Qualche malalingua dirà che a forza di evocare gufi c’è il rischio di tirarsela. E va a finire che il giorno in cui davvero, dopo 18 anni dalla legge che la prevede, si mette in marcia dell’anagrafe per monitorare l’edilizia scolastica, a Sesto San Giovanni i calcinacci del soffitto di una scuola d’infanzia cascano in testa ai bambini.
Il bicchiere mezzo pieno dice che comunque si parte, meglio tardi che mai, e che i calcinacci non hanno avuto per fortuna gravi conseguenze. Il bicchiere mezzo vuoto lascia intendere che, in assenza di bacchette magiche anche con il massimo della buona volontà, la soluzione del problema, annoso e spinoso, delle scuole che cascano a pezzi non arriverà in qualche giorno.
Anche se il Governo Renzi ha mostrato da subito sensibilità al problema.
Il sito governativo sul tema, Italiasicura, parla, a partire dal giugno scorso, di 150 milioni stanziati e di 7.000 interventi in corso per la piccola manutenzione delle scuole. Cui si aggiungono, sempre secondo il sito, 369 interventi di messa in sicurezza conclusi, 195 in corso e 95 da avviare (dati aggiornati al dicembre scorso). Altri 1.600 sono indicati in progettazione o in appalto.
Il problema è antico e arcinoto. Poche settimane fa Legambiente ha pubblicato la 15ma edizione del suo rapporto annuale Ecostistema scuola 2014 che analizza i dati relativi al 2013. Solo le prossime edizioni diranno se le le promesse del Governo, gli investimenti (il Rapporto parla di 784 milioni di euro) e i lavori in atto e in pectore sortiranno l’effetto sperato di far fare al treno delle scuole “belle e sicure” un passo avanti, ma almeno le cifre danno un’idea dello stato dell’arte.
In tema di sicurezza su 6.648 edifici, presi in considerazione dal rapporto, circa il 58% è stato costruito prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica del 1974, solo il 3,3% è sorto tra il 2001 e il 2013. In calo gli edifici scolastici dotati delle certificazioni essenziali. Scendono al 53,1% le scuole che hanno il certificato di agibilità (contro il 61,2% del 2012); al 30,9% quelle dotate del certificato di prevenzione incendi (nel 2012 erano il 35,9%); al 58,1% quelle con il certificato di agibilità igienico-sanitaria (nel 2012 erano il 73,8%). Rimangano, invece, stabili i dati relativi agli impianti elettrici a norma (83,9%), mentre crescono quelli relativi alle porte antipanico che passano dal 90,2% del 2012 al 96, 8% del 2013.
Per quanto riguarda la qualità del patrimonio edilizio emerge il divario territoriale tra Nord, Sud e isole. In prima posizione c’è Trento, seguita da Pordenone (2º) e Forlì (3º), poi Prato, Reggio Emilia (5º), Piacenza (6º), Sondrio (7º), Bergamo (8º), Verbania (9º) e Bolzano (10º). La prima città del Sud è Lecce al 21° posto. Nelle prime quindici posizioni della classifica nazionale troviamo città medie e piccole del centro nord, con l’eccezione di Prato, al quarto posto, mentre la maggior parte delle città metropolitane, esclusa Firenze al 17° posto e Torino al 23°, sono posizionate ben oltre la trentesima posizione.
Alla disparità territoriale segue quella degli investimenti riguardanti sia la manutenzione straordinaria sia quella ordinaria. «Il primo dato che salta all’occhio, si legge nel rapporto, sono gli investimenti in manutenzione straordinaria», in cui le regioni del nord mettono più del doppio di euro a edificio rispetto alle regioni del Sud. Mentre va accorciandosi, un po’ ovunque, la coperta degli investimenti sulla manutenzione ordinaria «che dal 2009 ad oggi diminuiscono in maniera drastica anche in regioni storicamente virtuose come l’Emilia Romagna ed il Piemonte, che tornano a dichiarare interventi di manutenzione urgenti rispettivamente in circa il 20% e il 34% in più di scuole rispetto al 2009».