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martedì 15 ottobre 2024
 
 

Eboli, volontarie per una vita

22/09/2012  Dodici in tutto, in gran parte ex insegnanti, qualcuna con esperienza politica alle spalle: hanno una certa età, da 23 anni lavorano gratis nel Centro aiuto alla vita del paese campano.

Non hanno meno di ottant’anni e da ventitré lavorano ininterrottamente per la difesa alla vita. Sono le volontarie del Centro di aiuto alla vita (Cav) di Eboli, una delle 331 sedi presenti in tutta Italia. Un organismo nato parallelamente alle legge 194 sull’interruzione di gravidanza volontaria (Igv). Un provvedimento che ha disatteso gli interventi di supporto psicologico e morale alle donne intenzionate a mettere fine alla gestazione entro i primi 90 giorni.

Il Cav, invece, supporta proprio psicologicamente ed economicamente, convincendole a cambiare scelta, le madri che intendono abortire o che non sanno dove andare, indirizzandole in un centro di accoglienza. «Il primo bambino salvato, oggi ha 22 anni» raccontano: «nessuno dei ragazzi nati dal nostro centro deve sapere di aver rischiato di non farcela nelle prime settimane di vita. È il consiglio che diamo a tutte le madri affinché nessuno possa sentirsi non voluto e per evitare equivoci e incomprensioni a distanza di anni».

Sono dodici, la maggior parte è composta da ex insegnanti: tutte operano indistintamente come volontarie nel Centro di aiuto alla vita di Eboli, piccolo paese della Piana del Sele. I dati di tanto  impegno confortano. Stando a quanto reso noto dal loro ultimo dossier, nel 2010 sono state assistite 31 gestanti; 29, i bambini nati «La cultura alla vita diventa sempre più forte» spiegano le donne impegnate nel Cav.

Fra loro ci sono le cinque fondatrici che ventitré anni fa, prima in parrocchia poi in una struttura laica nel centro storico, iniziarono ad occuparsi di decine di casi
di giovani donne, ragazze, adolescenti e mogli sole e incerte sul futuro da dare al proprio bimbo in grembo. Per Rosa, Maria, Franca, Lella e Tina la violenza sessuale, le gravidanze indesiderate o a rischio, la povertà economica sono le principali condizioni per cui si ricorre all’aborto. Preferiscono non rendere noti i loro cognomi ma non hanno problemi nel dire l’età che, se di per sé è un aspetto relativo, può infondere maggiore sicurezza in chi cerca in loro una spalla forte, per spessore umano ed esperienza. Ci sono poi donne più giovani all’interno del gruppo come Gerardina, Raffaella, Giuseppina, Enza, Carmela e Giovanna. Si conoscono da sempre, vanno nelle scuole a fare informazione, ognuna ormai conosce i difetti dell’altra ma ciò che viene prima di tutto sono le esigenze delle mamme in crisi.

Le volontarie provengono dal movimento femminile della Democrazia cristiana. Una delle fondatrici – Maria, 81 anni – negli anni Ottanta è stata assessore comunale allo Sport e alle attività culturali del Comune di Eboli. Ma quando la Dc si sciolse definitivamente nei primi anni Novanta, questo le lasciò disorientate, senza punti di riferimento. «Il fatto è – spiega Maria – che noi non volevamo fare la politica delle parole, noi credevano nell’agire concreto per questo decidemmo quasi subito, e senza più il sostegno della politica, di aprire anche ad Eboli una sede del Centro di Aiuto alla Vita. Ancora oggi ci autotassiamo perché non godiamo di contributi pubblici, nonostante arrivino da noi persone indirizzate direttamente dalle assistenti sociali del Comune di Eboli e dall’ospedale dove due giorni a settimana si pratica l’aborto». Maria è la più anziana e quando interviene nella discussione cala il silenzio. Racconta con grande lucidità e chiarezza episodi, particolari e fatti del passato e lascia trasparire in modo pacato le sue opinioni e i valori compresi grazie alle esperienze vissute. Le sue parole ricche di significato si lasciano ascoltare.

Ma come funziona e che cos’è un Centro di aiuto alla vita? I Cav nascono parallelamente alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. L’intervento delle volontarie si inserisce nella fase dei colloqui pre aborto e quindi entro i primi 90 giorni di gestazione come limite previsto dal provvedimento per inibire lo sviluppo del feto. «È in questa fase così delicata - raccontano le volontarie - che apriamo nuovi orizzonti e nuove prospettive alle mamme in difficoltà. A volte davanti ai nostri occhi vediamo tutto nero e il valore sacro della vita passa in secondo piano, non rendendoci conto dell’errore che stiamo per commettere».

Si finanziano con quote proprie anche se poi c’è il Progetto Gemma gestito a livello nazionale, un sussidio di 160 euro al mese per le donne che accettano di tenere il bambino. Il sostegno economico si dà nei quattro mesi precedenti e successivi al parto. Ogni storia viene descritta e raccontata nei minimi particolari in una scheda che si invia poi al Centro di Aiuto alla Vita di Milano, che è la sede centrale. Qui si svolgono le dovute verifiche e successivamente si decide se concedere o meno il contributo. La donna che mette alla luce il proprio bambino viene seguita dall’inizio alla fine e per loro le volontarie preparano singolarmente un corredino personalizzato. La sede, lungo corso Garibaldi a Eboli, è aperta per due ore, quattro giorni a settimana.

C’è poi la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita e la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che l’ha bocciata sulla parte che riguarda il divieto sulla diagnosi preimpianto. Le volontarie di Eboli hanno sostenuto la legge 40 sulla fecondazione assistita – l’impianto di spermatozoi sotto la guida del microscopio - così come concepita nel 2004, sostenendo anche il punto che non consente la diagnosi preimpianto. «La vita - sostengono - è tale ed ha dignità ed è meritevole e desiderosa di amore sopra ogni rischio o evidente malattia».

 
 
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