Il Sinodo speciale per la regione panamazzonica, appena concluso, ha elaborato un documento finale, che per alcuni aspetti ha fatto molto discutere, ma che non possiamo considerare normativo, in quanto esso è stato consegnato al Papa, che si è impegnato, entro l’anno, a pubblicare una Esortazione apostolica, nella quale raccoglierà le istanze sinodali e offrirà indicazioni alla Chiesa per la loro attuazione. Tre argomenti, in particolare, si presentano radicalmente innovativi e richiedono quella conversione pastorale, culturale, ecologica e sinodale invocata dai padri.
La più rilevante e significativa di queste tematiche riguarda l’auspicio che venga istituita una speciale competente commissione, chiamata a studiare la possibilità di realizzare per quelle popolazioni un nuovo “rito cattolico-amazzonico”, in cui si valorizzino le peculiarità teologiche, liturgiche, disciplinari e spirituali di quelle terre. Di per sé non si tratterebbe di una vera e propria novità, in quanto, come sappiamo, nella Chiesa cattolica non esiste solo il rito latino, ma si dà una pluralità di presenze e appartenenze cultuali ed ecclesiali, soprattutto nell’Oriente cristiano. E non si tratta soltanto di diversità liturgiche, ma che riguardano la forma stessa dell’ecclesialità. Si pensi ad esempio al peculiare modo di intendere e vivere la sinodalità nelle Chiese orientali cattoliche rispetto a quella latino-romana, che solo di recente (e a partire dal Vaticano II) sta mettendo in atto una modalità autenticamente sinodale di governo e di partecipazione alla vita della comunità credente. All’interno di queste forme ecclesiali, pienamente cattoliche, è tra l’altro presente il sacerdozio uxorato, ossia il conferimento del presbiterato a persone sposate. L’innovazione consiste piuttosto nel fatto che, mentre per le attuali Chiese di altro rito, si è trattato di riconoscere le differenze e peculiarità proprie di comunità cristiane, che, fin dalle loro origini, hanno vissuto in tali forme, ora bisognerà, invece, istituire un rito particolare per Chiese evangelizzate nel rito latino e che ad esso appartengono fino ad oggi.
Un ulteriore passo in avanti riguarda non solo l’istituzione di ministeri ordinati, cui possano accedere uomini e donne, ma la riapertura della commissione, a suo tempo istituita, per lo studio del diaconato femminile. Tale commissione non aveva pronunciato un diniego di tale possibilità, semplicemente si era conclusa con uno stallo, che papa Francesco, non senza una certa amarezza, aveva dovuto constatare. Le differenti posizioni dei membri di quella commissione hanno riguardato da un lato la possibilità stessa del conferimento dell’ordine del diaconato alle donne, ma anche la differenza fra il ruolo dei diaconi dei due sessi, fin dall’antichità, nonché la presenza solo in alcune regioni (in particolare la siriaca) di tale prassi ecclesiale. Ora il Papa ha promesso di riconvocare la commissione, allargandola ad altri membri e tenendo conto della richiesta avanzata nel documento di poter interloquire su questo argomento.
Ultimo, ma non meno importante, il passaggio del documento in cui si apre alla possibilità di conferire l’ordine del presbiterato a diaconi permanenti, in casi di particolare necessità e a condizione che i candidati abbiano esercitato in maniera feconda il servizio diaconale, siano adeguatamente formati e abbiano una famiglia stabile e legittimamente costituita. Questa scelta si fonda su un duplice principio teologico. In primo luogo il diritto della comunità alla celebrazione eucaristica, in quanto, come sappiamo è “l’Eucaristia che edifica la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia” (Ecclesia de Eucharistia, n. 26). Questo diritto spesso non può trovare riscontro in comunità che, data la configurazione geografica del territorio amazzonico, possono parteciparvi solo qualche volta all’anno. L’altro principio su cui si fonda la possibilità di tale opzione, che non riguarda l’accesso dei preti al matrimonio, ma l’ordinazione presbiterale di persone sposate (già diaconi permanenti), è ben descritta dalla citazione del Presbyterorum ordinis (decreto del Vaticano II sul presbiterato) riportata nel documento, che al n. 16 recita: “La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli […] non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l'aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati. Come più volte nel corso del sinodo è stato sottolineato, il valore del celibato ecclesiastico viene ampiamente riconosciuto e l’eventualità dell’ordinazione dei diaconi permanenti non la rinnega o misconosce affatto. Qualora poi si giungesse all’istituzione di un “rito amazzonico”, quello latino, cui apparteniamo, non sarebbe implicato affatto in questa prassi.
In conclusione: il Sinodo intende attivare dei processi di rinnovamento ecclesiale, alla luce del Vangelo, che riguardano in primo luogo la Chiesa presente in quei territori, ma interessano anche noi, in quanto dovrà cambiare la nostra mentalità circa il fatto che le diversità, anche intraecclesiali, non costituiscono un ostacolo, bensì una vera e propria ricchezza per la fede che si esprime, pur rimanendo la stessa, in differenti modalità ecclesiali, liturgiche e teologiche non sempre e solo coincidenti col modello occidentale e latino.