«È impossibile occuparsi di una rinnovata relazione tra essere umano e terra se non si toccano i rapporti di potere tra i generi, se non si è in grado di dialogare intelligentemente a livello interreligioso, se non si cura il cammino ecumenico. Queste sono le sfide del nuovo Papa». Giovane, preparata, studiosa, Alice Bianchi fa parte del consiglio di presidenza del Coordinamento teologhe italiane. Negli ultimi libri che ha pubblicato esplora la differenza di genere nella Chiesa, e rinarra alcuni personaggi biblici con attenzione particolare alle figure femminili. È dottoranda in Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e docente a contratto all'Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Brescia.
Dottoressa Bianchi, se lo aspettava?
«È stata una sorpresa! Ero in piazza San Pietro quando c’è stata la fumata, con migliaia di persone, e devo dire che quando è apparso il nuovo Papa il senso di stupore ha pervaso molti di noi».
Quali pensa siano stati i suoi punti di forza, al Conclave?
«Credo ci fossero due criteri più evidenti degli altri, in questo Conclave: il primo era la geografia, perché in questi anni Francesco ha mostrato molto bene che la Chiesa è plurale e non si regge più sulle colonne dell’Europa. Il secondo era la capacità di insistere sull’urgenza della pace, perché i venti di guerra di questi mesi hanno soffiato fortissimo. Ci sono ovviamente tante altre cose da considerare, ma penso che Prevost abbia qui i suoi punti di forza: è un ex missionario, e ieri è stato il primo Papa della storia a parlare una lingua che non fosse il latino o l’italiano dalla loggia di san Pietro, una dimostrazione concretissima della sinodalità. E dalle sue prime frasi abbiamo inteso che la pace gli sta a cuore: ha detto “pace” ben 10 volte. È un segno forte».
Lei si è occupata del ruolo del femminile nella Chiesa. Si aspetta delle aperture sulla questione femminile?
«Dal vescovo di Roma mi aspetto sempre che ascolti il popolo di Dio, almeno metà del quale è fatto dalle donne, e dal successore di Francesco mi aspetto ancora di più un’attenzione a ciò che la Chiesa elabora sinodalmente. Tanto è stato detto sulle donne negli ultimi decenni, e tanto le donne hanno detto, più o meno ascoltate. Leone XIV ci ha salutato con la frase: “A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina”; dunque, la mia speranza è che non sia spenta alcuna voce».
A suo parere, quali sono le questioni più urgenti che il nuovo Papa dovrà affrontare?
«In questi circa 20 giorni di sede vacante, sono successe tante cose, ma il mondo è sostanzialmente ancora quello con cui aveva a che a fare Francesco, e le sfide sono le stesse: le guerre reali o minacciate, lo scandalo degli abusi che fa marcire la Chiesa dall’interno... C’è poi un cammino sinodale da non esaurire… Il Vangelo ha sempre molto da fare, e la Chiesa con lui».
Quali sono le sfide che l’attualità politica di oggi presenterà al Papa?
«Le cronache di questi giorni non fanno sconti: India-Pakistan, Israele a Gaza, Russia-Ucraina, Sudan… Il nostro è un mondo che sempre di più dà per scontata la violenza, anche nella quotidianità. Inutile ripetere il solito ritornello sulla polarizzazione del dibattito e l’incapacità di conversazione che ormai ci riguarda tutti e tutte, fin dentro la Chiesa. Ma non sono sfide che si propongono al Papa come singolo, sono questioni che investono le comunità cristiane tutte. Leone XIV raccoglie una Chiesa che ha già a che fare con tutto questo, con la difficoltà di gestire i conflitti».
Con il Motu Proprio “Ad theologiam promovendam”, Francesco aggiorna gli Statuti della Pontificia Accademia di Teologia chiamandola ad “una coraggiosa rivoluzione culturale” per essere profetica e dialogante, con un chiaro timbro pastorale. A suo parere, partendo da questa prospettiva, quali sviluppi vede?
«I teologi e le teologhe devono sempre essere coraggiosi, papa Francesco aveva ragione con il suo appello. Per chi fa questo mestiere, la difficoltà sta sempre nel cogliere cosa sta accadendo alla Chiesa e raccontarlo. Dentro le accademie, questo significa sicuramente proseguire nella linea della transdisciplinarità tracciata nel proemio di Veritatis Gaudium. Bisogna saper ascoltare tutti i campi del sapere: ci si muove insieme anche in teologia».
Gli input del pontificato di Francesco sono tanti: ecologia, sinodalità, dialogo interreligioso… secondo lei, quali di questi dovrà raccogliere il nuovo Pontefice?
«Tutti, tutti, tutti. Sinodalità vuol dire anche muoversi su più piani contemporaneamente. È impossibile occuparsi di una rinnovata relazione tra essere umano e terra se non si toccano i rapporti di potere tra i generi, se non si è in grado di dialogare intelligentemente a livello interreligioso, se non si cura il cammino ecumenico verso l’unità delle chiese, e su quest’ultimo punto vorrei aggiungere: non esiste una Chiesa sinodale senza che sia ecumenica».
Nell’ambito della teologia morale, Bergoglio ha sottolineato l’importanza dell’incontro e della misericordia. Quali scenari apre questa visione?
«Alcuni scenari li abbiamo visti in questi anni: le persone hanno storie tanto diverse che non ci può essere una fredda regola per tutti, che valga senza nemmeno interpellare i contesti, le biografie, le relazioni… Tra l’altro, che possa essere una regola così è un’illusione, e un grosso fraintendimento della morale. Teniamo a mente gli incontri di Gesù nei Vangeli, sempre profondamente umani».
Infine, lo scorso dicembre, al Congresso internazionale sul futuro della teologia, organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, Bergoglio espresse il desiderio che la teologia aiuti a “ripensare il pensiero” e l’invito a renderla “accessibile a tutti”, sottolineando la necessità del contributo femminile perché "una teologia di soli uomini è una teologia a metà”. A che punto siamo?
«La teologia accessibile a tutti e a tutte è quella che vive nelle aule sinodali e nei luoghi della quotidianità. E le donne in teologia sono abituate, storicamente, a fare percorsi collettivi, riconoscere dignità a chi sta ai margini, e a tessere alleanze. "Ripensare il pensiero" vuol dire questo. Abbiamo tutti gli strumenti che ci servono».