Morte in mare aperto, di Andrea Camilleri.
Il mistero del processo, che tanto fa discutere in cronaca e che tante volte spiazza l'opinione pubblica, funziona invece in letteratura. Lo dice La regola dell'equilibrio, di Gianrico Carofiglio, in testa alla classifica, davanti all’ultimo Montalbano Morte in mare aperto, ma lo dicevano anche il Campiello vinto da Giorgio Fontana con Morte di un uomo felice e pure il successo di Roberta Gallego alla sua terza prova da scrittrice con Il sonno della cicala.
Se nel sistema all’inglese o all’americana il cosiddetto legal thriller – da Perry Mason a John Grisham - è un classico, nel giallo (ammesso che di giallo si tratti e non è il caso di Fontana) all’italiana a farla da padrone per tradizione è il commissario: da Bellodi a Montalbano, passando per il Cattani di televisiva memoria. L’aula giudiziaria viene dopo di loro, la sfiorano appena, nel contatto con il pubblico ministero per solito ritratto come un rompiscatole che ha il pallino del cavillo e del formalismo che il Montalbano di turno vorrebbe forzare: l'ombelico del mondo resta il commissariato.
Morte di un uomo felice, di Giorgio Fontana
Restava, anzi. Ora invece si va affermando se non un filone un “filoncino”, non di pane ma di pochi autori, che mettono l’aula, il processo, il giudice, l’avvocato al centro della scena. Non è probabile che il plotoncino di giuristi di carta si ingrossi al ritmo con cui cresce la piena dei commissari e un motivo c’è. Se la tradizione letteraria – nazionale e internazionale - da Maigret in su e in giù soccorre da sola benissimo chi si scopre una vena narrativa quale che sia il suo lavoro, per addentrarsi credibilmente nel mistero del processo occorre avere i ferri del mestiere: masticare pane e diritto. E infatti non per caso, gli autori che riescono bene su questo fronte o sono del mestiere o hanno – è il caso di Fontana – per casa qualcuno che lo è. Nel ritratto realistico del processo come funziona o del ruolo di chi ne rappresenta le parti – oltreché nell’abilità narrativa - c’è probabilmente una chiave del successo: si viene presi per mano, da scrittori pazienti e capaci, e introdotti con l’arma del racconto, ora tragico ora ironico, in quel gergo iniziatico che è per molti quella che Italo Calvino chiamava "l’antilingua" dei verbali e del diritto.
La regola dell'equilibrio.
Sono romanzi insoliti rispetto alla tradizione: può succedere persino
che un’indagine si concluda molto realisticamente con l’archiviazione,
cosa che probabilmente spiazzerà il lettore di pura trama, patito di
noir nordici, ma soddisfa la curiosità di chi cerca di addentrarsi non
soltanto nel mistero alla ricerca dell’assassino, ma anche in quegli
altri misteri che sono la mente, il cuore e la coscienza di chi arbitra
la giustizia degli uomini nel suo farsi. Ne escono figure umanissime,
mai eroiche nel senso abusato
del termine: nemmeno Colnaghi, protagonista di Morte di un uomo felice
di Fontana, magistrato ucciso dai terroristi è un eroe in senso
stretto. È una figura profondamente morale: coraggioso e umile, ma uomo
tra gli uomini, per questo nobilissimo.
Non è eroe l’avvocato Guerrieri: protagonista della saga di Carofiglio, antieroe quasi, arruffato nei sentimenti privati e nel mestiere non del tutto realistico, con quel suo modo di guardare il processo, il diritto e la legge con lo sguardo più alla società che al proprio cliente. Non arriva al paradosso di Perry Mason, che difende, nell’assoluta inverosimiglianza, solo innocenti, ma seleziona la clientela con criteri per i quali un avvocato penalista nella vita reale italiana probabilmente farebbe la fame. Nell’ultimo romanzo si confronta con un cliente che lo mette in crisi di coscienza: un giudice sospettato di corruzione. Qui, come mai prima, si coglie il nodo dell’improbabilità dell’avvocato Guerrieri, che è poi forse la chiave che ce lo rende simpatico: non gli piacciono i delinquenti che scardinano i suoi principi, in definitiva è un avvocato che, più attento alla società che al suo assistito, ragiona da magistrato, tradendo in parte gli sforzi del suo autore, che magistrato nella vita è stato davvero. Ma che importa, se la licenza poetica incontra i gusti?
Il sonno della cicala, di Roberta Gallego.
Letteraria certo, ma forse non troppo, è anche la procura imperfetta della saga di Roberta Gallego, pubblico ministero nella vita, che ritrae miserie e nobiltà di una piccola procura del profondo nord: gialli visti da dietro lo specchio i suoi, letti dal punto di vista di chi indaga, lottando con una quotidianità imperfetta sì, ma realistica, spietatamente autoronica a volte, eppure in fondo rassicurante: fatta di uomini (e donne) che si sforzano di rendere giustizia da uomini, consapevoli dei propri limiti, mai tentati di sentirsi in servizio permanente effettivo per conto di Dio. E intanto, mentre i contemporanei scalano le classifiche, il calendario si incarica di ricordarci che venticinque anni fa, di questi tempi, moriva Leonardo Sciascia. Il suo libro più bello e meno noto Porte aperte è il padre nobilissimo di questo nostro “filoncino”: nel piccolo giudice protagonista e nella sua coscienza c’è la più alta idea di giustizia umana che la storia della letturatura ricordi.