E’ sconfortante leggere i dati appena pubblicati sul capitale umano dell’ISTAT, e soprattutto verificare che “il capitale umano maschile vale quasi il doppio del capitale umano femminile”. Sia per il dato, ma soprattutto per la sua costruzione. Tutto perché si valuta il valore della persona solo a partire da variabili economiche antiche: stipendi, partecipazione al mercato del lavoro, istruzione…
Eppure proprio l’Istat aveva lanciato con il CNEL, appena pochi mesi fa, una batteria di nuovi indicatori di benessere, che provavano a valorizzare (a dare valore economico, cioè) al mondo del terzo settore, al volontariato, alla capacità femminile di tenere insieme le relazioni. Ed è noto il lavoro della Commissione Stiegliz e Sen (due premi Nobel!), in Francia, per rivedere le stime del PIL tenendo conto non solo delle tonnellate di acciaio fatturato, ma anche della presenza di valori e risorse non materiali: la presenza di associazioni di volontariato, la coesione delle famiglie, ecc.
Davvero è una barzelletta, l’idea che se assumo una collaboratrice familiare il PIL cresce (salario, tasse, un lavoratore in più), mentre il lavoro di una donna che sceglie di restare a casa per funzioni di cura o per pura libertà di scelta non sposta di una virgola il benessere del Paese. Falsità, quasi una battuta da cabaret: «la casalinga deprime il PIL», perché non ha uno stipendio: ma lavora e genera benessere e capitale sociale, ah quanto ne genera!. Infatti il valore del lavoro non retribuito nel nostro Paese è ben superiore a qualunque manovra finanziaria. Pensate alle ambulanze: quanto lavoro volontario (anche di professionisti, medici, infermieri), ci consente di avere un sistema adeguato di pronto soccorso. Senza costi per lo stato, ma vuol dire senza valore per la collettività?
Occorre cambiare i manuali su cui studiano i nostri economisti, ripartendo dalle università: ormai, chi si è già laureato – quasi tutti – sembrano ormai ammalati di “economicismo cronico”, e non riescono a leggere il capitale sociale e il valore aggiunto della gratuità e dell’impegno per gli altri non retribuito. Da anni i Rapporto Cisf richiamano la necessità di cambiare modo di leggere la realtà, ma senza ascolto. Così si capisce perché la famiglia è sempre vista come un costo, e non come una risorsa insostituibile del nostro Paese. Chi saprà cambiare occhiali, per leggere davvero le risorse reali del Paese?