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giovedì 16 gennaio 2025
 
Messico
 

Noi, in servizio civile dall'Italia all’Istituto Madre Assunta di Tijuana

05/12/2024  «Non solo giusto, ma anche utile». È come Maddalena e Patricia reputano il loro servizio civile internazionale che stanno svolgendo per la Federazione organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv) all’Istituto Madre Assunta di Tijuana in Messico, al confine con gli Stati Uniti per le donne e madri con figli che scappano da guerre, crisi climatica e narcos.

L’istituto Madre Assunta (Ima) di Tijuana in Messico, sorge a pochi chilometri dalla metropoli americana di San Diego. A separare la città californiana dalla capitale della Bassa California messicana c’è un muro che nasce dalle acque dell’Oceano Pacifico e separa i due paesi con 7 metri di acciaio e cemento. Fermando e respingendo a Tijuana migliaia di migranti che arrivando da ogni parte del Sud America, del Centro e dal Messico. All’Ima vengono accolte donne sole e con figli minori che sono migranti, rifugiate, persone in transito o in attesa di asilo negli Usa e offre loro assistenza umanitaria, giuridica, spirituale, oltre che assistenza psicologica, educativa e sanitaria. A gestire il centro sono le missionarie scalabriniane, seguendo l’esempio della loro cofondatrice, madre Assunta Marchetti, che operò a sostegno dei migranti del Sud America.

«In questo momento la maggioranza delle nostre ospiti sono donne, con bambini fuggite da situazioni di violenza o dai loro compagni che appartengono al crimine organizzato e che, spesso, mandano qualcuno a cercarle. Ma c’è anche chi cerca un futuro più roseo perché ha perso il lavoro nella sua città o paese, o ancora chi scappa dalle conseguenze devasti della crisi climatica», spiega Maddalena Ferracin, ventottenne padovana scelta da Focsiv che per il secondo anno supporta il progetto delle suore scalabriniane, a cui quest’anno ha riconosciuto anche il premio Volontariato internazionale 2024.

«Mi sono laureata in scienze politiche e ho avuto alcune esperienze di lavoro prima di scegliere di candidarmi per il servizio civile», aggiunge Maddalena. «Tijuana era la mia prima scelta, perché avevo già seguito a Padova un progetto di tutela di donne vittime della tratta, su consiglio della mia capo scout e volevo continuare nel solco di quel servizio».

È una città, ma soprattutto una frontiera: complessa e contraddittoria. Tijuana è questo. Ma anche altro, perché ai margini, nelle frizioni dolorose e violente delle migrazioni, e di un muro che divide anche le onde, fiorisce la resistenza della società civile, guidata da suore e preti coraggiosi.

Ma anche da giovani con spirito di servizio, come Patricia Tueros, 27 anni, studentessa a Firenze di lingue e letteratura. Arrivata con Maddalena a inizio agosto, Patricia ha forti motivazioni personali che l’hanno orientata nella scelta di questo servizio: «Sono nata in Perù e lì ho vissuto per 4 anni. Questo fino al 2001, quando i miei genitori, che erano arrivati in Italia irregolarmente nel 1998, sono riusciti a mettere in ordine i documenti e hanno avviato il ricongiungimento famigliare a Firenze».

Mentre qualche mese fa sua madre è riuscita a ottenere - dopo infinite peripezie burocratiche - la cittadinanza italiana, «io ho sempre coltivato i rapporti con la cultura del mio paese d’origine ed essere qui a Tijuana, a casa Madre Assunta, ad ascoltare le donne scappate dal Sud America, aiutarle a sentirsi al sicuro e a fare i passi necessari per riacquisire dignità e un futuro migliore è un modo per corroborare i legami con la mia cultura di origine, empatizzando con chi ha un vissuto migratorio. Questo servizio fa stare bene anche me».

L’Istituto Madre Assunta in questo periodo ospita tra le 40 e le 60 persone tra donne e madri con bambini, che arrivano a Tijauna con ogni mezzo e «qui aspettano anche mesi i temi di attesa per la richiesta del visto per gli Stati Uniti. Ci siamo resi conto», spiega Maddalena «di quanti soprusi queste persone subiscono anche dalla polizia di frontiera. Un esempio: per chiedere i documenti di permanenza negli Usa bisogna necessariamente usare un’applicazione. Spesso gli agenti respingono al varco le persone e donne che chiedono asilo e vogliono passare legalmente, sottraendo loro lo smartphone. Un sopruso disumano se si pensa che in molte viaggiano senza soldi, cibo né vestiti ma solo con il cellulare per avvisare i cari a casa o già negli Stati Uniti, e per effettuare quelle pratiche burocratiche sul piccolo schermo».

La casa gestita da suor Albertina Paoletti, in 30 anni di attività ha accolto circa 40mila donne a Tijuana, capoluogo dello stato messicano della Bassa California, che conta oggi due milioni di abitanti che vivono in un enorme e caotico agglomerato urbano al confine con gli Usa e dove ogni mese arrivano almeno 5000 persone da Sud, dal Centro America e da tutto il Messico. A questi si aggiungono 11.300 tra donne e uomini messicani all’anno, deportati in città dopo essere stati colti senza documenti negli Usa.

«Tra i servizi offerti dall’istituto», spiega Patricia «ci sono l'ascolto psicologico e il supporto nella richiesta di asilo, in conformità con i criteri stabiliti dai trattati internazionali e dalle politiche migratorie degli Stati Uniti. Sono previsti anche interventi socio-sanitari per garantire un'assistenza completa alle persone accolte,  laboratori di empowerment per donne e recupero della genitorialità, a cui Maddalena e io collaboriamo, in particolare seguendo il doposcuola per bambini per il recupero della scrittura e della lettura nella gestione della classi di lingua inglese e nelle attività aggregative».

Il loro periodo di servizio civile internazionale terminerà a fine giugno 2025, ma ogni giorno «dobbiamo salutare donne e bambini. Lo facciamo», chiosa Maddalena «con un po’ di tristezza, ma conta consapevolezza che l’istituto Madre Assunta rappresenta la speranza che un modo diverso di accogliere i migranti esiste. E funziona».

 

Leggi il reportage completo sul numero 49 di FAMIGLIA CRISTIANA, da oggi in edicola

 

Foto © Marco Palombi e Luca Cereda da Tijuana, Messico

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