Fra Teodorico Beniamino Ciannilli (1924-2020), testimone dell'incontro.
«Stamattina è stato in visita dal P. Pio il Rev.mo Don Giacomo Alberione, Primo Maestro e Fondatore della Pia Società S. Paolo. È stato a pranzo con la comunità e si è trattenuto in fraterno colloquio col P. Pio nel salotto sopra la scalinata». Queste quattro righe, vergate in una grafia ordinata e piuttosto minuta, in data 3 maggio 1965 sulla Cronistoria del Convento di Santa Maria delle Grazie dei Frati minori cappuccini di San Giovanni Rotondo sono la prima traccia documentale dell’unico incontro avvenuto tra il Santo delle Stigmate e il Beato, apostolo della Parola nella contemporaneità. Un’altra è costituita della firma lasciata da Alberione sul registro dei visitatori quello stesso giorno, la terza è la foto che ritrae i due insieme, sorridenti, seduti l’uno accanto all’altro durante il colloquio.
Ma quali furono le ragioni di quel rendez-vous e che cosa effettivamente si dissero in quell’occasione due tra le più grandi figure della spiritualità del XX secolo? Chi scrive ebbe l’occasione, quattro anni fa, in occasione del centenario della stigmatizzazione e del cinquantesimo anniversario della morte di San Pio da Pietrelcina, di conoscere l’ultimo testimone superstite dell’incontro, fra Luigi da Serracapriola, al secolo Teodorico Beniamino Ciannilli, scomparso lo scorso anno novantaseienne, raccogliendone i ricordi vivi e avvincenti. «All’epoca», raccontò, «ero padre guardiano al Convento dell’Immacolata di Foggia e la nostra Provincia non viveva un momento felice. Si pensava che volessero sopprimerla. Padre Pio soffriva molto per quest’eventualità». Forse, quindi, ipotizzava il religioso, potrebbe averne voluto parlare ad Alberione, molto vicino a Paolo VI.
Sopra, nella "Cronistoria" del convento di San Giovanni Rotondo la nota del 3 maggio 1965, in cui si legge, tra l'altro: "Don Alberione è stato a pranzo con la comunità, e si è trattenuto in fraterno colloquio con P.Pio"
Anche don Giacomo, tuttavia, aveva qualcosa su cui confrontarsi con il futuro santo: «Aveva in mente di costruire tre ospedali, uno per le religiose e l’altro per i religiosi della Famiglia che aveva fondato e un terzo per tutto il clero. Questo me lo confidò padre Angelico d’Alessandria, che era stato visitatore presso i Paolini e da allora aveva un dialogo privilegiato con il beato Alberione. Forse voleva sapere bene quali scogli avesse affrontato la Casa Sollievo della sofferenza. Poi però il beato riuscì a costruire solo la clinica Regina Apostolorum ad Albano Laziale, dove fra l’altro poi io sarei stato curato per un problema alla prostata. Fu padre Angelico, che stava nel mio convento, a coinvolgermi in quello storico incontro».
Don Giacomo partì da Roma verso le sei del mattino sull’auto guidata da fratel De Blasio, e arrivò a Foggia dopo circa 4 ore. Nell’informare l’autista del loro viaggio per l’indomani, non aveva accennato né a San Giovanni Rotondo né a Padre Pio, ma solo a Foggia come meta finale e padre Angelico di Alessandria, come persona da incontrare. In più, secondo quanto riferito dallo stesso De Blasio, gli raccomandò di mantenere il massimo riserbo su quella “missione”.
Giunti al convento foggiano dell’Immacolata, padre Alessio e padre Ciannilli, salirono sulla loro auto. Ricordava il secondo: «Alberione per tutto il tragitto sino a San Giovanni Rotondo non disse neppure una parola. E non c’è da stupirsi, i santi parlano poco, e s’intendono alla perfezione fra loro. Noi, anche con un certo imbarazzo, pregammo nel silenzio, ognuno per conto suo. Arrivati nel convento di Padre Pio, chiedemmo di lui e accompagnammo l’illustre ospite nella sala vicina al refettorio dove era atteso».
La firma del fondatore della Famiglia Paolina nel registro dei visitatori di San Giovanni Rotondo.
Prima del rendez-vous era stato preparato un pranzo nel refettorio, ma Alberione non toccò quasi cibo, segno che aveva fretta di parlare con san Pio. «Alberione, con atto d’umiltà, fece per baciare la mano coperta dal guanto del cappuccino stigmatizzato, ma lui la ritrasse, allora l’ospite gli si sedette accanto», spiegava ancora padre Luigi. «Era evidente il rispetto che avevano l’uno per l’altro. Non so quanto esattamente parlarono: noi poi ci allontanammo e li lasciammo soli. Discussero almeno per una ventina di minuti. Poi Alberione e l’autista che l’aveva accompagnato andarono via, direttamente a Roma, padre Angelico e io rientrammo per fatti nostri».
Qualche tempo dopo, Valentino Gambi, allora direttore generale del Gruppo San Paolo, andò a sua volta da san Pio e si sentì dire a proposito di don Alberione: «Non dimenticarti, figliolo, che stai alla scuola di un santo». E rivolto al confratello che lo accompagnava, spesso autista del futuro beato, aggiunse: «Non ammazzarmelo quel santone! Quante cose egli vuole ancora fare per Gesù e per le anime servendosi dei mezzi più efficaci per portare il Vangelo in ogni angolo del mondo. Seguitelo in tutto, in tutto, senza stancarvi mai! Te ne prego, figliolo, te ne prego». Gambi, di rientro a Roma, provò a riferire il tutto a don Alberione, ma lui gli impedì di proseguire il discorso. «Vede che i santi parlano poco?», sorrideva padre Luigi apprendendo di quest’altra testimonianza a conclusione del suo racconto.