Chakama. 50 chilometri da Malindi. Kenya. C'è un'organizzazione che sta facendo un ultimo grande sforzo per garantire a un intero villaggio quell'indipendenza economica e alimentare che solo 5 anni fa era impensabile. Tutto merito di Karibu onlus, dei volontari, dei sostenitori e della gente di questo angolo di Africa che oggi intravede un futuro diverso diverso da quello che a cui sarebbe stata facilmente condannata. È iniziato tutto nel 2008 e si è andati per gradi: ogni anno, ogni mese, ogni giorno un piccolo passo avanti. Prima la nursery, la falegnameria e la sartoria. Poi, la condotta idrica che ha portato acqua corrente a tutto il comprensorio e l'arrivo dell'energia elettrica.
Chamaka ha ripreso a vivere così, e non si è più fermato. Con progetti sempre più ambiziosi. Ma necessari. Come la costruzione della scuola primaria e del pronto soccorso, la creazione di due fishing point per l'allevamento ittico e la realizzazione di una fattoria per l'allevamento di animali, lo sviluppo della coltivazione di aloe vera, frutta e vegetali nei venti acri di terra resi disponibili dalla comunità.
E proprio intorno alla fattoria che verrà si gioca un punto fondamentale del futuro di Karibu onlus, del villaggio di Chamaka e di tutti quei volontari che avranno semplicemente bisogno di prendersi del tempo per loro stessi. Per recuperare la corretta distanza dalle cose, dalle emozioni. «È
difficile per me parlare di Chakama senza provare commozione - racconta Popi Fabrizio, un passato da musicista e produttore discografico, presidente di Karibu onlus - Lì ci sono il
mio cuore, la mia vita, i miei affetti, c'è il mio futuro. Adesso è tutto più
semplice, ma l'inizio è stato molto più duro. Per me era tutto nuovo, tutto da
scoprire, ma la gente di Chakama mi ha aiutato con pazienza e Dio con tutto
l'amore del Padre».
«Oggi Chakama sta diventando una grande fattoria,
una
fattoria che darà lavoro alla gente del posto e che sarà una grande
scuola di
vita per tutti i volontari e la gente che vorrà venire. Avremo animali, avremo
campi da coltivare, una bellissima piantagione di aloe che potrebbe diventare
la nostra grande ricchezza, avremo una clinica gratuita e la scuola. Abbiamo
anche trasformato il volontariato dandogli il valore che gli spetta.
Un letto e cibo in cambio di lavoro. Non più volontari che devono sostenere
incredibili spese per poter aiutare il prossimo. La nostra grande fattoria sarà
il posto dove ognuno potrà venire a cercare se stesso e, se davvero lo sentirà,
potrà anche rimanere tutta la vita. Non è una favola, è la realtà».
Meg
«Quando sono scesa all'aeroporto di Mombasa, mi
aspettavo che l'esperienza che avrei vissuto sarebbe stata entusiasmante, utile
e molto intensa.
Invece è stata molto, molto di più.
Quello che ho vissuto nella brillante terra rossa
di Chakama, che finisce dove inizia un cielo gigante che ti spiazza e ti fa
sentire microscopico, è qualcosa che va oltre un'azione di volontariato
trasparente, consapevole e ricco di amore e di attenzione per l'altro: è
l'incontro con persone che hanno dignità, colori, suoni e odori che
appartengono ad un tempo che sembra essersi fermato.
All'inizio ero molto stranita.
Malindi, le sue
contraddizioni, la sua gente, le stradine ricolme di umanità variegata, in alto
un sole enorme e tutto intorno una terra immensa.
La prima volta che sono salita sul furgone
diretto a Chakama, Popi mi ha
sussurrato: “Ora vedrai la vera Africa”.
E quell'Africa ho incontrato quel giorno.
La mattina iniziava con le lezioni di inglese ai
bimbi: abbiamo cercato di renderli capaci di comunicare chi erano, dove
vivevano, se stavano bene o avevano qualche problema di salute. Il pomeriggio,
invece, ero in infermeria ad aiutare Paola nell'intenso lavoro di visite a
tutta la comunità di Chakama e non solo (che nostalgia per i membri
dell'enigmatica ed elegantissima tribù degli Orma ...).
Il “Karibu” che conservo nel cuore è fatto dei sorrisi dei bimbi che cercavano di
sbirciare nei quaderni le risposte alle domande della “maestra” o che
disegnavano lunghe giraffe come scarabocchi sui fogli quando la loro mente
vagava lontano dai banchi della scuola fino a giungere lì, ai colorati e vivaci
paesaggi della loro immaginazione.
“Il mio Karibu” è stata la gioia di
vedere che ognuno di noi, ogni giorno, realizzava qualcosa di bello, piccolo e grande insieme.
“Il mio Karibu” sono state le donne che si rivolgevano
al nostro Primo Soccorso raccontandosi e affidandosi a noi, in totale
abbandono.
“Il mio Karibu” è stato Baraka che si
arrampica sul furgone declamando in serie tutti e cinque i continenti per
dimostrarmi, una volta di più, di essere studente meritevole del Premio Safari
...
“Il mio Karibu” sono stati gli altri
volontari, ora miei amici.
“Il mio Karibu” è stato giocare a dadi,
la sera, anche con Popi per vedere se, almeno in quel caso, riusciva a barare.
Sempre nello stesso primo viaggio in furgone,
diretto a Chakama, Popi mi ha parlato di una scritta sul muro di una casa
africana: “Time will tell”.
Io ora ne sono così sicura.
Time will tell.
[1] Popi Fabrizio: presidente della Karibu Onlus.
Lucia
Quando
chiesi a Popi dopo quanto tempo avrei iniziato a sentire “mal d’Africa”, lui, con i suoi occhi da Peter Pan, mi
rispose:
“Da
prima ... già da prima di partire per l’Africa!”
Gli
occhi di Popi non si sbagliano e, solo andando via da quei posti, riconosci il
richiamo … quel richiamo che ti ha portato lì la prima volta.
Parti
perché vuoi andare, non sai cos’è che ti trascina, ma senti che hai bisogno di
andare. Una volta arrivato a Chakama sei catapultato in un mondo dove senti di “aver
vissuto in qualche tempo”
e hai come la sensazione di essere “tornato” finalmente a casa.
Chakama
è una meravigliosa esperienza primordiale ….
Torni
alla “Terra”, alle tue
origini, ai tempi lenti e dilatati dei suoi abitanti e senti di essere a tuo
agio fin da subito. È come andare a riprendersi qualcosa … come andare a
raccogliere le ossa lì dimenticate.
Chakama
diventa in un attimo il tuo mondo, seppur completamente diverso da quello a cui
sei (purtroppo) abituato.
A
Chakama non hai né agi né pretese, hai solo la terra rossa, i suoi cieli
infiniti colorati al tramonto, i suoi abitanti e i suoi bambini.
La
terra rossa non sporca le tue mani … le colora!
I
tramonti lungo la strada del ritorno ti incantano.
I
suoi abitanti ti accolgono con dignità e curiosità.
I
suoi bambini ti restano dentro …
Gli
occhi dei bambini entrano nei tuoi e ci restano … La loro curiosità nel toccare
le tue braccia e non capire perché ci sono così tanti peli chiari, la loro
devozione nel cercare di pulire la tua pelle da quelle strane macchiette scure,
la loro rabbia per non riuscire a fare le treccine con i tuoi capelli troppo
lisci, i loro sguardi, i loro sorrisi, le loro mani ... tutto dei bambini di
Chakama ti resta dentro.
Indelebile...
Per
loro, che affrontano il mondo a piedi nudi, l’essenziale (invisibile agli occhi del “piccolo
principe”!) è tutto ciò
di cui hanno bisogno.
Un
pasto, acqua, latte, scarpe, biancheria, vestiti … per molti di loro è ancora
un lusso, per noi è scontato, è ostentazione.
Donare
loro l’essenziale è per noi tutto tranne che sacrificio.
Dicono
che gli Africani non siano riconoscenti, che non siano bravi a dire “grazie” … ma basta osservare gli occhi di
Mtawali, Shwukra o Baraka scrutare felici la nuova maglietta, conquistata dopo
averci aiutati nella costruzione del loro villaggio, per sapere che ti stanno
dicendo “asante sana” (grazie
mille)!
“Asante
sana” ai miei compagni di
viaggio, a Popi e ad Ale …
“Asante
sana” a Chakama e ai suoi
splendidi bambini …
Per sempre nel mio cuore!
Alberto (Pertz)
«Il mio karibu è nato quasi per caso, quando nel bel
mezzo di un pomeriggio di metà maggio ho ricevuto l’invito ufficiale di
Francesca, ormai pilastro insostituibile di questa meravigliosa banda di
benefattori, che mi ha suggerito l’idea: “Pertz, io torno a Chakama, perché il mio
cuore non resiste più là da solo senza il mio corpo. Sissi (quell’idolo incontrastato di mia cugina) c’è,
manchi solo tu!”
Non ho avuto un solo dubbio nell’accettare
con entusiasmo folle e immediato, ho prenotato il volo la sera stessa e, fosse
stato per me, il giorno seguente sarei partito!
Questa è la versione che ogni tanto
racconto a me stesso.
Volete la vera verità?
Beh, il Pertz ci ha messo un mesetto buono
a decidere che l’estate 2010 l’avrebbe passata in un posto sperduto in mezzo
alla savana keniota chiamato Chakama … “Insomma - mi dicevo - hai avuto un anno bello
intenso e faticoso, esami impegnativi, calcio che dovrebbe essere
divertimento e ti ha portato invece a stressarti per riuscire a conquistare una
cavolo di salvezza a giugno inoltrato! e pigliati una vacanza con la V maiuscola”.
Ma alla fine le vacanze “normali” le ho
sempre fatte e con tutta probabilità le continuerò a fare ... l’attrazione che
provavo per questo tipo di esperienza andava al di là di qualsiasi
spiaggia/lettino/ombrellone sulla faccia della terra.
Insomma sentivo qualcosa dentro di me che
mi diceva che il momento era giunto, che la vita ti dà delle opportunità che
puoi cogliere o lasciare passare con il rischio (certezza?) che quel treno non
passerà più.
Avrei voluto saperlo da sempre, ma purtroppo non tutto si capisce
quando lo si dovrebbe capire (e comunque, cara Frency, ti ringrazio perché
forse la vocina dentro di te era talmente forte che è arrivata anche a me!).
Ma torniamo a Chakama … anzi, andiamo a
Chakama!
Voglio incominciare partendo dal fatto che
dentro di me non mi sono mai sentito, né con ogni probabilità mai mi sentirò,
un volontario di quelli autentici: quelli sono eroi veri, persone che mettono
in secondo piano i loro bisogni e le loro esigenze e si mettono a disposizione
degli altri per giorni, settimane, mesi, anni … decidono semplicemente di
donare la loro vita per regalarne a qualcuno una migliore.
Io ho solo cercato di fare quello che mi è
stato chiesto con la volontà e l’impegno che ci potevo mettere.
“Tre settimane di Chakama” sono volate, lo devo ammettere; solo ora
che sono tornato nella routine della vita italiana riesco a focalizzare quanto
importante e quanto diverso da quello che ho qui sia stato quello che ho
vissuto: sguardi, case, cieli, voglie, esigenze, mancanze ... tutto.
Questo pensiero mi conduce tuttavia a
realizzare che a Chakama tutto è stato naturale, lineare, spontaneo; fin dal
primo giorno le differenze nella mia testa sono diventate unione, le difficoltà
(non insormontabili, certo) racchiudevano al loro interno la soluzione.
“La mia Chakama” è stata solo cose belle: è stata la
fortuna di aver trovato un gruppo di persone vere, che si sono messe alla prova
ogni giorno districandosi tra mal di schiena, mal di pancia e malesseri vari; è
stata la disponibilità mostrata dalle persone del luogo che non hanno nulla,
che forse ancora per generazioni e generazioni non avranno nulla, ma che ci
hanno aperto le loro porte di casa, i loro cuori e ci hanno dato una fiducia
che, ripensata ora, mi sembra quasi spaventosa. Faccio fatica a elencare le persone che dovrei
ringraziare per questa estate magica.
E poi … di solito i ringraziamenti si
fanno alla fine di qualcosa, mentre qui non finisce proprio niente!».
“Jambo” (ciao)
Giusy
«
Che nostalgia... e io che pensavo fosse
un luogo comune il tanto nominato “mal d'Africa” e
invece non riesco davvero a riprendermi.
Il problema è che la mia anima è ancora
lì e non riesco a rassegnarmi al fatto che sia già tutto finito (almeno per il
momento, ovvio) però mi ritrovo a guardare e riguardare le migliaia di foto
scattate ... a guardarle con tristezza, perchè mi manca tutto da morire e con
gioia, perchè ho vissuto davvero quegli indimenticabili momenti, tutto ciò mi
fa sentire senza equilibrio, stordita, spaesata.
M'incanto spesso quando penso, quando
ricordo, quando mi vengono dei flash di quelli che sono stati forse i ventidue
giorni più belli della mia vita.
Potrà sembrare un'esagerazione, ma chi l'Africa
non l'ha vissuta neanche un giorno non può capire. L'Africa ti squarcia. Ti
riempie e ti svuota. T'illumina e ti rabbuia. Ti rallegra e t'intristisce. È “un
mondo fuori dal mondo” ... e qui batte un piccolo cuore di
nome Chakama. Un posto quasi magico per quello che trasmette. Sensazioni
normalmente impercettibili qui si amplificano quasi al punto da stordirti, colori,
odori, rumori, sapori, suoni, risate, pianti, melodie, ritmi ... tutto dà
valore aggiunto a questa terra.
Chi dà vita a tutto ciò è la gente,
soprattutto quella in miniatura: i “watoto” (bambini), quei
bambini con gli occhi enormi, tristi, ma pieni di gioia e poi quei sorrisi,
tanti sorrisi immortalati nelle
foto, nei miei occhi, nella mia mente. Ma come fanno a sorridere così? Chi
glielo ha insegnato? Forse pensandoci bene lo hanno insegnato a me … ho
imparato da loro a sorridere col cuore! Sento ancora le loro voci, quei cori
così vicini eppure così lontani. Li vedo ancora sbucare da ogni dove e correre
come saette anche solo per salutarci per strada o per gridare "caramella,
caramella".
È inutile dirlo: "Quella gente
vive davvero". Vive la terra che gli dona il cibo .Vive le
piante che gli donano l'aria. Vive il fiume che gli dona l'acqua. Vive il cielo
che gli dona la libertà. Vive senza tempo, senza ansie ed è felice.
Sono arrivata lì con l'intenzione di
capire tante cose e son tornata a casa più confusa che mai, ma meno annebbiata
dalla mia realtà ... Sono stra-felice di aver vissuto questa
esperienza in questo posto meraviglioso, ma soprattutto di aver conosciuto
delle persone fantastiche, ognuna con una sensibilità da far invidia a
chiunque, con quella umiltà che ha reso il gruppo degno di portare avanti
questo progetto, con l'inconsapevolezza di donare parte della propria
professionalità, della propria persona, della propria anima.
Io, nel mio piccolo, ho cercato di fare
tutto quello che ho potuto, spesso non mi sono sentita all'altezza di alcune
situazioni, spesso mi sono sentita impotente, ma ho cominciato a pensarla come
loro “hakuna matata”.
Qualche lacrima soffocata per la soglia
di sensibilità che si assottiglia sempre più, qualche preoccupazione e un po’
di rabbia per episodi che purtroppo lì sono all'ordine del giorno (come i
bambini con la febbre altissima che potrebbero morire ogni giorno perchè i
genitori non hanno soldi per portarli dal medico).
Però … in un momento fortunato si
potrebbe incontrare una persona meravigliosa di nome Popi. Un uomo che si
ritrova a “catapultare” la propria vita per questa gente, per
questa terra e che coinvolge in quest’avventura tante altre persone
meravigliose. Una persona che, con coraggio, audacia, caparbietà e tanta poesia
e ingenuità, riesce a farti emozionare se da lontano la osservi mentre guarda i
"suoi bambini".
È stato davvero tutto meraviglioso.
Spero di poterci tornare un giorno per
riabbracciare “quei dolcissimi monelli”, calpestare di nuovo quella terra dagli sconfinati orizzonti
e riguardare il cielo più bello del mondo con le sue nuvole magiche e le sue
stelle spettacolari. “Asante sana”
(grazie mille) bambini per aver fatto parte della mia vita ieri, oggi e per
sempre.
“Asante sana”
Chakama per avermi regalato emozioni pure, dall'alba romantica al tramonto
mozzafiato.
“Asante sana”
Africa per avermi presentato la vera vita ... sono felice di essermi ammalata
di te!».
Cristiana
«Karibu, scusa se mi allontano
Ma….
Io ho fatto un viaggio. Non altro
E fino in fondo
E oltre
E ho conosciuto i cieli, le piogge, il
vento, la terra, il mare, i fiori, gli odori.
E ho incontrato Munyao, i suoi occhi, le
sue mani, l’allegria di Mangi, la dolcezza smisurata di Moses, la dignità degli
uomini e delle donne di Chakama.
E ho visto Tuma e il suo silenzio, l’insistenza
di Kazungu e tanti altri piccoli occhi pieni di luce, buio, fame.
La Gisela, il Gigi, Giorgio, Alphonce.
Le Alessandre paraceta e paramolo,
Frencyna, Giusssy, Laretta, Lulù, Niccolao, Massi, Megghi, Paulin (si pronuncia Paulìn), il Pertz, el
Popi, Rosy, Miss Sissy, Voi.
Le parole dette, ascoltate, taciute.
E ho imparato, capito, desiderato.
Ora immaginami Karibu.
Immagina che tra le tartarughe di Chakama
e di Munyao, io sia quella più grande.
Immagina che in quella grande geometrica corazza
ci sia il mio mondo.
E mi sia casa, compagna.
E sorridimi.
E concedimi anche di sorriderti.
E lascia che queste mie piccole zampe si
stringano a Voi tutti in un lungo, infinito abbraccio».
Karibu (ciao)