Lo chiamavano il cannibale e chissà se piaceva a Eddy Merckx quel nomignolo cruento applicato allo sport più faticosamente crudele. A quel tempo i soprannomi si incassavano e basta e i campioni non erano prodotti di markting, non avevano manager che facevano i difficili. Lo chiamavano così perché aveva sempre fame: divorava con la stessa fame di vittoria tutte le gare, tutti gli avversari e tutte le strade, senza eccezioni. Quando vinse la prima Sanremo nel 1966 ci fu chi pensò che, da belga, cresciuto ciclisticamente sulle terre piatte strappate al mare sarebbe finito sommerso alla prima salita. Rispose due anni dopo sotto la neve delle cime di Lavaredo.
Una decina d’anni fa Felice Gimondi, che ha avuto la “disgrazia” di nascere ciclisticamente parlando in quegli anni e diventato campione nonostante Merckx ma meno di come lo sarebbe diventato senza di lui, lo raccontava così: «Aveva una cilindrata in più. Potevo tenergli testa soltanto nelle cronometro lunghe e nella voglia di battermi. Magari fosse stato un Armstrong, che vince sei volte il Tour de France ma solo quello – non si sapeva quel giorno, mentre parlavamo nella sede della Bianchi, circondati dalla pesantissima bici di Coppi, un cancello di ferro al confronto, e dai moderni telai verdeacqua ultraleggeri, che dietro Armstrong c’era il prodigio di una farmacia e che quei Tour erano patacca e che sarebbero stati cancellati - Eddy vinceva dappertutto».
Sorrideva, Gimondi, al pensiero di che cosa sarebbe accaduto se Merckx non ci fosse stato: «Forse avrei vinto cinque Giri d’Italia come Fausto Coppi e magari tre Tour de France invece di uno solo. Mi è rimasto il ricordo della battuta di un tifoso, deluso che fossi arrivato per l’ennesima volta secondo, mi urlò: “Ma perché non l’hai buttato giù”. Gli risposi: “Perché non l’hai buttato tu per me? Io non posso, verrei squalificato”. Ma non l’ho mai pensato davvero e poi la storia non si fa con i se».
Alla domanda sul doping di Merckx, pescato positivo nel 1969 in lacrime come un bambino, quel giorno di dieci anni fa Gimondi glissò con eleganza: aveva riconosciuto al suo avversario storico la superiorità, non stette al gioco di diminuirlo a posteriori. Sono ancora amici Gimondi e Merckx, e per restarlo da rivali così, resistendo al gioco di fare la storia con i se, bisogna essere persone vere. Di più per rimanerlo sapendo che nel vocabolario di Merckx sport era sinonimo di vittoria e che gli riusciva quasi sempre di trasformare le parole in fatti. A spese di chiunque arrivasse dietro. Meglio se si chiamava Gimondi. È, ancora aperta, oggi che Merckx compie 70 anni, tra i ciclofili la questione se sia stato o meno il più grande. Quale che sia la risposta, possiamo scommettere, serenamente, anche senza la controprova che Felice Gimondi sia stato uno dei primi a fargli gli auguri. Perché il ciclismo, nel bene e nel male, è uno sport individuale che viene meglio a quattro gambe.