La Siria 2013 come l’Irak 2003″. Il 5 maggio avvevo pubblicato su Famigliacristiana.it un articolo con questo titolo. Profezia da poco, che il segretario di Stato John Kerry si è però incaricato di convalidare, oggi, dicendo appunto che il siriano Assad è come l’iracheno Saddam. La svolta degli Usa, che dopo due anni di massacri e 110 mila morti (valutazione dell’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo), si sono improvvisamente commossi per le oltre mille persone che sarebbero state uccise con i gas, è una svolta per modo di dire. E il premio Nobel per la Pace Obama da lungo tempo si è schierato nella guerra politica e religiosa all’ultimo sangue che, in Medio Oriente, divide i sunniti (larghissima maggioranza di tutti i musulmani) dagli sciiti (circa il 10% del totale). Gli Usa sono fermamente schierati al fianco dei sunniti e delle monarchie petrolifere del Golfo, soprattutto Arabia Saudita e Qatar, che finanziano la propaganda e anche il terrorismo sunnita, mentre ospitano sul proprio territorio importanti installazioni militare americane.
Che fosse una guerra lo si vide nel 2011, quando la maggioranza sciita della popolazione del Bahrein cominciò, sulla scia delle varie Primavere arabe, a chiedere più democrazia e maggiori diritti civili. La risposta del regime sunnita fu repressione, arresti indiscriminati, morti e, al culmine della tensione, una chiamata all’esercito dell’Arabia Saudita, che fu ben felice di intervenire. Il tutto con la benedizione di Washington. Per la Siria sta avvenendo la stessa cosa. Assad è un tiranno repellente, ma non lo è più di tanti altri. Per due anni, la Casa Bianca ha assistito senza batter ciglio al carnaio siriano (si calcola che i civili uccisi siano almeno 40 mila) perché pensava che la ribellione fosse avviata verso la vittoria; ora che Assad sembra spuntarla, ecco che Obama ha un sussulto di umanitarismo interventista. E le persone uccise dai gas di Assad non sono più numerose di quelle ammazzate dalle autobomba dei terroristi filo Al Qaeda, così numerosi tra coloro che combattono Assad.
La vera posta in gioco, checché ne pensino o ne scrivano osservatori schierati o dilettanti di varia provenienza, è la spartizione definitiva del Medio Oriente. E l’emarginazione definitiva degli sciiti dal quadro politico. La caduta di Assad spezzerebbe l’arco che congiunge, appunto attraverso la Siria del regime alawita (i seguaci di questa corrente religiosa sono chiamati Alawi proprio per la loro reverenza nei confronti di Alì, genero di Maometto e capostipite appunto dello sciismo), l’Iran degli ayatollah (sciiti) al Libano controllato da Hezbollah (sciiti). C’è un altro Paese che ha un regime sciita, anche se la popolazione è più divisa, ed è l’Irak. Che, guarda caso, è martoriato da attentati che fanno circa mille morti al mese. Queste sono le ragioni vere dell’improvviso sussulto umanitario-militare del buon Obama. Il resto, come fu appunto anche nel 2003, sono solo chiacchiere.