Nessun big, molte donne, tanti giovani
e a trazione fortemente politica con l'asse di ferro Pdl-Pd. I
desiderata di Giorgio Napolitano sono stati rispettati e 61 giorni
dopo le elezioni politiche l'Italia ha un nuovo esecutivo. Enrico
Letta è riuscito nella difficile impresa di mettere d'accordo tutti
e formare un esecutivo che dovrà tirare fuori l'Italia dalle secche
della crisi politica in cui si è incagliata.
Poco dopo le 17 di sabato, il premier
incaricato Enrico Letta ha sciolto la riserva e ha annunciato la
composizione del governo che sarà composto in totale da 21 ministri.
I nomi – Il ministro dell'Interno è
il segretario del Pdl Angelino Alfano che sarà
anche vicepremier. Una delle caselle più discusse alla vigilia, il
dicastero della Giustizia, va ad Annamaria Cancellieri,
ministro uscente degli Interni e candidata da Scelta Civica alla
presidenza della Repubblica.
Il montiano Mario Mauro
alla Difesa, Gaetano Quagliariello, uno dei saggi del Pdl
scelti da Napolitano, è ministro delle Riforme
costituzionali, Andrea Orlando del Pd va
all'Ambiente, Graziano Delrio, sindaco Pd di Reggio Emilia e
presidente dell'Anci, è agli Affari Regionali, Beatrice
Lorenzin del Pdl alla Salute, Enzo Moavero
Milanesi viene riconfermato al ministero degli Affari
europei, incarico già ricoperto nel governo tecnico di Monti.
Alle politiche agricole va Nunzia
Di Girolamo, Massimo Bray, d'origine leccese e già
direttore editoriale dell'Istituto della Enciclopedia Italiana
fondata da Giovanni Treccani ai Beni Culturali. Il
professore Carlo Trigilia alla Coesione
territoriale, l'olimpionica Josefa Idem è il ministro per le Pari
opportunità e Sport, Mariachiara Carrozza, eletta nelle file
del Pd e dal 2007 rettore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa
dove insegna Bioingegneria all'istituto di Biorobotica, è
il nuovo ministro dell'Istruzione, Enrico Giovannini è ministro del
Lavoro e delle Politiche Sociali, Flavio Zanonato, sindaco Pd di
Padova, ministro dello Sviluppo Economico, Fabrizio
Saccomanni dalla Banca d'Italia è il nuovo ministro
dell'Economia, Maurizio Lupi del Pdl alle
Infrastrutture, Cécile Kyenge, infine, è ministro
dell'Integrazione e la Cooperazione internazionale. Medico di origine
congolese (Rdc), portavoce nazionale della Rete Primo Marzo e, da
poco, neodeputata alla Camera per il Partito Democratico. È nata a
Kambove in Congo e risiede a Castelfranco dell’Emilia in Emilia
Romagna.
Napolitano: «Governo politico»
- Il governo, ha detto Giorgio Napolitano, è un governo pienamente
politico: «Innanzitutto», ha detto, «non c'è bisogno di alcuna
formula speciale per definire la natura di questo governo. È un
esecutivo politico formato nella cornice istituzionale e secondo la
prassi della nostra democrazia parlamentare. È un governo nato
dall'intesa delle forze politiche che insieme garantiranno la fiducia
nelle due Camere. Era ed è l'unico governo possibile in un momento
in cui non si poteva più aspettare oltre per le sorti del nostro
Paese».
Al di là delle formule, si tratta di
un governo di coalizione che mette insieme partiti che fino a ieri
erano acerrimi nemici e si sono dati battaglia nelle piazze e in
Parlamento. In qualche modo si è passati dal governo solo tecnico di
Monti a quello "misto" di Enrico Letta con esponenti politici di
spicco dei due principali partiti, Pdl e Pd, ed esponenti tecnici con
competenze specifiche in alcuni campi.
Rispettato, e non poteva essere
altrimenti visto il taglio da grande coalizione, il manuale Cencelli.
Alla fine gli esponenti del Pd sono otto più il presidente del
consiglio Letta. Quelli del Pdl sono 5. Scelta civica 2, Udc 1,
Radicali 1 e 4 tecnici. Tutte le personalità più in vista dei vari
partiti, da D'Alema ad Amato, da Brunetta a Franceschini, tirate in ballo nel
totoministri della vigilia alla fine non sono entrate. La presenza di
personalità troppo divisive, forse, ha suggerito un passo indietro per trovare la "quadra" finale.
Antonio Sanfrancesco
Ore 12.37. Luigi Preiti ha da poco fatto fuoco davanti a Palazzo
Chigi, i due carabinieri feriti vengono trasportati in ospedale e al
Quirinale mentre il giuramento del governo Letta è agli sgoccioli
piomba la notizia della sparatoria. In Rete inizia il gran ballo dei
commenti e delle reazioni. Su tutto, la solidarietà per i militari
colpiti. Ma anche pericolose analisi.
Sul blog di Beppe Grillo un
certo Enrico scrive: «Ed ecco che dal nulla compare il "solito
squilibrato", che osannato come una star prenderà posto su
tutte le prime pagine dei vari quotidiani internazionali e non.
Sembra un colpo magistrale architettato in modo perfetto. Ottima
mossa di questo nuovo governo! Grandi!». Gli fa subito eco, un
minuto dopo, Riccardo: «La stagione della strategia della violenza e
appena iniziata. Ma almeno fate insediare il governo». Più tardi,
alle 15.10, uno che si firma “P.S.” affonda: «Ben vengano le
stragi! Oddio! nulla a che fare con i due carabinieri, s'intende. Ma
lo Stato, un certo stato gode di questo: è la strada più breve per
arrivare al Grande Fratello, al Controllo. Istituendo un stato di
polizia la politica si stacca ancora di più dal popolo frustrato e
arrabbiato, attorniato da scorte sempre più numerose tra un po' sarà
irraggiungibile ai più. È già successo..questa non è che l'inizio
di un replica, si rinnovano gli attori ma le dinamiche sono sempre le
stesse».
Su Twitter molti, politici compresi, rilanciano il vecchio
adagio «Chi semina vento raccoglie tempesta». Accuse incrociate
neanche troppo sibilline. Spesso traversali, secondo lo schema “dico
a nuora, perché suocera intenda”.
S'affastellano le analisi sociologiche, si fanno improvvidi
accostamenti agli anni di piombo, si scava nel profilo dello
sparatore.
«Uno squilibrato, anzi no», battono le agenzie. «Un
disperato che ha perso il lavoro e voleva suicidarsi con un gesto
eclatante». Comunque, rassicurano il ministro degli Interni Alfano e
il neo Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, «si tratta di un gesto
isolato, non c'è nessuna regia».
Ma in un'Italia pericolosamente avvitata su se stessa e alla
ricerca di uno scatto di reni per uscire dalla crisi le parole, da
qualunque parte provengano, vanno maneggiate con cura. Con molto
cura. Anche perché c'è sempre il rischio che qualcuno le prenda sul
serio. Non è questo il caso, sembra. E in ogni caso speriamo che sia
proprio così. «Voleva sparare sui politici, ma visto che non li
poteva raggiungere ha sparato sui carabinieri», fa sapere intanto il
pm di Roma, Pierfilippo Laviani, dopo aver interrogato Luigi Prieti.
«Ha confessato tutto. Non sembra una persona squilibrata».
Ignazio La Russa di Fratelli d'Italia scrive su Facebook: «La
predicazione dell'odio e dell'abbattimento dell'avversario che si
manifesta anche col sistematico disturbo organizzato delle
manifestazioni altrui a cui il centrodestra non si è mai accodato,
può portare le persone psicologicamente predisposte all'uso
criminale della violenza. Scontate le condanne anche sincere di ogni
parte politica ma non basta per sentirsi tutti assolti». I toni si
alzano, il putiferio aumenta.
Molte le accuse, neanche troppo velate, a Beppe Grillo che poco
dopo twitta: «Piena solidarietà alle forze dell'ordine e speriamo
che sia un episodio isolato e rimanga tale». Poco prima i capigruppo
del Movimento 5 Stelle, Crimi e Lombardi, in una nota esprimono
solidarietà ai carabinieri e condannano l'atto di violenza.
Evocare la piazza è pericoloso. Sempre. E chi, in questo, è
senza peccato tra i politici scagli la prima pietra. Beppe Grillo è
solo uno degli ultimi. A rielezione di Napolitano appena conclusa,
dal suo blog evoca il “golpe” e chiama a raccolta tutti davanti a
Montecitorio per poi fare dietrofront poche ore dopo per timore di
incidenti e violenze: «Ci sono momenti decisivi nella storia di una
Nazione», scandisce solenne, «Oggi, 20 aprile 2013, è uno di
quelli. È in atto "un colpo di Stato" (*) Pur di impedire
un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro
persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate
in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di
nominare Amato presidente del Consiglio...». Menomale per
l'asterisco dopo “colpo di Stato”, ma le parole sono pietre. «Se
falliamo, ci sarà la violenza nelle strade», spiegò l'8 marzo
scorso il comico un'intervista al Time.
Il 6 aprile scorso ai funerali dei tre suicidi di Civitanova
Marche la gente gridava: «Assassini, questo è un delitto di Stato»,
e giù fischi alla presidente della Camera Boldrini.
Una stagione ad alta tensione come
tante altre nella storia italiana. Nel 1993, in piena Tangentopoli,
al grido di “boia chi molla” alcuni neofascisti presero d'assalto
Montecitorio spaccando anche una vetrata d'ingresso: «Ma quale, ma
quale / immunità parlamentare / il popolo, il popolo / vi deve
giudicare». In Aula, intanto, il clima non era meno infuocato. «La
smettano con queste buffonate, la smettano...», era il richiamo
dell'allora presidente della Camera Giorgio Napolitano a Luca Leoni
Orsenigo da Cantù, il deputato leghista che il 16 marzo del 1993
sventolava il cappio durante un discorso del presidente del Consiglio
Giuliano Amato.
In occasione del varo della legge sulla
par condicio qualche anno Forza Italia e An strillarono: «È in
corso un vero e proprio colpo di Stato!». E il leghista Luigi
Perruzzotti: «Voi volete introdurre in Italia un regime totalitario!
Non so se arriveranno anche i carri armati ma i segnali ci sono già.
Noi non permetteremo che s'instauri un regime comunista!».
Alla vigilia delle elezioni politiche
del 2008 Umberto Bossi arringava i suoi sulle schede elettorali
appena stampate: «È una vera porcata, se necessario imbracceremo i
fucili contro la canaglia centralista romana», rea di aver pensato,
tuonava il Senatur, «all'estremo inghippo delle schede, confuse, che
inducono in errore l'elettore».
Antonio Sanfrancesco