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sabato 05 ottobre 2024
 
 

È tempo di camminare da soli

11/02/2013  "Chakama nel cuore" è un progetto di Karibu onlus: l'obiettivo è aiutare un villaggio keniota a raggiungere l'indipendenza economica e alimentare

Chakama. 50 chilometri da Malindi. Kenya. C'è un'organizzazione che sta facendo un ultimo grande sforzo per garantire a un intero villaggio quell'indipendenza economica e alimentare che solo 5 anni fa era impensabile. Tutto merito di Karibu onlus, dei volontari, dei sostenitori e della gente di questo angolo di Africa che oggi intravede un futuro diverso diverso da quello che a cui sarebbe stata facilmente condannata. È iniziato tutto nel 2008 e si è andati per gradi: ogni anno, ogni mese, ogni giorno un piccolo passo avanti. Prima la nursery, la falegnameria e la sartoria. Poi, la condotta idrica che ha portato acqua corrente a tutto il comprensorio e l'arrivo dell'energia elettrica.


Chamaka ha ripreso a vivere così, e non si è più fermato. Con progetti sempre più ambiziosi. Ma necessari. Come la costruzione della scuola primaria e del pronto soccorso, la creazione di due fishing point per l'allevamento ittico e la realizzazione di una fattoria per l'allevamento di animali, lo sviluppo della coltivazione di aloe vera, frutta e vegetali nei venti acri di terra resi disponibili dalla comunità.

E proprio intorno alla fattoria che verrà si gioca un punto fondamentale del futuro di Karibu onlus, del villaggio di Chamaka e di tutti quei volontari che avranno semplicemente bisogno di prendersi del tempo per loro stessi. Per recuperare la corretta distanza dalle cose, dalle emozioni. «È difficile per me parlare di Chakama senza provare commozione - racconta Popi Fabrizio, un passato da musicista e produttore discografico, presidente di Karibu onlus - Lì ci sono il mio cuore, la mia vita, i miei affetti, c'è il mio futuro. Adesso è tutto più semplice, ma l'inizio è stato molto più duro. Per me era tutto nuovo, tutto da scoprire, ma la gente di Chakama mi ha aiutato con pazienza e Dio con tutto l'amore del Padre».


«Oggi Chakama sta diventando una grande fattoria, una fattoria che darà lavoro alla gente del posto e che sarà una grande scuola di vita per tutti i volontari e la gente che vorrà venire. Avremo animali, avremo campi da coltivare, una bellissima piantagione di aloe che potrebbe diventare la nostra grande ricchezza, avremo una clinica gratuita e la scuola. Abbiamo anche trasformato il volontariato dandogli il valore che gli spetta. Un letto e cibo in cambio di lavoro. Non più volontari che devono sostenere incredibili spese per poter aiutare il prossimo. La nostra grande fattoria sarà il posto dove ognuno potrà venire a cercare se stesso e, se davvero lo sentirà, potrà anche rimanere tutta la vita. Non è una favola, è la realtà».

Meg

  

«Quando sono scesa all'aeroporto di Mombasa, mi aspettavo che l'esperienza che avrei vissuto sarebbe stata entusiasmante, utile e molto intensa. Invece è stata molto, molto di più. Quello che ho vissuto nella brillante terra rossa di Chakama, che finisce dove inizia un cielo gigante che ti spiazza e ti fa sentire microscopico, è qualcosa che va oltre un'azione di volontariato trasparente, consapevole e ricco di amore e di attenzione per l'altro: è l'incontro con persone che hanno dignità, colori, suoni e odori che appartengono ad un tempo che sembra essersi fermato. All'inizio ero molto stranita.


Malindi, le sue contraddizioni, la sua gente, le stradine ricolme di umanità variegata, in alto un sole enorme e tutto intorno una terra immensa. La prima volta che sono salita sul furgone diretto a Chakama, Popi mi ha sussurrato: “Ora vedrai la vera Africa”. E quell'Africa ho incontrato quel giorno. La mattina iniziava con le lezioni di inglese ai bimbi: abbiamo cercato di renderli capaci di comunicare chi erano, dove vivevano, se stavano bene o avevano qualche problema di salute. Il pomeriggio, invece, ero in infermeria ad aiutare Paola nell'intenso lavoro di visite a tutta la comunità di Chakama e non solo (che nostalgia per i membri dell'enigmatica ed elegantissima tribù degli Orma ...). 

Il “Karibu” che conservo nel cuore è fatto dei  sorrisi dei bimbi che cercavano di sbirciare nei quaderni le risposte alle domande della “maestra” o che disegnavano lunghe giraffe come scarabocchi sui fogli quando la loro mente vagava lontano dai banchi della scuola fino a giungere lì, ai colorati e vivaci paesaggi della loro immaginazione. “Il mio Karibu” è stata la gioia di vedere che ognuno di noi, ogni giorno, realizzava qualcosa di  bello, piccolo e grande insieme. “Il mio Karibu”  sono state le donne che si rivolgevano al nostro Primo Soccorso raccontandosi e affidandosi a noi, in totale abbandono. 

“Il mio Karibu” è stato Baraka che si arrampica sul furgone declamando in serie tutti e cinque i continenti per dimostrarmi, una volta di più, di essere studente meritevole del Premio Safari ... “Il mio Karibu” sono stati gli altri volontari, ora miei amici. “Il mio Karibu” è stato giocare a dadi, la sera, anche con Popi per vedere se, almeno in quel caso, riusciva a barare. Sempre nello stesso primo viaggio in furgone, diretto a Chakama, Popi mi ha parlato di una scritta sul muro di una casa africana: “Time will tell”. Io ora ne sono così sicura. Time will tell. [1] Popi Fabrizio: presidente della Karibu Onlus.

Lucia

Quando chiesi a Popi dopo quanto tempo avrei iniziato a sentire “mal d’Africa”, lui, con i suoi occhi da Peter Pan, mi rispose: “Da prima ... già da prima di partire per l’Africa!” Gli occhi di Popi non si sbagliano e, solo andando via da quei posti, riconosci il richiamo … quel richiamo che ti ha portato lì la prima volta. Parti perché vuoi andare, non sai cos’è che ti trascina, ma senti che hai bisogno di andare. Una volta arrivato a Chakama sei catapultato in un mondo dove senti di “aver vissuto in qualche tempo” e hai come la sensazione di essere “tornato” finalmente a casa.


Chakama è una meravigliosa esperienza primordiale …. Torni alla “Terra”, alle tue origini, ai tempi lenti e dilatati dei suoi abitanti e senti di essere a tuo agio fin da subito. È come andare a riprendersi qualcosa … come andare a raccogliere le ossa lì dimenticate. Chakama diventa in un attimo il tuo mondo, seppur completamente diverso da quello a cui sei (purtroppo) abituato.

A Chakama non hai né agi né pretese, hai solo la terra rossa, i suoi cieli infiniti colorati al tramonto, i suoi abitanti e i suoi bambini. La terra rossa non sporca le tue mani … le colora! I tramonti lungo la strada del ritorno ti incantano. I suoi abitanti ti accolgono con dignità e curiosità. I suoi bambini ti restano dentro … Gli occhi dei bambini entrano nei tuoi e ci restano … La loro curiosità nel toccare le tue braccia e non capire perché ci sono così tanti peli chiari, la loro devozione nel cercare di pulire la tua pelle da quelle strane macchiette scure, la loro rabbia per non riuscire a fare le treccine con i tuoi capelli troppo lisci, i loro sguardi, i loro sorrisi, le loro mani ... tutto dei bambini di Chakama ti resta dentro. Indelebile...

Per loro, che affrontano il mondo a piedi nudi, l’essenziale (invisibile agli occhi del “piccolo principe”!) è tutto ciò di cui hanno bisogno. Un pasto, acqua, latte, scarpe, biancheria, vestiti … per molti di loro è ancora un lusso, per noi è scontato, è ostentazione. Donare loro l’essenziale è per noi tutto tranne che sacrificio.

Dicono che gli Africani non siano riconoscenti, che non siano bravi a dire “grazie” … ma basta osservare gli occhi di Mtawali, Shwukra o Baraka scrutare felici la nuova maglietta, conquistata dopo averci aiutati nella costruzione del loro villaggio, per sapere che ti stanno dicendo “asante sana” (grazie mille)! “Asante sana” ai miei compagni di viaggio, a Popi e ad Ale … “Asante sana” a Chakama e ai suoi splendidi bambini … Per sempre nel mio cuore!            

Alberto (Pertz)

  

«Il mio karibu è nato quasi per caso, quando nel bel mezzo di un pomeriggio di metà maggio ho ricevuto l’invito ufficiale di Francesca, ormai pilastro insostituibile di questa meravigliosa banda di benefattori, che mi ha suggerito l’idea: “Pertz, io torno a Chakama, perché il mio cuore non resiste più là da solo senza il mio corpo. Sissi (quell’idolo incontrastato di mia cugina) c’è, manchi solo tu!” Non ho avuto un solo dubbio nell’accettare con entusiasmo folle e immediato, ho prenotato il volo la sera stessa e, fosse stato per me, il giorno seguente sarei partito! Questa è la versione che ogni tanto racconto a me stesso. Volete la vera verità?


Beh, il Pertz ci ha messo un mesetto buono a decidere che l’estate 2010 l’avrebbe passata in un posto sperduto in mezzo alla savana keniota chiamato Chakama … “Insomma - mi dicevo - hai avuto un anno bello intenso e faticoso, esami impegnativi, calcio che dovrebbe essere divertimento e ti ha portato invece a stressarti per riuscire a conquistare una cavolo di salvezza a giugno inoltrato! e pigliati una vacanza con la V maiuscola”. Ma alla fine le vacanze “normali” le ho sempre fatte e con tutta probabilità le continuerò a fare ... l’attrazione che provavo per questo tipo di esperienza andava al di là di qualsiasi spiaggia/lettino/ombrellone sulla faccia della terra. Insomma sentivo qualcosa dentro di me che mi diceva che il momento era giunto, che la vita ti dà delle opportunità che puoi cogliere o lasciare passare con il rischio (certezza?) che quel treno non passerà più. 

Avrei voluto saperlo da sempre, ma purtroppo non tutto si capisce quando lo si dovrebbe capire (e comunque, cara Frency, ti ringrazio perché forse la vocina dentro di te era talmente forte che è arrivata anche a me!). Ma torniamo a Chakama … anzi, andiamo a Chakama! Voglio incominciare partendo dal fatto che dentro di me non mi sono mai sentito, né con ogni probabilità mai mi sentirò, un volontario di quelli autentici: quelli sono eroi veri, persone che mettono in secondo piano i loro bisogni e le loro esigenze e si mettono a disposizione degli altri per giorni, settimane, mesi, anni … decidono semplicemente di donare la loro vita per regalarne a qualcuno una migliore. Io ho solo cercato di fare quello che mi è stato chiesto con la volontà e l’impegno che ci potevo mettere.

“Tre settimane di Chakama” sono volate, lo devo ammettere; solo ora che sono tornato nella routine della vita italiana riesco a focalizzare quanto importante e quanto diverso da quello che ho qui sia stato quello che ho vissuto: sguardi, case, cieli, voglie, esigenze, mancanze ... tutto. Questo pensiero mi conduce tuttavia a realizzare che a Chakama tutto è stato naturale, lineare, spontaneo; fin dal primo giorno le differenze nella mia testa sono diventate unione, le difficoltà (non insormontabili, certo) racchiudevano al loro interno la soluzione. “La mia Chakama” è stata solo cose belle: è stata la fortuna di aver trovato un gruppo di persone vere, che si sono messe alla prova ogni giorno districandosi tra mal di schiena, mal di pancia e malesseri vari; è stata la disponibilità mostrata dalle persone del luogo che non hanno nulla, che forse ancora per generazioni e generazioni non avranno nulla, ma che ci hanno aperto le loro porte di casa, i loro cuori e ci hanno dato una fiducia che, ripensata ora, mi sembra quasi spaventosa. Faccio fatica a elencare le persone che dovrei ringraziare per questa estate magica. E poi … di solito i ringraziamenti si fanno alla fine di qualcosa, mentre qui non finisce proprio niente!». 

“Jambo” (ciao)

Giusy

« Che nostalgia... e io che pensavo fosse un luogo comune il tanto nominato “mal d'Africa” e invece non riesco davvero a riprendermi. Il problema è che la mia anima è ancora lì e non riesco a rassegnarmi al fatto che sia già tutto finito (almeno per il momento, ovvio) però mi ritrovo a guardare e riguardare le migliaia di foto scattate ... a guardarle con tristezza, perchè mi manca tutto da morire e con gioia, perchè ho vissuto davvero quegli indimenticabili momenti, tutto ciò mi fa sentire senza equilibrio, stordita, spaesata. M'incanto spesso quando penso, quando ricordo, quando mi vengono dei flash di quelli che sono stati forse i ventidue giorni più belli della mia vita.


Potrà sembrare un'esagerazione, ma chi l'Africa non l'ha vissuta neanche un giorno non può capire. L'Africa ti squarcia. Ti riempie e ti svuota. T'illumina e ti rabbuia. Ti rallegra e t'intristisce. È “un mondo fuori dal mondo” ... e qui batte un piccolo cuore di nome Chakama. Un posto quasi magico per quello che trasmette. Sensazioni normalmente impercettibili qui si amplificano quasi al punto da stordirti, colori, odori, rumori, sapori, suoni, risate, pianti, melodie, ritmi ... tutto dà valore aggiunto a questa terra.

Chi dà vita a tutto ciò è la gente, soprattutto quella in miniatura: i “watoto” (bambini), quei bambini con gli occhi enormi, tristi, ma pieni di gioia e poi quei sorrisi, tanti sorrisi  immortalati nelle foto, nei miei occhi, nella mia mente. Ma come fanno a sorridere così? Chi glielo ha insegnato? Forse pensandoci bene lo hanno insegnato a me … ho imparato da loro a sorridere col cuore! Sento ancora le loro voci, quei cori così vicini eppure così lontani. Li vedo ancora sbucare da ogni dove e correre come saette anche solo per salutarci per strada o per gridare "caramella, caramella".

È inutile dirlo: "Quella gente vive davvero". Vive la terra che gli dona il cibo .Vive le piante che gli donano l'aria. Vive il fiume che gli dona l'acqua. Vive il cielo che gli dona la libertà. Vive senza tempo, senza ansie ed è felice. Sono arrivata lì con l'intenzione di capire tante cose e son tornata a casa più confusa che mai, ma meno annebbiata dalla mia realtà ... Sono stra-felice di aver vissuto questa esperienza in questo posto meraviglioso, ma soprattutto di aver conosciuto delle persone fantastiche, ognuna con una sensibilità da far invidia a chiunque, con quella umiltà che ha reso il gruppo degno di portare avanti questo progetto, con l'inconsapevolezza di donare parte della propria professionalità, della propria persona, della propria anima.

Io, nel mio piccolo, ho cercato di fare tutto quello che ho potuto, spesso non mi sono sentita all'altezza di alcune situazioni, spesso mi sono sentita impotente, ma ho cominciato a pensarla come loro “hakuna matata”. Qualche lacrima soffocata per la soglia di sensibilità che si assottiglia sempre più, qualche preoccupazione e un po’ di rabbia per episodi che purtroppo lì sono all'ordine del giorno (come i bambini con la febbre altissima che potrebbero morire ogni giorno perchè i genitori non hanno soldi per portarli dal medico). Però … in un momento fortunato si potrebbe incontrare una persona meravigliosa di nome Popi. Un uomo che si ritrova a “catapultare” la propria vita per questa gente, per questa terra e che coinvolge in quest’avventura tante altre persone meravigliose. Una persona che, con coraggio, audacia, caparbietà e tanta poesia e ingenuità, riesce a farti emozionare se da lontano la osservi mentre guarda i "suoi bambini". 

 È stato davvero tutto meraviglioso. Spero di poterci tornare un giorno per riabbracciare “quei dolcissimi monelli”, calpestare  di nuovo quella terra dagli sconfinati orizzonti e riguardare il cielo più bello del mondo con le sue nuvole magiche e le sue stelle spettacolari.  “Asante sana” (grazie mille) bambini per aver fatto parte della mia vita ieri, oggi e per sempre. “Asante sana” Chakama per avermi regalato emozioni pure, dall'alba romantica al tramonto mozzafiato. “Asante sana” Africa per avermi presentato la vera vita ... sono felice di essermi ammalata di te!».    

Cristiana

  

«Karibu, scusa se mi allontano


Ma….

Io ho fatto un viaggio. Non altro 
E fino in fondo
E oltre 

E ho conosciuto i cieli, le piogge, il vento, la terra, il mare, i fiori, gli odori.

E ho incontrato Munyao, i suoi occhi, le sue mani, l’allegria di Mangi, la dolcezza smisurata di Moses, la dignità degli uomini e delle donne di Chakama.

E ho visto Tuma e il suo silenzio, l’insistenza di Kazungu e tanti altri piccoli occhi pieni di luce, buio, fame.

 La Gisela, il Gigi, Giorgio, Alphonce. Le Alessandre paraceta e paramolo, Frencyna, Giusssy, Laretta, Lulù, Niccolao, Massi, Megghi, Paulin (si pronuncia Paulìn), il Pertz, el Popi, Rosy, Miss Sissy, Voi. Le parole dette, ascoltate, taciute.     

E ho imparato, capito, desiderato. Ora immaginami Karibu.

Immagina che tra le tartarughe di Chakama e di Munyao, io sia quella più grande.
Immagina che in quella grande geometrica corazza ci sia il mio mondo. E mi sia casa, compagna. E sorridimi.

E concedimi anche di sorriderti.
E lascia che queste mie piccole zampe si stringano a Voi tutti in un lungo, infinito abbraccio».

Karibu (ciao)

 
 
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