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sabato 10 giugno 2023
 
 

Governo, la sfida di Letta

27/04/2013  Ventuno ministri, sette donne, pochi big. L'Italia ha un nuovo Governo. Alfano all'Interno e vicepremier. Saccomanni all'Economia, Cancellieri alla Giustizia ed Emma Bonino agli Esteri

Nessun big, molte donne, tanti giovani e a trazione fortemente politica con l'asse di ferro Pdl-Pd. I desiderata di Giorgio Napolitano sono stati rispettati e 61 giorni dopo le elezioni politiche l'Italia ha un nuovo esecutivo. Enrico Letta è riuscito nella difficile impresa di mettere d'accordo tutti e formare un esecutivo che dovrà tirare fuori l'Italia dalle secche della crisi politica in cui si è incagliata.

Poco dopo le 17 di sabato, il premier incaricato Enrico Letta ha sciolto la riserva e ha annunciato la composizione del governo che sarà composto in totale da 21 ministri.

I nomi – Il ministro dell'Interno è il segretario del Pdl Angelino Alfano che sarà anche vicepremier. Una delle caselle più discusse alla vigilia, il dicastero della Giustizia, va ad Annamaria Cancellieri, ministro uscente degli Interni e candidata da Scelta Civica alla presidenza della Repubblica. Il montiano Mario Mauro alla Difesa, Gaetano Quagliariello, uno dei saggi del Pdl scelti da Napolitano, è ministro delle Riforme costituzionali, Andrea Orlando del Pd va all'Ambiente, Graziano Delrio, sindaco Pd di Reggio Emilia e presidente dell'Anci, è agli Affari Regionali, Beatrice Lorenzin del Pdl alla Salute, Enzo Moavero Milanesi viene riconfermato al ministero degli Affari europei, incarico già ricoperto nel governo tecnico di Monti.
Alle politiche agricole va Nunzia Di Girolamo, Massimo Bray, d'origine leccese e già direttore editoriale dell'Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani ai Beni Culturali. Il professore Carlo Trigilia alla Coesione territoriale, l'olimpionica Josefa Idem è il ministro per le Pari opportunità e Sport, Mariachiara Carrozza, eletta nelle file del Pd e dal 2007 rettore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa dove insegna Bioingegneria all'istituto di Biorobotica, è il nuovo ministro dell'Istruzione, Enrico Giovannini è ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Flavio Zanonato, sindaco Pd di Padova, ministro dello Sviluppo Economico, Fabrizio Saccomanni dalla Banca d'Italia è il nuovo ministro dell'Economia, Maurizio Lupi del Pdl alle Infrastrutture, Cécile Kyenge, infine, è ministro dell'Integrazione e la Cooperazione internazionale. Medico di origine congolese (Rdc), portavoce nazionale della Rete Primo Marzo e, da poco, neodeputata alla Camera per il Partito Democratico. È nata a Kambove in Congo e risiede a Castelfranco dell’Emilia in Emilia Romagna.

Napolitano: «Governo politico» - Il governo, ha detto Giorgio Napolitano, è un governo pienamente politico: «Innanzitutto», ha detto, «non c'è bisogno di alcuna formula speciale per definire la natura di questo governo. È un esecutivo politico formato nella cornice istituzionale e secondo la prassi della nostra democrazia parlamentare. È un governo nato dall'intesa delle forze politiche che insieme garantiranno la fiducia nelle due Camere. Era ed è l'unico governo possibile in un momento in cui non si poteva più aspettare oltre per le sorti del nostro Paese».

Al di là delle formule, si tratta di un governo di coalizione che mette insieme partiti che fino a ieri erano acerrimi nemici e si sono dati battaglia nelle piazze e in Parlamento. In qualche modo si è passati dal governo solo tecnico di Monti a quello "misto" di Enrico Letta con esponenti politici di spicco dei due principali partiti, Pdl e Pd, ed esponenti tecnici con competenze specifiche in alcuni campi.

Rispettato, e non poteva essere altrimenti visto il taglio da grande coalizione, il manuale Cencelli. Alla fine gli esponenti del Pd sono otto più il presidente del consiglio Letta. Quelli del Pdl sono 5. Scelta civica 2, Udc 1, Radicali 1 e 4 tecnici. Tutte le personalità più in vista dei vari partiti, da D'Alema ad Amato, da Brunetta a Franceschini, tirate in ballo nel totoministri della vigilia alla fine non sono entrate. La presenza di personalità troppo divisive, forse, ha suggerito un passo indietro per trovare la "quadra" finale.

Antonio Sanfrancesco

Ecco la lista dei ministri del governo di Enrico Letta:

Interni e Vicepremier- Angelino Alfano (Pdl)

Difesa - Mario Mauro (Scelta civica)

Esteri - Emma Bonino (Radicali)

Giustizia - Anna Maria Cancellieri (tecnico, ministro dell'Interno uscente)

Economia - Fabrizio Saccomanni (tecnico)

Riforme istituzionali - Gaetano Quagliariello (Pdl)

Sviluppo economico - Flavio Zanonato (Pd)

Infrastrutture - Maurizio Lupi (Pdl)

Poliche Agricole - Nunzia Di Girolamo (Pdl)

Istruzione, Università e ricerca- Maria Chiara Carrozza (Pd)

Salute - Beatrice Lorenzin (Pdl)

Lavoro e Politiche sociali - Enrico Giovannini (tecnico)

Ambiente - Andrea Orlando (Pd)

Beni culturali e Turismo- Massimo Brai (tecnico)

Coesione territoriale - Carlo Trigilia (tecnico)

Politiche comunitarie - Anna Maria Bernini (Pdl)

Affari regionali, sport e turismo - Graziano Delrio (Pd)

Pari opportunità, sport, politiche giovanili - Iosefa Idem (Pd)

Rapporti con il Parlamento - Dario Franceschini (Pd)

Integrazione - Cecile Kyenge (Pd)

Pubblica Amministrazione- Giampiero D'Alia (Scelta civica)

 Ore 12.37. Luigi Preiti ha da poco fatto fuoco davanti a Palazzo Chigi, i due carabinieri feriti vengono trasportati in ospedale e al Quirinale mentre il giuramento del governo Letta è agli sgoccioli piomba la notizia della sparatoria. In Rete inizia il gran ballo dei commenti e delle reazioni. Su tutto, la solidarietà per i militari colpiti. Ma anche pericolose analisi.

Sul blog di Beppe Grillo un certo Enrico scrive: «Ed ecco che dal nulla compare il "solito squilibrato", che osannato come una star prenderà posto su tutte le prime pagine dei vari quotidiani internazionali e non. Sembra un colpo magistrale architettato in modo perfetto. Ottima mossa di questo nuovo governo! Grandi!». Gli fa subito eco, un minuto dopo, Riccardo: «La stagione della strategia della violenza e appena iniziata. Ma almeno fate insediare il governo». Più tardi, alle 15.10, uno che si firma “P.S.” affonda: «Ben vengano le stragi! Oddio! nulla a che fare con i due carabinieri, s'intende. Ma lo Stato, un certo stato gode di questo: è la strada più breve per arrivare al Grande Fratello, al Controllo. Istituendo un stato di polizia la politica si stacca ancora di più dal popolo frustrato e arrabbiato, attorniato da scorte sempre più numerose tra un po' sarà irraggiungibile ai più. È già successo..questa non è che l'inizio di un replica, si rinnovano gli attori ma le dinamiche sono sempre le stesse».

Su Twitter molti, politici compresi, rilanciano il vecchio adagio «Chi semina vento raccoglie tempesta». Accuse incrociate neanche troppo sibilline. Spesso traversali, secondo lo schema “dico a nuora, perché suocera intenda”. S'affastellano le analisi sociologiche, si fanno improvvidi accostamenti agli anni di piombo, si scava nel profilo dello sparatore.
«Uno squilibrato, anzi no», battono le agenzie. «Un disperato che ha perso il lavoro e voleva suicidarsi con un gesto eclatante». Comunque, rassicurano il ministro degli Interni Alfano e il neo Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, «si tratta di un gesto isolato, non c'è nessuna regia».

Ma in un'Italia pericolosamente avvitata su se stessa e alla ricerca di uno scatto di reni per uscire dalla crisi le parole, da qualunque parte provengano, vanno maneggiate con cura. Con molto cura. Anche perché c'è sempre il rischio che qualcuno le prenda sul serio. Non è questo il caso, sembra. E in ogni caso speriamo che sia proprio così. «Voleva sparare sui politici, ma visto che non li poteva raggiungere ha sparato sui carabinieri», fa sapere intanto il pm di Roma, Pierfilippo Laviani, dopo aver interrogato Luigi Prieti. «Ha confessato tutto. Non sembra una persona squilibrata».

Ignazio La Russa di Fratelli d'Italia scrive su Facebook: «La predicazione dell'odio e dell'abbattimento dell'avversario che si manifesta anche col sistematico disturbo organizzato delle manifestazioni altrui a cui il centrodestra non si è mai accodato, può portare le persone psicologicamente predisposte all'uso criminale della violenza. Scontate le condanne anche sincere di ogni parte politica ma non basta per sentirsi tutti assolti». I toni si alzano, il putiferio aumenta. Molte le accuse, neanche troppo velate, a Beppe Grillo che poco dopo twitta: «Piena solidarietà alle forze dell'ordine e speriamo che sia un episodio isolato e rimanga tale». Poco prima i capigruppo del Movimento 5 Stelle, Crimi e Lombardi, in una nota esprimono solidarietà ai carabinieri e condannano l'atto di violenza.

Evocare la piazza è pericoloso. Sempre. E chi, in questo, è senza peccato tra i politici scagli la prima pietra. Beppe Grillo è solo uno degli ultimi. A rielezione di Napolitano appena conclusa, dal suo blog evoca il “golpe” e chiama a raccolta tutti davanti a Montecitorio per poi fare dietrofront poche ore dopo per timore di incidenti e violenze: «Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione», scandisce solenne, «Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. È in atto "un colpo di Stato" (*) Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio...». Menomale per l'asterisco dopo “colpo di Stato”, ma le parole sono pietre. «Se falliamo, ci sarà la violenza nelle strade», spiegò l'8 marzo scorso il comico un'intervista al Time. Il 6 aprile scorso ai funerali dei tre suicidi di Civitanova Marche la gente gridava: «Assassini, questo è un delitto di Stato», e giù fischi alla presidente della Camera Boldrini.

Una stagione ad alta tensione come tante altre nella storia italiana. Nel 1993, in piena Tangentopoli, al grido di “boia chi molla” alcuni neofascisti presero d'assalto Montecitorio spaccando anche una vetrata d'ingresso: «Ma quale, ma quale / immunità parlamentare / il popolo, il popolo / vi deve giudicare». In Aula, intanto, il clima non era meno infuocato. «La smettano con queste buffonate, la smettano...», era il richiamo dell'allora presidente della Camera Giorgio Napolitano a Luca Leoni Orsenigo da Cantù, il deputato leghista che il 16 marzo del 1993 sventolava il cappio durante un discorso del presidente del Consiglio Giuliano Amato.

In occasione del varo della legge sulla par condicio qualche anno Forza Italia e An strillarono: «È in corso un vero e proprio colpo di Stato!». E il leghista Luigi Perruzzotti: «Voi volete introdurre in Italia un regime totalitario! Non so se arriveranno anche i carri armati ma i segnali ci sono già. Noi non permetteremo che s'instauri un regime comunista!». Alla vigilia delle elezioni politiche del 2008 Umberto Bossi arringava i suoi sulle schede elettorali appena stampate: «È una vera porcata, se necessario imbracceremo i fucili contro la canaglia centralista romana», rea di aver pensato, tuonava il Senatur, «all'estremo inghippo delle schede, confuse, che inducono in errore l'elettore».

Antonio Sanfrancesco

 
 
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