Il Papa ha ragione, anche se non parla ex cathedra: il lavoro delle donne è meno pagato di quello degli uomini. E non è un problema solo nostro, anzi. Lo è in tutta Europa. E non lo dice il Papa, lo dice l’Eurostat. Fermo restando che l’Europa è ancora, in materia di democrazia e di diritti, uno dei posti migliori in cui far nascere un figlio, a maggior ragione se si tratta di una figlia, le statistiche europee ammettono che due neonati, bimbo e bimba, che oggi nascono con le stesse opportunità sulla carta, avranno percorsi scolastici diversi e una volta adulti uno stipendio diverso: il bambino, una volta cresciuto, guadagnerà in media il 16% in più.
Stiamo ovviamente parlando di media – non di ogni singolo bambino e di ogni singola bambina: vale la regola del mezzo pollo di Trilussa. Quando si dice che in media c’è mezzo pollo su ogni tavola, si mette in conto il fatto che attorno a qualche tavola si mangia un pollo intero e che attorno a qualche altra non lo si mangia proprio. Quando si afferma questo dato statistico, sul cosiddetto divario retributivo di genere (che misura la differenza relativa delle retribuzioni delle donne e degli uomini in base alle retribuzioni orarie medie di tutti i settori dell’economia), occorre sgomberare il campo dagli equivoci: il più delle volte, in Europa dove la parità tra uomini e donne è un principio fondamentale sancito nel Trattato di Amsterdam, il divario nella retribuzione non è l’esito di una discriminazione diretta, vietata dalla legge: stesso lavoro, stessa qualifica, stessa anzianità, stipendio diverso. Ma l’effetto di una serie di variabili indirette che riflettono la disparità di genere presente nella società, di cui l’economia è un aspetto: per esempio nel settore sanitario le donne sono in Europa l’80%, ma il più delle volte sono infermiere e non medici. Se fanno i medici – oggi in Italia ci sono più donne che uomini iscritte alle facoltà di Medicina – hanno bassi livelli di qualifica e accedono molto meno degli uomini ai ruoli apicali. È chiaro che – complice il combinato disposto tra la differenza di ruoli, di qualifica e di carriera - se confrontiamo la media degli stipendi nel settore sanitario vedremo in Europa un divario assai elevato.
In parte questo riflette il condizionamento sociale che le donne ricevono a monte, nella scelta del corso di studi o nell’incoraggiamento a intraprendere lavori che la società percepisce come “femminili” e che spesso comportano la preclusione verso professioni che promettono stipendi più elevati: le donne sono, in media, concentrate in settori con livelli retributivi più bassi. Non solo, quando in un settore prevalgono le donne, gli stipendi sono mediamente più bassi, mentre quando prevalgono, gli uomini le retribuzioni salgono.
A incidere sulle retribuzioni femminili, in media, c’è anche il lavoro di cura familiare o la presenza di figli bambini, che spesso porta al lavoro a tempo parziale, un fattore che fa diminuire le possibilità di progressione della carriera. Stando ai dati del 2013 in Europa, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa in Ue solo il 17,8% erano donne, se poi si parla del ruolo di Amministratore delegato scendiamo al 2,8%.