Si chiama “staffetta generazionale”. E’ il meccanismo allo studio dal
premier Enrico Letta e dal ministro del Lavoro Giovannini per
combattere la piaga della disoccupazione giovanile (in
Italia ormai sfiora il 40 per cento). Il meccanismo è semplice. Sembra
l’uovo di Colombo. In realtà dietro una formula apparentemente semplice,
si nasconde un problema che ha attraversato tutta la storia della Prima
e della Seconda repubblica.
Se il disegno di legge allo studio andrà in porto, i dipendenti
prossimi alla pensione (entro cinque anni) potranno scegliere il part
time per alleggerire la loro posizione: meno lavoro a stipendio più
basso. Per ogni lavoratore che accetta, l’azienda è tenuta ad assumere
un lavoratore con meno di 35 anni a tempo
indeterminato. Il neoassunto nella maggior parte dei casi verrebbe
affiancato dal collega “senior” che si trasforma in “tutor”. Un
avvicendamento generazionale che almeno sulla carta ha molto di
suggestivo, con l’anziano a far da “chioccia” al giovane di belle
speranze.
I vantaggi sarebbero per tutti. Il futuro pensionato
può vivere il suo tramonto lavorativo più liberamente in attesa della
pensione, il giovane conquisterebbe l’agognato posto di lavoro e
l’azienda aumenterebbe la produttività del 50 per cento
(il cento per cento del giovane più il 50 per cento del futuro
pensionato uguale 150 per cento). Lo Stato interverrebbe pagando i
contributi rimanenti al “senior”, in modo da assicurargli la pensione
piena, senza alcuna decurtazione, e assicurando sgravi fiscali al
“junior”. Per l’impresa un bel risparmio. Per il giovane: un posto di
lavoro a tempo indeterminato. Tutto semplice, dunque. Ma è davvero così?
In verità la staffetta generazionale non è una novità.
La introdusse l’allora ministro del Lavoro Franco Marini nel 1991,
seguito dai successori Tiziano Treu nel 1997 e da Cesare Damiano nel
2007. I progetti dei tre ministri si arenarono nelle secche di parecchi
problemi, ma soprattutto su una non particolare voglia di passare al
part time da parte degli anziani. Perché un lavoratore cui mancano
cinque anni alla pensione dovrebbe rinunciare volontariamente al lavoro a
tempo pieno avendo come unico incentivo il pagamento dei contributi
pensionistici? Un incentivo maggiore potrebbe essere l’assunzione del
figlio. In passato questa consuetudine c’è stata in alcuni gruppi
industriali e soprattutto bancari, anche se non è mai stata sancita
ufficialmente nei contratti aziendali. Ma fare di queste eccezioni la
regola pubblica avrebbe implicazioni non soltanto moralmente discutibili
(e gli orfani?) ma anche di natura costituzionale, poiché ciascun
cittadino in una democrazia ha il diritto di scegliersi il lavoro per
cui è maggiormente portato e le staffette lavorative padri-figli
ingesserebbero questa possibilità più di quanto non lo sia oggi (si
vedano le statistiche sul mestiere dei figli in rapporto a quello dei
padri). Inoltre tutti i cittadini devono essere uguali di fronte alal legge. In questo caso ci sarebbero degli indubbi privilegi legalizzati.
Anche il recente rapporto dell’Ilo, l’Organizzazione
internazionale del lavoro delle Nazioni Unite, boccia la staffetta
generazionale. Secondo l’agenzia dell’Onu i lavoratori
giovani non devono prendere il posto di quelli più anziani nel mercato
del lavoro e il governo dovrebbe individuare altri mezzi a sostegno
dell’occupazione giovanile. L’Ilo suggerisce come alternativa la Youth
Guarantee (di matrice nordica), cioè il sistema di garanzia per dare la
possibilità ai giovani al di sotto dei 25 anni di ricevere delle offerte
di lavoro di buona qualità, una formazione senza interruzioni, un
apprendistato o un tirocinio entro quattro mesi dal momento in cui si
resta disoccupati o si abbandonano gli studi, incentivi all’assunzione
dei giovani più svantaggiati (disoccupati di lunga durata o giovani poco
qualificati), borse di formazione e tutoraggio.
Non resta da capire cosa tirerà fuori dal cilindo il governo per
rendere più appetibile questa staffetta generazionale che, assicura
letta, se portata avanti, garantirebbe almeno duecentomila nuovi posti
di lavoro.