Roma, Vaticano, 20 marzo 2013. Papa Francesco incontra Bartolomeo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Foto Reuters/Osservatore Romano
Si prega da più di cento anni, una
settimana speciale dedicata alla preghiera per l’unità dei
cristiani. La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani,
diventata per brevità la preghiera per l’ecumenismo, venne
inventata da padre Paul Watson, pastore anglicano diventato
cattolico, nel 1908, quando ancora la parola ecumenismo non era stata
praticamente coniata. La data, tra il 18 e il 25 gennaio, è stata
scelta perché è quella che va dalla festa della cattedra di san
Pietro a quella della conversione di Paolo. Ogni anno si trova un
argomento di riflessione, ma praticamente è sempre lo stesso. Parte
dalla domanda: “Cristo può essere diviso?”. La risposta è
naturalmente no, ma così non accade e allora occorre pregare perché
solo così può accadere che le cose si rimettano a posto.
In Italia
la questione della divisione di Cristo e quindi delle dispute
sull’unità dei cristiani e del dialogo tra i diverse Chiese
cristiane non è molto percepito, come invece accade in altri Paesi
cattolici in Europa e nel resto del mondo. E’ un errore perché - oltre alla plurisecolare presenza di comunità riformate, in primo luogo le chiese valdesi che in Piemonte, nelle valli Pellice e Chisone, hanno il loro cuore pulsante - gli ortodossi, per via dell’immigrazione, sono ormai diventati
moltissimi.
Roma, Vaticano, 11 gennaio 2014. Papa Francesco con alcuni esponenti delle chiese orientali. Foto Reuters.
Questa è la prima settimana ecumenica che celebra Francesco. Ne ha parlato all’udienza mercoledì
scorso secondo il suo stile, spiegando che Cristo non può essere
diviso, perché Cristo nessuno lo possiede (nemmeno le Chiese) e
perché Cristo lo si dà. Quindi ciò che conta non sono le
discussioni, ma la testimonianza. E’ un modo per superare
l’ecumenismo? Forse, o meglio, per lasciare l’ecumenismo, inteso
come scienza e metodo, agli esperti e alle commissioni, in modo che
tutti gli altri si occupino del Vangelo. Che è praticamente lo
stesso.
Ciò non significa che le divisioni non ci siamo e che il
Papa non ne sia avvertito e naturalmente preoccupato. Le divisioni
hanno radici storiche, molto profonde, intrecciate di teologia e di
ragioni politiche e geopolitiche e a volte anche economiche,
difficili da comprendere fino in fondo e quindi difficilissime da
sanare e cancellare pienamente. Bergoglio in questi mesi di
pontificato ha ripetuto che ciò che conta è il Vangelo e la
testimonianza.
Il gesto “ecumenico” più potente lo ha fatto a
marzo dell’anno scorso, praticamente appena eletto, annunciando di
voler andare a Gerusalemme e lì, sul Santo Sepolcro, abbracciare
Bartolomeo, il patriarca di Costantinopoli, esattamente come aveva
fatto 50 anni fa Paolo VI nel corso del pellegrinaggio in Terra Santa
con Atenagora.
Roma, Vaticano, 29 settembre 2013. Papa Francesco abbraccia Youhanna X, Patriarca greco ortodosso. Foto Reuters/Tony Gentile.
Quell’abbracciò 50 anni fa portò
fulmineamente alla cancellazione delle reciproche scomuniche che
duravano da 1054, anno della scisma tra Oriente e Occidente. Cosa
potrà portare il pellegrinaggio di Francesco e Bartolomeo? Tra
ortodossi e cattolici l’unità non c’è nonostante la
cancellazione della scomunica. Manca la condivisione dello stesso
calice, che dovrebbe essere cosa diversa dalla piena intesa
dottrinale. Appena dopo la fine del Concilio ecumenico Vaticano II, quando
soffiava quel vento nuovo, sembrava che si potesse arrivare alla
condivisione del calice. Ma poi prevalsero i teologi che
sottolinearono la necessità di arrivare prima alla intesa
dottrinale.
Il risultato è che tutto è fermo e che i piccoli passi
non vengano avvertiti dal popolo di Dio. In questi anni si è fatta
avanti l’idea di un ecumenismo di fatto, perché i fedeli non
percepiscono più le differenze per esempio in Gran Bretagna, con gli anglicani, per
esempio nei Paesi ortodossi tra bizantini di rito cattolico o rito
ortodosso. Insomma il Vangelo è lo stesso. Bergoglio punta a questo.
Le dispute invece continueranno su questioni dottrinali che sono
diventate negli anni anche dispute di potere. Per esempio tutti i
cristiani sono d’accordo sul fatto che Roma “presiede nella
carità”, ma sui poteri del Papa rimane un dissidio difficile da
comporre. Dal Vaticano II si sono fatti passi avanti con diversi
accordi: quelli con la Chiesa assira sulla natura di Cristo,
l’accordo con i luterani sulla giustificazione. Con gli ortodossi
la questione del primato divide. Qualcuno ha provato a introdurre il
tema della Chiesa eucaristica, altri quello dell’uno e dei molti.
Si discute, ma non si fanno molti passi avanti, perché ognuno è
geloso del proprio potere.
Roma, Vaticano, 10 maggio 2013. Papa Francesco scambia doni con Tawadros II, copto ortodosso. Foto ReutersAndreas Solaro
Lo è Roma e lo sono gli ortodossi,
ancorché molto divisi tra loro e incapaci da decenni di arrivare
anche solo ad un’ agenda per la convocazione di un Concilio
pan-ortodosso. Bergoglio può sparigliare le carte. Lo ha già fatto
con l’annuncio dell’abbraccio di Gerusalemme e con la sua
insistenza sulla sinodalità e sulla collegialità, miele per
orecchie ortodosse. Potrebbe perfino ripristinare il titolo del Papa
“patriarca d’Occidente” abolito nel 2006 da Ratzinger, che fece
infuriare gli ortodossi. Ripristinarlo vorrebbe dire correggere in
senso ecumenico la dottrina del primato.
Roma, vaticano, 20 marzo 2013. Papa Francesco a colloquio con il Metropolita Hilarion, "ministro degli esteri" della Chiesa ortodossa russa. Foto Reuters/Osservatore Romano.
Si tratta di tentativi, di approcci per
gradi, secondo il metodo di una ricerca mai appagata, l’unico
tuttavia in sintonia con in Vangelo, metodo di Francesco, il quale
ben sa che i cristiani possiedono solo il Vangelo da donare come
testimonianza ad un mondo scombinato. Le discussioni tra i teologi
continueranno, così come la produzione di documenti e di “testi di
convergenza” per confermare i piccoli passi delle scelte
dottrinali.
Ma forse, per via di Francesco, con una consapevolezza
maggiore: che al compagno di strada, al fratello nella stessa fede
ognuno deve affidare reciprocamente il cuore senza sospetti e senza
diffidenze, sbaragliando ossessioni e stratificazioni della storia,
non sempre limpide, con un approccio più biblico, meno ecclesiastico
e più pastorale anche alla teologia e alle rigidità del diritto.