Povero presepe, stretto com’è nella morsa degli opposti estremismi. Chi lo agita come simbolo di un’improbabile religione civile e chi lo censura perché nelle scuole offenderebbe i musulmani e i fedeli delle altre religioni. Chi lo difende come «simbolo della nostra tradizione» e chi, come l’europarlamentare della Lega Mario Borghezio, lo porta persino a Bruxelles: «Ci ricorda a quali tradizioni apparteniamo e il diritto-dovere di combattere per la loro difesa». Basta mettere la parola “presepe” nell’Ansa e viene fuori di tutto: dichiarazioni di ministri e intemerate di parroci, precisazioni di vescovi e censure, al limite del ridicolo, di qualche insegnante. Come quelle di una scuola elementare della Riviera del Brenta, al confine tra le province di Venezia e Padova, che avevano cancellato il nome di Gesù da una canzone di Natale imparata per la recita degli alunni. Ma una bambina di 10 anni si è ribellata e dopo aver raccolto le “firme” tra i compagni di classe, ha vinto la sua battaglia: Gesù ha ripreso il suo posto nella canzone.
A ogni anno la sua polemica. Che poi, quella di quest’anno, tanto polemica non è, se gran parte del mondo cattolico (da singoli parroci a molti vescovi, da associazioni come la Comunità di Sant’Egidio, la Casa della Carità di don Colmegna e la Papa Giovanni XXIII di don Benzi, fino al quotidiano Avvenire) ha sentito il bisogno di dire che no, non è possibile scatenare battaglie per difendere il presepe se si parla (e legifera) in senso ostinato e contrario, “smontando”, con il decreto sicurezza, anche il circuito dell’accoglienza che funziona e integra gli immigrati arrivati nel nostro Paese per lavorare e si abolisce la protezione umanitaria. Il sasso nello stagno lo ha gettato il 2 dicembre scorso don Luca Favarin, prete di strada di Padova, che dalla sua pagina Facebook ha lanciato un appello: «Quest’anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri». Una provocazione forte, certo. Il vicepremier e ministro degli Interni Matteo Salvini gli ha risposto subito: «Giù le mani da Gesù Bambino e dal presepe! Viva il Natale!». A Favarin ha replicato anche Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione del Veneto, ricordando che «le scuole hanno accolto bene l’iniziativa originale, voluta dal Consiglio regionale lo scorso anno e tradottasi nella proposta della Giunta veneta di concedere 250 euro agli istituti che avessero realizzato il presepe. Ben 546 scuole hanno partecipato al bando».
La questione non è tanto se fare o non fare il presepe, quanto il significato che gli viene attribuito. Solo tradizione? Per i cristiani non è così, come ha ricordato, tra gli altri, il vescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini, il cardinale di Agrigento ed ex presidente di Caritas italiana monsignor Francesco Montenegro e il vescovo di Chioggia Adriano Tessarollo, che in un’intervista al Corriere del Veneto se l’è presa con i politici: «Strumentalizzano il presepe e dicono di voler preservare l’identità cattolica e cristiana, basata sull’amore per il prossimo, predicando l’odio e l’esclusione invece dell’inclusione». Ad Acquaviva delle Fonti (Bari) il comitato feste patronali ha allestito un presepe provocatorio dove il Bambinello nasce nel mare, con Giuseppe e Maria, profughi, non accolti da nessuno, per richiamare l’ecatombe di migranti del Mediterraneo.
Quanto all’accusa che il presepe offenderebbe i musulmani, basta aprire il libro L’Iran oltre l’Iran di Alberto Zanconato, a lungo corrispondente dell’Ansa a Teheran e poi a Beirut, e leggere questa testimonianza: «Gesù è uno dei più importanti profeti dell’islam e Maria una figura tra le più venerate dai musulmani. Reza, un mio amico iraniano che non mancava di recitare quotidianamente le preghiere, non beveva alcol e osservava coscienziosamente il digiuno del Ramadan, mi chiese un giorno, mentre partivo per le vacanze in Italia, di portargli al mio ritorno le statuine del presepio, per suo figlio».