Per tutti i giorni del suo viaggio nei Paesi Baltici (Lituania, Lettonia, Estonia) il Papa ha pronunciato parole di riconciliazione. Così quello che doveva essere il viaggio della rivincita e dell'orgoglio della fede cristiana sull'ideologia atea comunista crollata nei territori ex sovietici, si è tramutato in una lunga sequela di parole di pace e di tolleranza, nella richiesta pressante ai popoli di «ripudiare la tentazione della vendetta che sempre conduce negli sterili labirinti dell'odio». «Per voi non ci siano né vincitori, né vinti», ha detto in lituano nella cattedrale di Vilnius, che il regime comunista aveva trasformato in museo, «ma uomini e donne da aiutare ad uscire dall'errore, persone da sostenere nello sforzo di riscatto dagli effetti, anche psicologici, della violenza, del sopruso, della violazione dei diritti umani».
Oggi in Lituania ci sono i vincitori e i vinti. I vincitori sono un quarto della popolazione che è finito in prigione, nei lager, deportato in Siberia, ucciso o costretto all'esilio da cinquant'anni di repressione sovietica. I vinti sono i persecutori di allora che oggi si dichiarano ex comunisti, fanno proclami di nazionalismo e governano con il nome di "Partito democratico del lavoro".
Il Papa ha parlato a entrambi: «Ai vinti è urgente ricordare che non basta adeguarsi alle mutate condizioni sociali: occorre piuttosto la conversione sincera e, se necessario, l'espiazione. Ai vincitori va rinnovata l'esortazione al perdono che deriva dalla sequela del Vangelo della misericordia e della carità».
Era commosso Karol Wojtyla quando si è chinato a baciare il suolo lituano. Ci voleva venire fin dall'inizio del suo pontificato perché questa è terra di martiri, di eroica fedeltà al Vangelo e alla Chiesa. Gli scendevano le lacrime sul volto quando si è inginocchiato nella cattedrale di Vilnius a pregare sulla tomba di san Casimiro e poi quando ha salito i gradini della Collina delle croci, il luogo dove si ricapitola la lunga tragedia del popolo lituano. Questo colle, alto pochi metri, è un santuario spontaneo. Le croci le ha portate la gente a rappresentare la propria sofferenza. Il Papa ha paragonato la collina al Golgota, dove morì Gesù, e ha confidato all'arcivescovo di Vilnius che lo accompagnava: «Bisognerebbe far venire qui tutta l'Europa, tutto il mondo».
Nel cuore del Papa la Collina delle croci della Lituania diventa così un luogo mistico: «La croce», ha detto durante la Messa che ha celebrato sotto il colle, «è stata per tutta la nazione e per la Chiesa una provvidenziale fonte di benedizione, un segno di riconciliazione tra gli uomini». Dunque nemmeno nel luogo-simbolo dei massacri anticattolici, tanto odiato dai comunisti, che per tre volte lo spianarono con le ruspe, Wojtyla ha ceduto nell'esercizio della misericordia.
Lasciata la Lituania per la Lettonia, si è recato al santuario di Anglona, e qui in mezzo alla folla raccolta per la Messa c'era un cartello scritto in russo: «Mosca aspetta il Papa di Roma». In Lettonia vive un'importante minoranza russa (35 per cento della popolazione). Ci sono tensioni e problemi di rapporti con i nativi, c'è la questione (lo stesso in Estonia) della presenza delle truppe di Mosca. Il Papa, anche qui, non ha abbandonato il tema che gli è caro in questo viaggio e ha detto in russo: «La fede è stata la forza di liberazione dalla repressione del passato. Ora deve diventare una forza di riconciliazione per quanti condividono problemi e possibilità». Quindi, improvvisando in polacco: «Dobbiamo essere più aperti al dialogo e predisporci ad aiutarci reciprocamente».
La questione della convivenza con i russi era già stata affrontata dal Papa appena arrivato in Lituania, parlando al piccolo corpo diplomatico (venti persone) accreditato a Vilnius ( tra cui l'ambasciatore italiano Tempesta), quando aveva esplicitamente rivendicato il diritto dei russi residenti a vivere nei Paesi baltici. Ma non vi sono stati solo i russi baltici nelle preoccupazioni del Papa. Vi è stata la Russia, Mosca, gli ortodossi del Patriarcato. Per il Paese ex egemone sui Baltici Giovanni Paolo II ha invocato «pace all'interno e all'esterno dei suoi confini»: «Tutti seguiamo con partecipe interesse gli sforzi che la Russia sta compiendo per entrare in una stagione di sempre più salda libertà e solidarietà interna e internazionale».
A sentire il Papa c'era l'inviato personale del Patriarca ortodosso di Mosca Alessio, il pope Georghy Zeblitsiev. Il pope ha seguìto il Papa passo passo nel viaggio baltico. Papa Wojtyla lo ha invitato a pranzo: è un segno importante di disgelo tra cattolici e ortodossi, che accade dopo tre anni di dure polemiche e di incomprensioni. Al tavolo sedeva anche il vescovo cattolico di Mosca Tadeusz Kondrusiewicz. Il portavoce vaticano ha riferito dei dialoghi. Il pope russo ha detto al Papa che le sue parole sulla Russia sono state ben accolte a Mosca. E il Papa ha risposto: «Le ho dette col cuore». Poi Giovanni Paolo II, quando l'inviato del Patriarcato ha osservato che nei libri ci sono molte cose distorte circa le vicende delle due Chiese, ha detto: «Sono d'accordo sulla necessità di uno sforzo comune per riscrivere la storia dei rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa».
Dai Paesi baltici il Papa di Roma ha bussato alla porta di Mosca? È aumentata la speranza di un viaggio a lungo desiderato? Stanislaw Grygel, filosofo e amico del Pontefice, ne è assolutamente convinto: «Questo viaggio annuncia i suoi pellegrinaggi negli altri Paesi dell'ex Unione Sovietica, dove lo aspettano uomini che in questo orribile campo sono sopravvissuti nella fedeltà a Dio».
Foto di Giancarlo Giuliani.