E così Fabrice Leggeri, direttore di Frontex (l’Agenzia che l’Unione Europea ha creato nel 2004 per la “cooperazione ai confini esterni” della Ue), ci ha spiegato che in Libia ci sono tra 500 mila e un milione di migranti pronti a salpare verso l’Europa, il che vuol dire prima di tutto verso l’Italia.
Leggeri, a dispetto del nome, anche prima di passare a dirigere Frontex aveva incarichi pesanti: era capo del dipartimento “Lotta all’immigrazione illegale” del ministero degli Interni di Francia, non poca roba. E se non bastasse il suo parere, ci sono le statistiche a parlar chiaro: nei primi due mesi del 2015 sono sbarcate sulle nostre coste circa 80 mila migranti, ovvero il 43% in più dello stesso periodo del 2014.
Nei primi due mesi di quest’anno abbiamo avuto 69 sbarchi, mentre nei primi due mesi dell’anno scorso erano stati 46. Se il ritmo fosse questo per tutto il 2015, a fine hanno avremmo 480 mila nuovi arrivi, contro i 170 mila complessivi dell’anno scorso. Con buona pace di coloro, e non erano pochi, che preferivano credere alle favole, cioè che fosse tutta colpa di Mare Nostrum, e non delle guerre, della fame, dell’implosione di una regione come il Medio Oriente e di una parte dell’Africa, se tutta questa gente rischiava la vita pur di andarsene da casa propria.
Di quelle favole la realtà ha fatto giustizia, purtroppo sulla pelle di uomini, donne e bambini che continuano a morire in mare o a vivere da profughi o da immigrati irregolari. E anche sulla pelle di noi italiani, che comunque siamo chiamati a gestire in prima persona il flusso dei disperati. I quali, per essere disperati, non per questo smettono di essere un problema doloroso, costoso e difficile da seguire: sono oggi quasi 70 mila i migranti ospiti delle strutture di accoglienza del nostro Paese.
Fabrice Leggeri ha anche detto che Frontex «ha bisogno di risorse e staff e dell’impegno degli Stati membri a rendere disponibili i loro mezzi». E ha aggiunto: «Frontex non è sufficiente ad affrontare questo enorme problema».
Bisognerebbe, ovviamente, che l’Europa si facesse davvero carico di un’azione seria e profonda, per contrastare l’immigrazione irregolare non quando è già arrivata ma prima che parta. Anche se in realtà, a ben vedere, non è vero che l’Europa non abbia fatto nulla: i Paesi del Nord hanno scaricato la “grana” su quelli del Mediterraneo (l’Italia, certo, ma anche Spagna, Grecia, Malta e Cipro); e tutti insieme hanno bombardato la Libia nel 2011, contribuendo a creare il pandemonio che adesso ci tormenta.
Un egoismo a due facce che ha, però, una conseguenza sola: difficoltà per tutti. Perché i migranti sbarcano in Italia ma poi, nella grande maggioranza, vanno altrove e passano senza troppi problemi le porose frontiere interne della Ue. Mentre certe guerre demenziali (pensiamo solo al fatto che il presidente francese Sarkozy, che nel 2011 fu il primo a bombardare la Libia, a quanto pare nel 2007 aveva preso denaro da Gheddafi per finanziare la propria campagna elettorale) dilatano la questione, la rendono sempre più vasta e drammatica.
Bisogna intervenire, certo, ma per pacificare. Per costruire, non per abbattere e lasciare ciò che resta nelle mani del primo brigante di passaggio. Per proteggere, non per aizzare.
E basta vendere armi a chiunque abbia petrodollari per pagarle: il Medio Oriente ha circa 400 milioni di abitanti, la diciottesima parte della popolazione mondiale, ma riceve circa il 20% di tutte le armi vendute nel mondo. Se l’Europa avesse speso nell’impresa dello sviluppo e della pace metà dei soldi che ha investito in armi, oggi non avremmo il problema che abbiamo.