Ha un titolo dal sapore antico, ma i contenuti proiettati nel futuro. Il documento messo a punto dalla Conferenza episcopale italiana in vista del Primo maggio si richiama al profeta Neemia, da cui prende in prestito un versetto del terzo capitolo (E al popolo stava a cuore il lavoro) ma ha spinge lo sguardo avanti. «La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico», afferma perentorio: «nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà». Parole che hanno il retrogusto amaro delle ultime cifre fornite a marzo dall'Istat, che tirando le somme del 2020 ha parlato di un calo dell'occupazione «senza precedenti»: -456 mila, -2,0%.
Già prima del flagllo Covid-19, il Paese, scrive la Cei, «appariva diviso in tre grandi categorie. Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio. Essi hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro a distanza e hanno perfino realizzato dei risparmi avendo ridotto gli spostamenti durante il periodo di restrizioni alla mobilità». Una seconda categoria, per i vescovi, è composta «da lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta» è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari». «L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria», si legge nel messaggio. Un terzo gruppo, infine, «è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento»: «Sono gli ultimi – commentano i vescovi – ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare. Va anche considerato il fatto che il Governo ha bloccato i licenziamenti, ma quando il blocco verrà tolto la situazione diventerà realmente drammatica».
Cercano germogli di futuro, i vescovi. «Un piccolo segno di speranza è la forte ripresa delle attività sociali ed economiche nell’estate 2020», osservano a un certo punto. «Appena il giogo della pandemia si allenterà, la voglia di ripartire dovrebbe generare una forte ripresa e vitalità della nostra società contribuendo ad alleviare i gravi problemi vissuti durante l’emergenza». Ma perché ciò accada, «è fondamentale che tutte le reti di protezione siano attivate. Il “vaccino sociale” della pandemia, per la Cei, è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili».
«Un aspetto fondamentale di questo tempo per i credenti è la gratitudine di aver incontrato il Vangelo della vita, l’annuncio del Salvatore”, si legge nel messaggio: “La pandemia, infatti, ci ha permesso di sperimentare quanto siamo tutti legati ed interdipendenti. Siamo chiamati ad impegnarci per il bene comune: esso è indissolubilmente legato con la salvezza, cioè il nostro stesso destino personale”. Tra i segnali positivi, la Cei segnala alcuni «sentieri inediti nelle politiche economiche”, a cominciare da “una maggiore integrazione tra Paesi europei grazie alla solidarietà tra stati nazionali e all’adozione di strategie di finanziamento comuni più orientate all’importanza della spesa pubblica in materia di istruzione e sanità».
«L’insostenibilità dei ritmi di lavoro, l’inconciliabilità della vita professionale ed economica con quella personale, affettiva e famigliare, i costi psicologici e spirituali di una competizione che si basa sull’unico principio della performance, vanno contrastati nella prospettiva della generatività sociale», sostiene la Cei: “L’esercitazione forzata di lavoro a distanza a cui siamo stati costretti ci ha fatto esplorare possibilità di conciliazione tra tempo del lavoro e tempo delle relazioni e degli affetti che prima non conoscevamo. Da questa terribile prova sta nascendo una nuova era nella quale impareremo a diventare ‘imprenditori del nostro tempo’ e più capaci di ripartirlo in modo armonico tra esigenze di lavoro, di formazione, di cura delle relazioni e della vita spirituale e di tempo libero. Se le relazioni faccia a faccia in presenza restano quelle più ricche e privilegiate, abbiamo compreso che in molte circostanze nei rapporti di lavoro è possibile risparmiare tempi di spostamento mantenendo o persino aumentando la nostra operosità e combinandola con la cura di relazioni e affetti”.
Due, infine, per la Chiesa italiana, le «bussole da seguire nel cammino pastorale e nel servizio al mondo del lavoro»: la prima è l’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, la seconda bussola è il cammino verso la Settimana Sociale di Taranto (21-24 ottobre 2021) sul tema del rapporto tra l’ambiente e il lavoro.