"Tre anni fa, quando ammazzò il giornalista del Milliyet, i poliziotti turchi lo hanno interrogato per diciotto giorni e certo non con delicatezza. Ma lui, Mehemet Ali Agca, lo sparatore di piazza S. Pietro, non ha aperto bocca, nonostante la fiamma di una saldatrice gli mordesse la carne. E adesso volete che dica tutto a noi? ». Il funzionario della Digos (i nostri Uffici di sicurezza) allarga le braccia e conclude: «Se mai riusciremo a scoprire tutta la verità, non sarà per la confessione di questo criminale».
Per cinque giorni, Agca ha risposto alle domande, senza dare troppe indicazioni. «Come se recitasse una lezione imparata a memoria», confida uno degli investigatori. Poi, all'improvviso, ha urlato: «Basta, quello che avevo da dire l’ho detto. Adesso portatemi in carcere. Gli interrogatori, ovviamente, sono continuati. Ma da quel momento il giovane turco ha parlato appena il necessario e per non dire nulla. Tanto per intorbidare le acque, ha scelto la strada dei memoriali. Nell'ultimo ha scritto: «Sono andato a Londra per uccidere il re d'Inghilterra e lì ho scoperto che è una donna. Ho rinunciato, perché io, turco e islamico, non ammazzo le donne. Per lo stesso motivo non ho ucciso Simone Veil, presidente del Parlamento europeo. Se avessi avuti i documenti e i soldi per entrare negli Stati Uniti, sarei andato a New York ad uccidere il segretario generale dell'Onu, Kurt Waldheim».
Quando l'interprete, il violinista Korcan Karar, ha tradotto in italiano, il procuratore capo Gallucci e il giudice Sica si sono guardati in faccia perplessi. Ma non era finita: nella lista dei condannati a morte dall'attentatore del Papa c'erano altre personalità mondiali, «simboli dell’imperialismo internazionale».
La loro esecuzione doveva servire «per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sui problemi del Terzo Mondo».
Mehemet Ali Agca adesso teme di essere ucciso. Sei agenti lo sorvegliano a vista, Non fuma, dorme poco, mangia soltanto dopo che qualcuno ha assaggiato il cibo prima di lui. E queste sono indiscrezioni che si raccolgono dopo ore e ore passate attorno agli uffici degli inquirenti. Ma non bastano per scrivere un articolo di giornale. E allora, sul «killer venuto dall'Oriente per uccidere il Papa», si costruisce una delle storie più fantasiose di questi ultimi anni. Per quella vecchia regola del giornalismo deteriore, secondo la quale se di un fatto sai poco puoi scrivere molto, se sai molto è difficile scrivere tutto. E allora ecco il giallo del secolo montato come un puzzle. I pezzi del mosaico arrivano dalla Turchia e dalla Germania, da Palma di Maiorca e dalla Iugoslavia, dalla Tunisia e dalla Bulgaria. E poi da tante città italiane: Genova, Palermo, Perugia, Napoli, Cuneo. Come se l'attentatore avesse avuto il dono dell'ubiquità. E, manco a dirlo, di mezzo ci sono la Cia, il Kgb, Gheddafi e il traffico di droga.
Persino la collocazione politica del protagonista resta sospesa tra rosso e nero. Si fa dire all'arrestato: «Ho aderito al movimento palestinese più estremista, quello di George Habbash». Poi si scopre che a farlo fuggire dalla prigione militare di Kartal (dov’era rinchiuso per l’assassinio del giornalista) sono stati i ”Lupi grigi”, che dovrebbero essere l’ala più a destra del Partito nazionalista turco. Del resto, «è insolitamente difficile», scrive Claire Sterling nel suo libro ormai famoso, La trama del terrore, «far luce sugli opposti estremismi per la totale mancanza di sfumature nella vita politica turca».
«I Lupi grigi non stanno tanto a sottilizzare su questioni di ideologia: a loro basta essere super patrioti, nazionalisti sino al fanatismo».
Ecco, almeno su questo, non ci sono dubbi: Ali Agca è un fanatico. E certamente ha avuto
dei complici che l'hanno sovvenzionato nel suo lungo vagare
per l'Europa. Aveva molti quattrini in tasca, quando l'hanno arrestato, e un conto in banca, in Turchia, che ammonta a circa 50 milioni di lire italiane. Quattrini che -secondo le autorità turche - non provengono dal commercio di droga, ma dai Lupi grigi i quali avrebbero aperto 87 filiali in Germania, 7 in Belgio, 6 in Olanda, una in Austria
un'altra in Svizzera. Ma costruire la mappa dei viaggi in Eurpa di Agca non è così agevole come sembrava all'inizio. Di sicuro è stato in Spagna e in Germania. Dagli altri Paesi mancano conferme ufficiali. Soltanto di un viaggio in Tunisia sarebbe stata raccolta prova: Agca avrebbe trascorso a Tunisi due settimane nello scorso dicembre. Sotto falso nome, s'intende. E qui saltano fuori molti passaporti usati
dal terrorista.
Secondo fonti turche, Ali Agca avrebbe lasciato la Turchia con un passaporto indiano, rifugiandosi prima in Bulgaria e poi in Iugoslavia, dove avrebbe ricevuto un altro passaporto, quello intestato a Faruk Ozgum. Ma siamo di nuovo nelle illazioni. Come per la pistola usata contro il Papa: una Browning costruita in Belgio, che per un certo periodo è appartenuta ad un cittadino austriaco e poi, chissà come, è finita in Italia.
L'inchiesta adesso passa nelle mani del giudice istruttore. Cominciano le perizie mediche e quelle balistiche per stabilire se davvero Mehemet Ali Agca agì da solo in piazza San Pietro. Forse è inutile continuare a interrogarlo. Dagli uffici della Digos è stato trasferito in carcere. Una destinazione che dovrebbe restare segreta, ma sarà un altro capitolo del "giallo" più sconvolgente di questi ultimi anni.