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E ora la verità sull'atroce morte di Giulio

05/02/2016  Il giovane ricercatore friulano prima di morire è stato torturato e picchiato. Ecco perché la versione della polizia egiziana, che parla di incidente stradale, non sta in piedi. Ucciso perché i suoi studi e i suoi articoli davano fastidio al regime del presidente Al-Sisi?

Chi aveva motivo d’uccidere Giulio Regeni, il ventottenne ricercatore universitario italiano, di Fiumicello, nella Bassa friulana, laureato a Cambridge e trasferitosi da settembre in Egitto per una tesi di dottorato sui movimenti sindacali egiziani? Il corpo seminuto del giovane è stato trovato in un fosso alla periferia del Cairo, lungo la strada a grande scorrimento che dalla capitale porta ad Alessandria. La prima ricostruzione dei fatti data dalla polizia egiziana parla di incidente stradale o di rapina finita male.

Ma l’autopsia sembra contraddire le autorità: sarebbero stati trovati sul cadavere del ricercatore italiano bruciature, ferite da coltello sul capo e la schiena e segni di “una morte lenta”, secondo quanto riferito dalla procura egiziana che si sta occupando del caso. Insomma, Regeni potrebbe essere stato torturato, ammazzato e poi scaricato  su quella strada. Perché la malavita del Cairo avrebbero dovuto ridurlo in quello stato? Una tesi, quella della polizia, che appare sempre di più un vero e proprio depistaggio: una versione  confezionata per nascondere una scomoda realtà. Una retata della polizia e poi l’uccisione? Anche il ritardo con cui è stata data notizia della morte del giovane aumenta i sospetti di manipolazione: le tracce di Regeni, infatti, si perdono già la sera del 25 gennaio, cioè dieci giorni prima del ritrovamento del cadavere. Decisamente troppi.  

 Così la magistratura italiana ha chiesto di condurre congiuntamente le indagini con quella egiziana e oggi è arrivato al Cairo un team investigativo composto dai carabinieri del Ros e poliziotti dello Sco. Ma allora chi avrebbe ucciso lo studente friulano e con quale movente?    

Una pista più che plausibile potrebbe essere quella “politica”: Regeni si trovava al Cairo per studiare il movimento sindacale indipendente egiziano, un ambiente composto da oppositori al governo dell’ex-generale Al-Sisi, oggi presidente dell’Egitto. Un regime che non ha esitato a colpire in ogni modo gli avversari politici, instaurando una feroce repressione poliziesca. Si parla di seicento “desaparecidos” dall’inizio della presidenza Al-Sisi e sono decine  gli studiosi e i giornalisti stranieri ad essere stati arrestati  ed espulsi dall’Egitto  negli ultimi mesi.   Occuparsi di sindacato e movimenti operai, e frequentarne gli ambienti, come stava facendo il giovane ricercatore, significa toccare un argomento politico sensibile, sospetto al potere.

 Non è un caso se Regeni, che collaborava dal Cairo al quotidiano “Il Manifesto”, avesse chiesto di scrivere le sue corrispondenze su questi temi, usando uno pseudonimo. E proprio al collega del quotidiano Giuseppe Acconcia (intervistato ieri da Radiopopolare)  aveva recentemente espresso timori rispetto alla sua incolumità. Un tragico presentimento? Come tanti altri esponenti del mondo civile, dell’ambiente sindacale e universitario oppositori del regime, Regeni poteva  essere già  stato “schedato” e posto sotto attenzione dai servizi e dalla polizia egiziana.

   Sul quotidiano oggi è uscito il suo ultimo reportage che attacca in questo modo: “Al-Sisi ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari  della storia del Paese mentre l’Egitto è in coda a tutte le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa. Eppure i sindacati indipendenti non demordono…”. Ucciso per far tacere la sua voce coraggiosa che accusava la violenza del regime? La sua è una morte con ancora troppi punti oscuri.

      La data cruciale del 25 gennaio, potrebbe non essere casuale: il giorno in cui è scomparso il giovane friulano era il quinto anniversario della rivoluzione anti-Mubarak, in piazza Tahrir del 2011, una giornata sempre accompagnata da disordini, manifestazioni e arresti sommari, per la quale l’apparato di sicurezza viene mobilitato con dispiego straordinario di mezzi e uomini.  Regeni, che non era certo un violento o un pericoloso sovversivo, ma uno studioso di materie “scomode”, potrebbe esser stato vittima di un arresto da parte delle forze dell’ordine?  A questa e a tante altre domande dovranno rispondere le autorità egiziane perché una morte così atroce chiede con forza “verità” e solo verità. Senza depistaggi.     

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