Un milione di rifugiati fuggiti
oltre confine, un altro milione
di sfollati interni, dei quali
quasi la metà intorno a Mogadiscio.
Nelle ultime settimane
70 mila nuovi profughi sono affluiti
alla periferia della capitale, nella speranza
di trovare maggiore sicurezza.
Queste le cifre del disastro somalo,
che appare ancora più chiaro se si pensa
agli abitanti totali del Paese: poco
meno di 11 milioni.
I dati li snocciola Lars Oberhaus,
responsabile di Echo (l’Ufficio umanitario
dell’Unione europea) per la
Somalia. Dopo la carestia che due anni
fa ha ucciso 250 mila persone, ora se ne
profila un’altra. In un Paese in guerra
civile da quasi 24 anni, basta un’annata di piogge un po’ più scarse per
precipitare il Paese nell’emergenza.
«Interveniamo dove c’è crisi acuta»,
spiega Oberhaus, «ovunque veniamo
a sapere che c’è un gruppo vulnerabile.
E cerchiamo di dare un aiuto integrato:
cibo, acqua, beni di prima necessità,
ma anche sanità e farmaci».
Il conflitto è a macchia di leopardo.
Vi sono zone controllate dagli Shabab
e altre dal Governo, sostenuto dai caschi
blu africani. Dove si combatte, la
gente fugge e perlopiù viene verso la
capitale. La denutrizione grave è concentrata
nel Centrosud, nella cosiddetta
Somalia italiana, molto meno
nel Nordest del Paese. «Echo», continua
il funzionario europeo, «concentra
i propri sforzi su un progetto speciale,
dedicato all’infanzia: Children of
peace, bambini di pace, al quale sono
stati destinati 70 milioni di euro, con
cui opera anche il Cesvi, l’organizzazione
non governativa di Bergamo.
Con la nuova emergenza in arrivo le
risorse non basteranno».
«Nei 4 centri di Mogadiscio», aggiunge
Pietro Fiore, il coordinatore,
«riusciamo ad accogliere 300-350
bambini al mese. Ma la situazione di
insicurezza rende tutto difficile: degli
otto centri previsti soltanto sei riescono
a essere operativi nel Paese».
Per sostenere l’impegno del Cesvi si
può donare sul sito www.cesvi.org, oppure
al numero verde 800.036.036