Anche la felicità è misurabile e sono sei le dimensioni principali che la definiscono nelle nostre società: il Pil (prodotto interno lordo) pro capite, l'aspettativa di vita in buona salute, l'avere qualcuno su cui contare, la libertà percepita nel fare scelte di vita, la libertà dalla corruzione e la generosità.
Se si guarda a queste dimensioni ‒ che pesano in totale per il 75% sulla situazione della felicità ‒ l'Italia si piazza al 50° posto nel mondo dietro a Nicaragua e Ubzekistan e immediatamente davanti all'Ecuador. Ben lontana dalle prime posizioni, dove si trovano gli Stati in cui si è più felici: Danimarca, Svizzera, Islanda e Norvegia.
Lo stato della felicità mondiale è contenuto nel “World Happiness Report" 2016 che ha il suo centro pensante alla Columbia University ed è stato presentato il 16 marzo a Roma al Centro Convegni della Banca d'Italia. L'indice della felicità è stato portato in Italia dalle Università Lumsa e Tor Vergata di Roma e dal Ceis, il Centre for Economic and International Studies sempre dell'Università Tor Vergata.
Un'impresa non proprio semplice quella di misurare la felicità delle società. L'approccio giusto, come ha spiegato il professor Jeffey Sachs della Columbia University, è quello olistico, che tiene insieme tante dimensioni. «Gli obiettivi di felicità pubblica che i governi dovrebbero perseguire», a spiegato Sachs, «comprendono l'idea che il benessere umano dovrebbe essere promosso attraverso un approccio olistico che combina obiettivi economici, sociali e ambientali. Al posto di adottare un approccio incentrato esclusivamente sulla crescita economica, dovremmo promuovere società prospere, giuste e sostenibili dal punto di vista ambientale».
La crescita economica non spiega tutto, ma molto spiegano invece le crisi economiche e le stagnazioni, almeno per l'Italia che è fra le prime otto delle 156 nazioni misurate che hanno perso di più. Più felicità che in Italia è andata dispersa solo in India, Yemen, Venezuela, Botswana, Arabia Saudita, Egitto e Grecia.
«Il calo dell'Italia», spiega il professor Leonardo Becchetti dell'Università Tor Vergata, «si spiega certamente con molte variabili, ma fra queste hanno un peso rilevante la percezione della corruzione e la dimensione dell'insicurezza economica». I dati sono relativi al periodo 2013 - 2015. «Lì in mezzo», spiega ancora Becchetti, «ci sono gli effetti della crisi finanziaria e di spread che ha portato poi alle misure del governo Monti». A limitare i danni dell'infelicità italiana ci sono invece altri fattori, soprattutto il sostegno dello stato sociale l'aspettativa di vita.
Nel nuovo rapporto sulla felicità i ricercatori internazionali hanno inserito e approfondito il tema della misurazione e degli effetti delle diseguaglianze nella distribuzione del benessere fra i Paesi. Nelle ricerche precedenti i principali indicatori erano reddito, povertà, educazione, salute e buon governo, misurati separatamente. Adesso hanno dimostrato che le persone sono più felici quando vivono in società in cui c'è meno disuguaglianza. E rispetto agli anni 2005-2011 nel triennio 2012-2015 il divario di felicità fra le persone è aumentato ovunque.
L'Italia, in quanto a divario, cioè in termini di distanziamento dalla media, è al sessantasettesimo posto. «Nel nostro Paese», dice ancora Becchetti, «lo si vede anche dai dati Istat sul benessere, la quota dei molti felici si è ridotta del 20%. Diseguaglianza forte dunque anche nella distribuzione della felicità. L'Italia soffre anche un altro fattore: se perdi quello che hai, anche se non diventi povero, il crollo di felicità è forte, perché perdere conta più che acquisire». Lo scalino, l'anno di svolta, è stato ancora l'anno della crisi dello spread e del governo Monti. L'anno da cui l'Italia, anche in termini di felicità, non si è più ripresa.