Erano 37 gli italiani a bordo del Titanic. Solo 8 erano viaggiatori, gli altri erano dipendenti, lavoravano come personale di bordo per quello che doveva essere un gioiello tra i transatlantici e che tra i suoi fiori all’occhiello aveva un ristorante ricco di personale italiano. Tre soli di loro si salvarono la notte tra il 14 e il 15 aprile. Tra questi Argene Genovese di Altopascio (Lucca), che allora aveva solo 24 anni. Era la giovane fresca sposa di Sebastiano Del Carlo, impiegato statale in California, che invece perì, a 29 anni, nel disastro e il cui corpo giace nel cimitero del suo paese natale. Era il suo quarto viaggio tra l’America e l’Europa. Argene era incinta di due mesi ed essendo una passeggera di seconda classe poté salire su una scialuppa ma separandosi dal marito, che non vide mai più.
«La mia mamma mi parlò per la prima volta di questa tragedia quando avevo 12 o 13 anni durante un bombardamento della Seconda guerra mondiale. Disse improvvisamente che le luci dei bengala le ricordavano la notte del naufragio quando lanciavano i razzi come Sos», racconta Neva Casara, 87 anni, nata da un secondo matrimonio di Argene. «Mi raccontò, poi, che non capì subito cosa stava succedendo poiché era in cabina per la nausea della gravidanza. Pensava a dei festeggiamenti. Il marito la raggiunse e riuscì a farla salire su una scialuppa, la n. 11. Lui si buttò in mare quando capì che non aveva altra scelta».
Argene rimase a New York, ospite di un convitto di suore, in attesa di riconoscere la salma di Sebastiano, il cui corpo era stato ricuperato. Lo portò in Italia dove nacque la loro bambina che fu chiamata Maria Salvata.
Ne parlava mal volentieri» continua Neva, «ricordava le urla delle donne, il pianto dei bambini e l’orchestra che suonava e suonò sino alla fine. Soprattutto, ricordava con dolore i poveretti in mare che tentavano di resistere e i marinai che impedivano loro di aggrapparsi alle scialuppe. Li allontanavano con i remi».
Anche a Sebastiano trovarono sulle mani numerose fratture, probabilmente causate dal tentativo di aggrapparsi. «Mi ha raccontato che dovevano partire con un altro bastimento ma non c’era più posto. Quando acquistarono i biglietti sul Titanic era esaurita la prima classe ma per fortuna c’era posto in seconda. Se fosse stata in terza classe non si sarebbe salvata neanche lei», conclude amaramente.
Neva e la sua famiglia hanno poi visto il film con DiCaprio nel 1997, di cui ricorrono i 20 anni. Ha ritrovato molti particolari dei racconti della madre, «il lusso, nei locali comuni e nelle cabine, e soprattutto la musica che accompagnò la tragedia fino all’ultimo. Per me è stata una grande emozione. Ho comprato il Dvd e il libro con le immagini». Non fu sua madre ma sua sorella Maria Salvata, seppellita ad Altopascio con il padre, che non ha mai conosciuto, a ricevere un bell’assegno di risarcimento. «Quando venne accompagnata a depositarlo in banca, il direttore disse: “Ma questa signorina è proprio ricca”. In realtà mia sorella fu molto sfortunata: perse tutto con il crac del ’29». Neva, che è mamma, nonna e bisnonna, ha parlato spesso della vicenda del Titanic a figli e nipoti: «Come ho sempre fatto anche della guerra, perché non bisogna mai dimenticare e raccontare sempre tutte le storie, belle e brutte che siano».
Si era invece imbarcato per lavorare Alfonso Perotti. Non sappiamo perché fece questa scelta. Forse gli andava stretta la sartoria di famiglia a Borgomanero o forse semplicemente era un giovane di vent’anni che voleva vedere il mondo e cercare fortuna.
Poco prima di imbarcarsi ha inviato una cartolina con l’immagine del Titanic alla sua mamma, un prezioso reperto storico ma soprattutto un ricordo custodito gelosamente. Diceva: «Cara madre e fratelli. Da 2 giorni mi trovo qui per potermi imbarcare sul bastimento per andare in America. Sarò di ritorno per la ne del mese….», e aggiunge ducioso l’indirizzo di Southampton dove ricevere posta dalla famiglia. Di lui non è tornato a casa nulla. Se non un misero risarcimento. Tengono vivo il suo ricordo tre nipoti, figlie dei suoi due fratelli minori, Emilia, Renata e Carmen Perotti, che hanno un’età che va dai 77 ai 93 anni. Parla Emilia, la più giovane: «Non lo abbiamo conosciuto di persona ma abbiamo sempre sentito parlare di lui in famiglia. C’è sempre stata una lapide nel cimitero in suo ricordo perché non è mai stato ritrovato il corpo. Ma nessuno sapeva come era scomparso. In occasione del centenario del naufragio, cinque anni fa, abbiamo voluto aggiungere una targa con la sua foto in cui spieghiamo al paese di Borgomanero chi era mio zio e che è morto nel naufragio del Titanic. Per noi era importante raccontarlo».
Alfonso, come tutti i camerieri, era stato reclutato a Londra da Luigi Gatti, gestore del ristorante à la carte del Titanic e incaricato da RSMC Titanic di trovare i camerieri, che dovevano essere tutti rigorosamente italiani. Una garanzia di qualità per i ricchi ospiti del transatlantico. Prima di morire affidò il prezioso elenco degli italiani a bordo a una passeggera su una scialuppa. È grazie a lui che abbiamo potuto identificarli.
Le tre cugine non vedono l’ora di visitare, tutte insieme, la mostra allestita a Torino (Titanic - The Artifact Exhibition): andranno per rendere omaggio allo zio Alfonso e per vedere da vicino dove e come visse gli ultimi giorni della sua giovane vita.