Cari amici lettori, abbiamo seguito con dolore e sgomento le vicende dell’Afghanistan nelle ultime settimane, con la tragica accelerazione degli ultimi giorni. Abbiamo ancora negli occhi le scene strazianti degli afghani attaccati agli aerei in partenza, pur di fuggire dai talebani, di tanti ammassati intorno all’aeroporto nella speranza (per molti vana) di poter partire, e il sanguinoso attentato dell’Isis-K all’aeroporto internazionale di Kabul lo scorso 26 agosto.
Della situazione di questo Paese martoriato ci parla a caldo il protagonista della storia di copertina del numero 36 di Credere in edicola da giovedì 2 settembre, Alberto Cairo, fisioterapista della Croce Rossa che lavora a Kabul da un trentennio. Uno dei pochi occidentali – e dei pochissimi cattolici – che ha scelto di rimanere laggiù, per continuare il proprio servizio in circostanze divenute disperanti in pochi giorni. Una storia in cui si intrecciano fede e dedizione umana e professionale. L’esperienza che ci racconta ricorda una parola cristiana che si legge nel Nuovo Testamento: hypomoné, perseveranza, resistenza, l’atteggiamento di chi letteralmente “rimane sotto” in circostanze avverse, che schiacciano e da cui altri fuggirebbero. Senza nascondere di essersi interrogato su quello che appare un “silenzio di Dio” in questa vicenda umanamente insostenibile, Cairo ci ha confidato con semplicità come per lui la fede sia una risorsa importante nelle difficoltà. Non è esagerato pensare che la sua stessa presenza a Kabul – e con lui di altri operatori umanitari – sia la risposta all’interrogativo sulla presenza di Dio in quell’orrore. Una piccola grande luce che splende in mezzo alle tenebre.
Non manca una piccola luce di speranza anche qui da noi. Varie associazioni – tra cui anche Caritas italiana e diverse parrocchie – si sono mobilitate in tutta Italia per rispondere all’appello ad accogliere i profughi afghani giunti in Italia con i voli organizzati dal nostro Governo. Una disponibilità diffusa che testimonia come tanta gente non sia rimasta indifferente alle immagini viste in televisione.
Di fronte a questa tragedia che ci scuote, non dimentichiamo l’appello di papa Francesco al digiuno e alla preghiera. Lo ha ribadito all’Angelus di domenica 29 agosto: «Questo è il momento di farlo. Sto parlando sul serio: intensificare la preghiera e praticare il digiuno, chiedendo al Signore misericordia e perdono». Non lasciamo cadere, cari amici, questo invito. Abbiamo bisogno di digiuno e preghiera per alimentare fede, solidarietà e condivisione, partecipando come ci è possibile alla sofferenza ingiusta di tanti fratelli e sorelle.