giusto che la Chiesa dia la Comunione a divorziati e risposati?) proposta ben sapendo che il problema sarà soltanto uno tra i tanti che verranno dibattuti al Sinodo, non certo l'unico, ma consci altresì che la questione interroga le coscienze, genera risposte differenti, spesso diametralmente opposte, fa soffrire e causa in molti l'allontanamento dalla Chiesa, se non addirittura dalla fede, di molti.
Dibattito voleva essere. E dibattito è stato. Aperto. Franco. A stamane, sono circa 400 i commenti finiti in rete. Sono ancora tutti lì. Chi ha tempo e voglia, può scorrerli tutti. Qui proviamo a farne una sintesi ragionata. Maria Teresa apre la lunga serie di chi è favorevole a dare la Comunione ai divorziati risposati: «Con il cammino penitenziale proposto dal cardinale Kasper: sì.
Non si possono lasciare dei peccati non rimessi». Tre giorni dopo, tra gli altri, scrive Ileana: «Se la Chiesa di Cristo è madre, misericordia e accoglienza devono essere
queste le virtù che prevalgono nel ritorno dei figli smarriti». Passano le settimane e i mesi, si moltiplicano le prese di posizione. Quindi, ecco Lina : «Credo che la Chiesa debba imparare ad amare di più e giudicare di meno».
Non mancano interventi sfumati. Articolati. «Riporto le parole del cardinale Martini: “La domanda se i divorziati possano
fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa
arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni
familiari complesse?”» , afferma Francesco. E prosegue: « Del resto, nessuno può negare che il matrimonio
sia indissolubile, l'ha detto lo stesso Gesù. Ma è anche vero che, come
diceva S. Ireneo, l'Eucaristia è "farmaco d'immortalità". E il farmaco,
fino a prova contraria, si dà particolarmente ai malati, più che ai
sani». Passano due giorni e Paolo afferma: «Personalmente riterrei che il ricevere la Comunione non è un "diritto" civile; la Chiesa non è supermercato. Penso che ci voglia molta prudenza e delicatezza. Le situazioni personali sono molte diverse».
Comunione sì? Comunione no? Valentina si schiera: «Il trattamento che la Chiesa cattolica riserva ai divorziati risposati è insensibile e ingiusto. Dietro il fallimento di un matrimonio c'è sempre una storia di sofferenza. Ma la Chiesa cattolica non ne tiene conto e non distingue tra chi abbandona e chi è abbandonato. Io non lo trovo giusto». La sera prima era intervenuta Tiziana: «Io faccio parte delle situazioni irregolari, sono sposata con un divorziato, non faccio la Comunione perché rispetto quello che dice la Chiesa; faccio la Comunione spirituale, per cui Gesù non mi manca però sento molto il peso di non poter fare la confessione. Mi rimetto nelle mani del Signore e mi atterrò a quello che decidono».
Quest'ultima testimonianza ci introduce in un capitolo a sé, che i nostri lettori hanno scelto di scrivere a più mani, frutto di vita concreta. Storie di separazioni e nuovi amori. Storie che intrecciano dolore, gioia ritrovata, fede, ricerca di senso. Per qualcuno il tutto culmina in rivendicazioni. Per altri in accettazione (più o meno serena) del Magistero della Chiesa. Francesco, ad esempio, racconta: «In attesa che il buon Papa realizzi la speranza di noi tutti divorziati e risposati, e cioè che finalmente ci permetta di accostarci al sacramento dell'Eucaristia, io ascolto la messa e sento forte il desiderio dell’ostia consacrata... vorrei tanto accostarmi al sacerdote e prenderla anch’io… soffro tanto, ma non oso fare ciò che non va fatto. Comunque non demordo: seguo con lo sguardo i fedeli tutti in fila ed assieme a ognuno, io pure, quando sento le splendide parole “il corpo di Cristo”, rispondo: amen! Questa “mia comunione” non vale? Sarà pure così, ma io so pure che non faccio né peccato né alcun male se non voglio rinunciare a sentire quella gioia, anche se non è reale e, per me,“emarginato”, che di più non posso avere, è già tanto. Toccherà poi al Signore giudicare tutta la mia vita. Sarà Lui, giudice sommo, che dirà con voce dura: “via da me, vecchio cialtrone” o, col cuore suo di Padre: "entra, dai, ti ho perdonato!"».
Si confida anche Michela: «Io ho sposato un divorziato, quindi tecnicamente sono una concubina. E poco importa se mio marito e' il primo e unico uomo della mia vita, e ha subito l'abbandono da parte della prima moglie. Non mi pongo nemmeno la domanda se la Chiesa debba dare la comunione ai divorziati. La domanda vera e' : di cosa nutro la mia fede e la mia vita, se non posso accostarmi all'Eucarestia? Si diventa sempre più fragili, senza sacramenti. E con noi anche le nostre famiglie, i nostri figli. Siamo quelli che hanno più bisogno dell'Eucarestia. Siamo le pecore rimaste fuori dal recinto, e io confido che il buon Pastore - che sa che le pecore isolate sono facile bersaglio per i predatori - ci stia cercando. Ma è la Chiesa che deve aiutarmi a nutrire la mia fede... e non sempre accade».
Michela si rivolge Elisa: «Anch'io sono nella tua condizione... nutro la
mia fede con la Parola di Dio... faccio penitenza offrendo la mia sofferenza di
non potermi accostare all'Eucaristia in sconto dei miei peccati e per la
remissione dei peccati che offendono il Sacramento del Matrimonio... ho fiducia
in Gesù che sicuramente darà a tutti noi che siamo esclusi dal riceverlo
sacramentalmente la sua Misericordiosa Consolazione».
E sempre il 26 giugno scrive anche Giuseppe: niente Comunione, afferma, è un «no categorico; io sono separato; mi ha lasciato mia moglie e voglio il divorzio, ma sono cosciente che è solo uno atto formale per lo Stato italiano, sarò sempre vincolato, dunque non dovrò risposarmi».
L'indomani, il dibattito è arricchito dalla testimonianza di Silvana:
«No, un divorziato risposato non può accedere all'Eucarestia, e lo dico da
moglie sposata civilmente di un divorziato senza figli. Questo indipendentemente
da chi ha chiesto il divorzio (io penso che se un matrimonio si rompe le colpe
sono di entrambi i coniugi, magari non al 50 e 50) e se ci sono figli o meno.
Certo, è un sacrificio non da poco che viene chiesto a chi ha rotto il vincolo e
anche a chi decide di sposare un divorziato, ma la Chiesa DEVE (il maiuscolo è suo, ndr.) difendere il
Sacramento. Questo non ha niente a
che vedere con la misericordia di Dio, l'unico che "vede nel segreto",
ma credo sia ora di imparare a valutare le scelte che si fanno e ad affrontarne
le conseguenze. Chi si sposa in chiesa lo fa per la vita, e forse sarebbe da
ripensare la modalità con cui chiunque può farlo, spesso solo per tradizione o
perché più d'atmosfera. La sofferenza aiuta a crescere, come persona e come
cristiano, e , se si vuole, si riesce sempre a vivere la propria fede».
All'inizio dell'estate è Carlo a prendere la parola: « Sono un divorziato (pentito), nonché un sostenitore a favore del divorzio (pentito) all'epoca del referendum sulla legge Fortuna. Non sono a favore della Comunione ai divorziati . L'unica possibilità per accedere alla Comunione, secondo me, è quella di ritenersi ancora fedele alle promesse fatte nel matrimonio e di comportarsi di conseguenza in vita vissuta, parole e pensieri». A sua volta, interviene Nik: «Ho sposato mia moglie davanti a Dio, anche se davanti alla Chiesa non
era possibile perché lei si era incautamente sposata a 18 anni e, dopo
anni di sofferenze, divorziò. Davanti a Dio. Io e lei: 16 anni fa. Siamo
entrambi praticanti e abbiamo un figlio. Dio è parte integrante della nostra
vita familiare.
Perché un omicidio può essere perdonato e un errore di valutazione no?
Questo è quanto ci chiediamo da 16 anni».
Tra gli ultimi commenti giunti in redazione, c'è quello di Maria.
I vostri scritti continuano ad arrivare. Il dialogo non si interrompe. Anche su Twitter dove il limite massimo di 140 caratteri rende essenziali i pareri e le proposte: «Il matrimonio è un sacramento indissolubile, ma con che coraggio lasciamo i ns fratelli fuori dalla grazia dell'Eucarestia» (Enrico); «Se il perdono sta alla base del nostro credo e del messaggio di Gesù possiamo dire sì. La Chiesa cattolica deve accogliere» (Alberto); «Si potrebbe pensare a un percorso penitenziale ben strutturato, a livello diocesano non di singola parrocchia» (Matteo).