Per il momento è solo un gioco, ne siamo consapevoli. Cesare Prandelli e la sua Nazionale devono ancora giocare il Mondiale in Brasile. Ma nel calcio si sa basta agitare un bicchiere d’acqua per scatenare una tempesta. Può darsi pure che Cesare Prandelli abbia voglia di maggior continuità sul campo e minor pressione fuori, non ha mai negato di provare un po’ di nostalgia per la quotidianità del campo che un Ct calpesta di rado. E poi logora quella panca su cui nessuno siede mai davvero. Ricordate di aver visto un Ct guardare partite da seduto?
Sarebbe già buono se la tensione finisse in campo, ma il difficile viene sempre dopo: nel Paese dei 59 milioni di commissari tecnici a parole, le critiche sono feroci e spietate, solo vincere i Mondiali, forse, ti salva. Ma solo fino alla sconfitta successiva. E infatti è bastata una frase del Ct, a proposito del futuro, dopo i Mondiali, per scatenare il totopanchina azzurra. Un po’ per scaramanzia, giochiamo anche noi, ma sappia Prandelli che a noi il suo stile di conduzione, attento agli uomini oltrché ai risultati, piace molto. A cominciare da quel suo gesto di applaudire per primo trascinandosi dietro, nell'applauso, uno stadio intero fino a coprire i fischi dei soliti idioti all'inno bulgaro, venerdì sera.
Ma se proprio non ne potrà più, se proprio il ciclo, dopo il Brasile dovesse finire, i candidati non mancheranno
Massimiliano Allegri non s’è nascosto dietro un dito, ha ammesso che in un futuro lontano (ma non si sa quanto) ambirebbe all’azzurro (come tutti dice lui). Bisogna vedere se Acciuga, che è un abile valorizzatore di talenti singoli, saprà adattarsi al poco tempo concesso ai Ct per fare gruppo. E saprà tenere a freno il suo temperamento livornese fumantino che da tecnico, soprattutto in questi anni, ha imparato a covare sotto la cenere professionale? In azzurro la pressione aumenta, saprà non fare fuoco come Grisù?
Antonio Conte ha detto che alla Juve sta benissimo, ma chissà. Sarebbe l’anti-Prandelli: tanto pacato il Ct nato tra Brescia e Cremona, tanto aggressivo è il tecnico juventino, uomo di gruppo come Prandelli, ma d’opposto carattere: il primo pronto a rispondere a tutte le domande, anche alle più scomode, il secondo propenso a sentirsi sotto assedio e ad agire di conseguenza, per la gioia di Maurizio Crozza.
Alberto Zaccheroni in arte Zac è in scadenza di contratto con il Giappone con cui ha fatto molto bene. Potrebbe avere legittimamente voglia, dopo l’avventura esotica, di tornare verso il centro del pallone. Potrebbe essersi disabituato alla pressione, ma avrà di certo un bonus di filosofia zen accumulato in questi anni da spendere. E magari aiuta. Lo stile, comunque, è prandelliano, sereno, da uomo del dialogo, capace di ridare fiducia a campioni spenti e di dare linfa a nuove leve.
Fabio Capello ha probabilmente, per essere un candidato verosimile, un ingaggio troppo alto rispetto alle tasche federali e un contratto troppo fresco con la Russia, ma è anche l’uomo che più di tutti potrebbe desiderare di raccogliere l’unica sfida che ancora gli manca: dimostrare di saper vincere anche in azzurro. Bisiacco, della terra tra due fiumi che separa friulani e giuliani, l’uomo è duro come la pietra del Carso, ha dimostrato a Madrid di poter vincere anche in territorio ostile. E sulla panchina dell'Italia si può essere amati e detestati da un giorno all'altro con la stessa intensità.
Roberto Mancini è un altro dal contrattone proibitivo, ma come Allegri s’è candidato in qualche modo. Fa sapere che l’azzurro è sempre una priorità. Esonerato a fine campionato dal Manchester City è libero e con un curriculum di tutto rispetto. A dispetto del look che definiscono dandy, contrapposizione estetica al mondo bruto degli stadi, non è un molle: memorabile il suo muso duro-contro-muso duro con Ferguson. Non gli dispiacciono le partite in cui si rischia tutto, come certi finali di campionato con l’Inter, un’esperienza che in Nazionale potrebbe rivelarsi utile.
Si è fatto anche il nome di Vincenzo Montella: il ragazzo si farà, ma è presto per bruciarlo così, Donadoni docet.
Nessuno ha fatto il nome di Marcello Lippi. È impegnato e su quel fronte ha già dato, nel bene e nel male, più del necessario.