Uscire dall’euro. Quel che fino a poco tempo fa era un tabù, una battuta per gli avventori da “bar economia” o un programma politico di sapore demagogico, comincia ad essere presa in considerazione seriamente. Lo pensano e lo sostengono senza giri di parole moltissimi imprenditori preoccupati per la crisi delle esportazioni. Una liretta debole favorirebbe l’export e contribuirebbe alla ripresa, facendoci uscire dalla palude della crescita zero. Ma anche molti economisti affermano che è venuto il momento di chiudere la stagione della moneta unica europea. Come fa Luigi Zingales, docente all’Università di Chicago. Sul Sole24 Ore, il più prestigioso quotidiano economico italiano, Zingales ha scritto che il modo migliore per praticare questa sorta di eutanasia in Italia ( “il modo più indolore per realizzarlo”) sarebbe quello di “far uscire dall'euro la Germania ed i Paesi del Nord Europa, che formerebbero un nord-euro".
L’esempio di Paese europeo che vive meglio senza euro è il Regno Unito, che non fa parte dell’Unione monetaria: “L’Inghilterra oggi ha una situazione fiscale comparabile alla nostra, ma non soffre sui mercati perché può stampare la sua moneta. Nel momento in cui anche noi potessimo fare lo stesso la nostra situazione sarebbe immediatamente diversa. Avremmo il rischio d'inflazione, ma non quello più devastante del default”. Insomma: «È meglio che seppelliamo la moneta unica prima che la moneta unica seppellisca per sempre l'idea di Europa».
Altro grande sostenitore di questa tesi è Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica all’Università Statale di Milano. In un’intervista a Tempi.it auspica l’uscita il più presto possibile: «Gli anni Ottanta e Novanta, con la loro crescita strepitosa, ci hanno illusi che potessimo tutti correre come la Germania. Non è così. Io sono un ammiratore del sistema tedesco, ma realisticamente devo notare che il nostro Paese è troppo diverso dalla Germania. Chiederci di adeguarci a quello, è un errore. L’euro è stato un errore e infatti gli inglesi, che sono più furbi di noi, ne sono rimasti fuori. Da quando esiste l'euro tutto costa il doppio; ci conviene?».
La tesi dell’uscita dell’Italia dall’euro, arriva anche dall’estero. Alen Mattich commentatore del Wall Street Journal, giustifica così la proposta: «Finché rimane nell'euro, l’unico modo in cui l'atrofizzata industria manifatturiera italiana può competere con la Germania è attraverso lo stesso doloroso sentiero di austerità e deflazione che stanno percorrendo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Ma austerità significa anche minore crescita che, a fronte di crescenti interessi sul debito, può essere disastrosa per un Paese che ha il terzo debito pubblico al mondo. Una via più facile per tornare alla crescita sarebbe quella di abbandonare l’euro. Siccome l’Italia ha solo bisogno di coprire il costo dell'interesse sul debito un’uscita dalla moneta comune potrebbe essere una benedizione nell'immediato, con pochi dei costi dannosi che si troverebbe ad affrontare per esempio la Grecia se lo facesse. Un’Italia dotata di moneta propria potrebbe ritrovare la sua strada verso la competitività attraverso la svalutazione nel tempo necessario a far montare uno zabaglione».
I sostenitori di questa eutanasia monetaria si dimenticano però che la liretta ci consentirebbe di tirare il fiato ma che a lungo termine renderebbe l’intero sistema economico ancor più debole, oltre ad abbandonare la moneta in balia dei mercati mondiali. Insomma, tornare sui propri passi può costarci ancor più caro. Italia fuori dall’euro. Una benedizione o una maledizione? Il dibattito è aperto.