«La nostra presa di posizione per “tagliare le ali alle armi” non è ideologica,
ma si basa su analisi concrete e sui numeri». Francesco Vignarca, della Rete
italiana per il disarmo, snocciola le cifre presentando, insieme con Giulio
Marcon, campagna Sbilanciamoci! e Flavio Lotti, Tavola della pace, la «finta
riforma e i finti risparmi della Difesa e per dire no all’acquisto degli F35».
Nella sala Nassyria del Senato, all’ombra della targa che ricorda i caduti
italiani nell’operazione “Antica Babilonia” in Irakq, i tre coordinatori della
campagna contro i cacciabombardieri parlano delle 75mila firme di cittadini, 660
associazioni, 85 enti locali che sostengono i tagli alle spese militari. «Le
adesioni aumentano di ora in ora», spiega Vignarca. Aggiungendo che «il nostro è
un cammino portato avanti dal 2009, con la campagna “Caccia al caccia”. Oggi
consegnamo virtualmente le firme a Montecitorio e diciamo ancora una volta ai
cittadini come stanno le cose. Nessun contratto per l’acquisto dei
cacciabombardieri è ancora stato controfirmato. Intanto però sono lievitati del
42 per cento i loro costi. Con questi acquisti, compreso l’indotto, si potranno
creare 2.500 posti di lavoro, ma con i 129 milioni di euro (il costo di un solo
F35) si potrebbero aprire 387 asili nido con 3.500 posti di lavoro».
Le
migliaia di firme giunte con ogni mezzo «hanno infastidito più di un
parlamentare», ha aggiunto Flavio Lotti. «I cittadini che dicono la loro sul
fatto che, per esempio, il ministero della Difesa vorrebbe una maggiore
autonomia di spesa avendo già la possibilità di gestire in proprio il 30 per
cento del bilancio, a fronte del 3 per cento degli altri ministeri, non è andato
giù anche ad alcuni senatori che hanno persino obiettato alla legittimità che le
proteste arrivassero via mail nelle loro caselle».
Il punto, ha aggiunto
Giulio Marcon, «è che si è coraggiosi con i tagli ai pensionati e pusillanimi
con i generali. Abbiamo un servizio civile massacrato dai tagli e un welfare che
sta scomparendo. Con una minima parte dei soldi risparmiati con le spese
militari si potrebbero salvare posti letto negli ospedali, risolvere la
questione degli esodati, mettere in sicurezza oltre diecimila scuole che non
rispondono ai criteri della 626, creare più posti di lavoro». I Comuni e gli
enti locali sono i primi «a subire la pressione di questo momento di crisi e a
fare i salti mortali per mantenere i servizi. È anche per questo che abbiamo
firmato così in tanti», ha aggiunto a nome di Comuni e Province, Federico
Montanari, consigliere comunale di Reggio Emilia. «Richiamare alla nonviolenza è
strategico per il futuro delle nostre città e del nostro Paese. Chi dice che
questa è un’utopia o non ha capito nulla o è in malafede».
Annachiara Valle
Lavoro non bombe. Questo chiedono gli italiani, giovani
e anziani. Il lavoro è vita, le bombe la distruggono. Eppure, mentre si
continua a tagliare sulla vita della persone, per le armi la spending review non ha inciso come auspicato. Qualche sforbiciata, a onor del vero, comincia ad esserci. Sugli
acquisti, sugli investimenti, sulla mini-naja e sulle missioni
internazionali, che avrebbero a disposizione, nel 2013, 400 milioni in
meno. Sul taglio del personale (che per ora dovrebbe essere non
inferiore al 10%) non ci sono ancora numeri certi ma soprattutto non è
ancora certo chi pagherà i costi dell’operazione visto che il personale
dovrebbe essere messo a riposo con il 95% dello stipendio, in deroga
alla stessa riforma delle pensioni del ministro Fornero. A parte il
trattamento speciale riservato ai militari, il conto sarà pagato con i
fondi del bilancio della Difesa oppure questi oneri verranno scaricati
sulle altre amministrazioni dello stato aumentando di fatto la spesa
militare?
I più informati dicono di un braccio di ferro in corso da tempo
all’interno del Governo con il ministro della Difesa, l’ammiraglio
Giampaolo Di Paola, che sta cercando di ottenere dal Parlamento la
delega per riorganizzare in proprio la spesa militare del prossimo
decennio continuando così la più anacronistica delle corse agli
armamenti. Parliamo del disegno di legge delega di riforma dello strumento militare (denominato Ddl Di
Paola dal suo primo e unico firmatario) in discussione da alcune
settimane al Senato. Parliamo di almeno 230 miliardi di soldi pubblici
che verrebbero sottratti ad un Paese, il nostro, in grandissima
difficoltà.
Il disegno del Ministro è avvolto da numeri e da parole che si prestano a
più di una lettura: revisione in senso riduttivo, stabilità
programmatica, flessibilità di bilancio, invarianza della spesa. Ma
la sostanza è inequivocabile. Se il progetto venisse approvato così
com’è entrato a Palazzo Madama ci ritroveremmo con un superministro
della Difesa, dotato di poteri e autonomia senza pari, capace persino di
vendere armi nel mondo. E con uno strumento militare
ipertrofico, costosissimo, modellato sui “livelli di ambizione” di
qualche generale e di un complesso industriale che sembra dettare le
linee politiche ai politici. Uno strumento vicino più ai campi di
battaglia che alla Costituzione.
Negli ultimi giorni, numerose organizzazioni della società civile e un
numero ancora più grande di cittadini hanno deciso di rompere il
silenzio che circonda l’iniziativa del ministro Di Paola sollecitando il
Parlamento a “pensarci bene”. L’appello promosso dalla Tavola della
pace lo scorso 22 giugno ha aperto un primo varco nel mondo politico ma
ancora più efficaci sono state le mail che centinaia di cittadini hanno
inviato direttamente ai senatori della commissione difesa e ai
capigruppo di Palazzo Madama. Ne danno conferma i resoconti della
riunione della Commissione Difesa del 4 luglio che riportano le proteste
“bipartisan” del senatore Valerio Carrara (Coesione Nazionale) e del senatore
Mauro Del Vecchio (Pd) raccolte dalla presidente Roberta Pinotti (Pd) secondo i quali
l’invio delle mail contrarie al Ddl Di Paola «configurerebbe un'indebita
pressione sulla Commissione ed i suoi componenti, che dovrebbero, al
contrario, vedersi riconosciuta la possibilità di esaminare un
provvedimento così delicato liberi da qualsiasi condizionamento». No
comment.
Di segno diametralmente opposto è stata invece l’iniziativa dei gruppi
parlamentari del Partito democratico delle Commissioni Difesa di Camera e
Senato, coordinati dal senatore Felice Casson e dall’ onorevole Rosa Villecco Calipari,
che il 10 luglio scorso hanno voluto rispondere direttamente alle
obiezioni sollevate dalla Tavola della pace illustrando una lunga serie
di emendamenti al Ddl Di Paola che sono stati depositati nella serata
dell'11 luglio. Tra questi ci sono la cancellazione delle due norme più
discutibili e discusse: quella che consentirebbe al ministro della
Difesa di vendere armi nel mondo e quella che scaricherebbe sugli Enti
locali gli interventi di Protezione civile delle Forze Armate. Il Pd ha
inoltre deciso di avanzare altre proposte che se accolte costringeranno
finalmente il ministero della difesa a presentare il suo vero bilancio
comprendendo i fondi disloccati negli altri ministeri e a sottoporre a
verifica parlamentare tutti i programmi di ammodernamento e rinnovamento
dei sistemi d’arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente
destinati alla difesa nazionale.
Il Pd ha inoltre deciso di accogliere l’appello della Tavola
della pace affinché si punti alla cancellazione definitiva della
mini-naja, destinando il milione di euro
risparmiato al servizio civile. Tutte proposte estremamente positive che
ora devono passare al vaglio della Commissione Difesa, per passare poi
alle altre commissioni interessate e all’aula. Sullo sfondo resta il
problema non completamente risolto dell’eccesso di delega che il Ddl
attribuisce al ministro della Difesa, in assenza di un disegno
strategico di ridefinizione del modello di difesa compatibile con le
possibilità economiche del Paese e coerente con una nuova idea di
sicurezza e una nuova visione del ruolo dell’Italia in Europa e nel
mondo.
Queste preoccupazioni sono oggi al centro della giornata di consegna
delle firme della petizione contro i caccia F35 che la campagna "Taglia
le ali alle armi" (promossa da Rete Italiana per il Disarmo,
Sbilanciamoci! e Tavola della Pace) ha deciso di organizzare come
momento conclusivo della seconda fase di mobilitazione. Negli ultimi
mesi l'attenzione sul tema delle spese militari e del particolare spreco
costituito dai cacciabombardieri Joint Strike Fighter è cresciuta moltissimo anche
grazie anche a Famiglia Cristiana e a tutte le informazioni
puntuali diffuse dalle associazioni e dai movimenti che hanno sostenuto
la campagna "Taglia le ali alle armi".
Oltre 75.000 cittadini e
associazioni hanno firmato la petizione al governo e più di 50 Regioni,
Province e Comuni hanno approvato un documento contro l’acquisto degli
F35. Dai problemi tecnici ai costi sempre in aumento, dai dubbi di
tutti gli altri Paesi partner alla ostinata decisione di continuare
l'acquisto da parte del nostro ministero della Difesa, alle inesistenti
"penali" sulla cancellazione dell'acquisto, l'opinione pubblica ha avuto
modo di capire meglio cosa sta dietro al progetto del caccia F-35.
Opporsi a queste armi e al Ddl Di Paola non è affare da pacifisti ma da
gente responsabile. Dobbiamo ridurre il debito pubblico e anche la
Difesa deve finalmente dare un contributo significativo. Dobbiamo fare i
conti con un mondo che sta rapidamente cambiando, riconoscere le nostre
responsabilità e decidere con quali strumenti e risorse intervenire.
Dobbiamo rimettere in piedi una politica di pace, cooperazione e
integrazione che è insieme estera e interna, italiana ed europea. Dobbiamo
prendere atto che la prevenzione è meglio della cura, il dialogo è
meglio dello scontro, la cooperazione è meglio della guerra, i ponti
sono meglio dei muri, la sicurezza umana è meglio della sicurezza
armata.
Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace